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lunedì 31 agosto 2009

AA. VV. - Ultima Notte Di Veglia E Altre Follie

Autore: AA. VV.
Anno: 2009
Titolo originale: Ultima Notte Di Veglia E Altre Follie
Voto: 3/5
Pagine: 125
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Raccolta di poesie ed opere di poeti emergenti

domenica 30 agosto 2009

Stieg Larsson - Uomini Che Odiano Le Donne




Autore: Stieg Larsson
Anno: 2005
Titolo originale: Man Som Hatar Kvinnor
Voto: 3/5
Pagine: 676
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Trama del libro e quarta di copertina:

Sono passati molti anni da quando Harriet, nipote prediletta del potente industriale Henrik Vanger, è scomparsa senza lasciare traccia. Da allora, ogni anno l'invio di un dono anonimo riapre la vicenda, un rito che si ripete puntuale e risveglia l'inquietudine di un enigma mai risolto. Ormai molto vecchio, Henrik Vanger decide di tentare per l'ultima volta di fare luce sul mistero che ha segnato tutta la sua vita. L'incarico di cercare la verità è affidato a Mikael Blomkvist: quarantenne di gran fascino, Blomkvist è il giornalista di successo che guida la rivista "Millennium", specializzata in reportage di denuncia sulla corruzione e gli affari loschi del mondo imprenditoriale. Sulle coste del Mar Baltico, con l'aiuto di Lisbeth Salander, giovane e abilissima hacker, indimenticabile protagonista femminile al suo fianco ribelle e inquieta, Blomkvist indaga a fondo la storia della famiglia Vanger. E più scava, più le scoperte sono spaventose. Accolto al suo esordio come una rivelazione, Stieg Larsson ha scritto un thriller che emoziona e insieme un romanzo che, al di là dell'indagine serrata e dei colpi di scena, contiene un messaggio sul nostro tempo. Un giallo che all'azione e al dramma combina una storia molto umana e tragicamente moderna.

mercoledì 26 agosto 2009

Days 16 & !7: home sweet home, fondo sweet fondo

USA & Italy da Air Force One.
Ritardo per questo articolo, non dovuto solo alle ore interminabili di volo, al fuso orario ed alla stanchezza accumulata, ma anche per il non aver avuto il tempo di sedermi al pc, una volta tornato in Patria: il mare e gli amici hanno avuto la meglio su un sano e consigliabile riposo.
Il giorno 15 termina con un'altra disavventura targata Franco Alamo: riportata l'auto all'aeroporto di LAX, ci fanno salire su uno shuttle per l'Hilton... Al quale non ci porterà mai!!! Lasciati in balia degli eventi al terminal 2, aspettiamo o un taxi libero o un'altra navetta, che tra traffico e altre menate impiega oltre un'ora per portarci a destinazione.
Il tempo da dedicare al sonno è quindi drasticamente calato. Alle 4 del mattino siamo in piedi, alle 5:30 prepariamo le formalità per il check-in ed attendiamo l'imbarco. Volo poco riposante di circa 6 ore, atterraggio al JFK, e si torna indietro nel tempo di tre ore... Altre formalità, ala ricerca del terminal giusto e di come arrivarci. Ci sono due filosofie di pensiero predominanti: accettiamo quella dello stwart più carismatico e riusciamo ad ottenere ciò che vogliamo.
Altre 6 ore di volo più una di ritardo... insomma non s'arriva piu, anzi, alle 11:30 di stamani (dopo esser tornati indietro nel tempo di altre sei roe) siamo a Pisa.
Capatina a Cala Moresca, visita al fondo, ape, cena, abbè, solite cose e così va la vita.
America, ci vediamo presto, alla prossima.

lunedì 24 agosto 2009

Day 15: tra le spiagge californiane

Venice Beach Sunset by szeke (busy).

Mentre aprivo FaceBook questa mattina e leggevo alcuni "oggi mare" ho pensato che anche per noi era giunta l'ora di godersi un po' di sole californiano, anche se qui il mare lascia il posto all'oceano. Di prima mattina ci siamo diretti alla spiaggia di Santa Monica, che alcuni ricorderanno per fortunato telefilm "Baywatch". La spiaggia è grandissima, la sabbia fine e pulita, l'acqua è diaccia, ma non esageratamente. Le ondone non ci sono, o meglio non sono tzunami giganti, son normali cavalloni. L'unico problema è il risucchio della corrente tra un'onda e l'altra che ti trascina via la rena da sotto i piedi. Nel complesso il bagno è fattibilissimo. La ragazze non sono tantissime (almeno nel posto scelto da noi), ma forse per l'ora mattutina, visto che avvicinandoci a mezzogiorno ne arrivano alcune, ma normali, niente tanga e bikini: insomma, abituati a vedè Daiana a Perelli, queste so tutte vestite.
Ci dirigiamo poi verso Malibu, in cui però siamo piu sfortunati. Eccetto qualche villa da vip, qualche negozio della Maui & Sons che ti fa ricordare gli anni 90, le spiagge son quasi tutte private. Noi comunque andiamo in due, una piccolina, ma molto corta e stretta e sudicia (al posto delle alghe c'erano delle specie di grappoli d'uva portati dal mare che attiravano mosche e pulci). La seconda spiaggia, molto più lunga, ma altrettanto ventosa e piena di animaletti ci ha fatto desistere e siamo scappati. Forse Mlibu è più adatti ai surfisti.
E finalmente abbiamo trovato un luogo stupendo: Venice Beach (vedi foto). Che oltre ad avere una spiaggia come quela di Santa Monica ha un lungo mare (o lungo oceano?) molto caratteristico, con banchetti, negozi, barre etc. Anche il tipo di gente è molto vario: si va dai tipici californiani da mare, con occhiali da sole e skate (per le piste sulla spiaggia da quanto è grande) ai brutti ceffi di quartiere pieni di tatuaggi e sfregi, ma che con il sole fanno poca paura. Dopo una breve giratina per il corso è l'ora di saggiare la spiaggia e tuffarsi contro qualche cavallone. Qui sono piu grossi, ma c'è molto meno risucchio.
Ed anche questo ultimo giorno se ne è andato... Ed tra 12 ore come back home...

domenica 23 agosto 2009

Day 14: Los Angeles e Universal Studios

Universal Studios by caribb.

Il pulmino della L.A. Sightseeing si presenta in anticipo questa mattina per il tour nella città degli angeli. Iniziamo da Santa Monica, dove alloggiamo per proseguire sulla famosa Sunset Blv. Iniziano quindi le ville e le mega ville dei ricconi, da Bel Air fino ad arrivare a Berverly Hills e vedere la collina con la famosa scritta "Hollywood". Fermata in Rodeo Drive, dove incocciamo pure un Denzel Washington (che ho prontamente fotografato). Sembra una persona tranquilla, che non se la senta, uno di noi.
Si continua poi con il teatro cinese e la via con le stelle sui marciapiede, fino ad arrivare agli Universal. Molto carini, ma tutto sommato niente di che: un grande parco tematico dove tra le altre cose abbiamo potuto ammirare attrazioni come "la casa degli orrori" (oibò), Terminator 2 3D (molto ganzo con effetti speciali degni del parco) e WaterWorld (strabello).
Si torna in albergo a fine pomeriggio e in serata si passa sulla 3° street per cena e dopo cena: una specie di rambla barcellonese con tanto di chicos che fanno free style.

sabato 22 agosto 2009

Day 13: arrivo a Santa Monica

Santa Monica Pier by szeke (busy).

Dopo la notte brava al Tao del Venetian, decidiamo di dedicare maggiore spazio al sonno, anche se poi in prima mattinata veniamo svegliati dalla schiava delle pulizie in suite. Ormai che ci siamo ne approfittiamo per dedicare la mattinata alla città stato dell'albergo, e facciamo un po' di shopping (tra cui la cartolina per il fondo) tra i mille negozi che si aprono sui canali e su Piazza San Marco fedelmente ricostruiti.
Pomeriggio passato noiosamente e sonnolentamente in macchina, per arrivare a Los Angeles e quindi Santa Monica. Piccola sosta a Baker, dove avevo letto su internet che c'è il termometro piu alto del mondo. Mah al di là della grandezza, fa cacare, non so se poi sia vero che è il piu alto del mondo. Comunque essendo una cittadina inutile, al confine tra death valley e mojave desert, quel termometro segna la temperatura più alta mai raggiunta in valle. Come già detto, inutile.
Arriviamo a Santa Monica dopo dribbling strenuanti tra il traffico cittadino. Qui le corsie non si contano, ma c'entra un campo da calcio di traverso in autostrada...
Cena al Pier di Santa Monica in un mexican seafood sull'oceano (tipo il Piccolo Mondo a Follonica) e poi giratina a piedi lì nei dintorni. Fine giornata. Anche domani sveglia presto, per il tour di L.A. e Universal Studios.

venerdì 21 agosto 2009

Day 12: Bryce Canyon e ritorno a Las Vegas

Bryce Canyon 1986 by swisscan.
Le miglia (circa 2300 totali con l'auto a noleggio) iniziano a farsi sentire, ma riusciamo a vivere ottimamente le avventure che ci si prestano davanti. L'unico problema è la cognizione del tempo: sembra di vagare in questa terra lontana da mesi ormai, anche se sono soltanto 12 giorni. Da Page, prendiamo la bussola (o il Tom Tom) e ci spingiamo verso nord, nello Utah, lo stato dei mormoni. Il paesaggio è molto montanaro con tanto verde, abeti e conifere (o così credo). Le abitazioni sono in stile casetta di montagna, e gli abitanti sembrano molto dei buoni boscaioli.
Il parco del Bryce Canyon è molto piccolo se paragonato a quello del Grand Canyon o al Sequoia National Park, ma possono essere impiegati più giorni se si decide di percorre i faticosissimi sentieri che si snodano tra le sue montagne. In auto comunque possibile raggiungere tutti i principali view points ed osservare questo stranissimo anfiteatro. Al suo interno immaginate tante grandi torri, costruite come si fanno i castelli al mare con la sabbia bagnata. Inconsciamente abbiamo anche deciso di seguire il sentiero più importante: Navajo Loop che al ritorno è faticosissimo perchè tutto in salita, e noi non avevamo acqua (intelligentemente).
Terminata la visita speriamo la nostra macchina a folli velocità (quelle consentite dalla legge americana) verso Las Vegas, dove Mr Giiianilli (così mi pronunciano) ha prenotato una Suite Luxury al Venetian. E' grandissima, lussuosissima e signorilissima. Manca però il famoso menù con le escort. Così presi dallo sconforto andiamo a cena da "B&B Ristorante", dove battiamo nuovamente il record dei record (i 4 gatti di portoazzurro diventano 4 mici), vinciamo qualche puntata al Casinò e ci facciamo accogliere in una night-club / discoteca / club privato /un po di tutto, dal nome asiatico: Tao. Dentro è molto carino, musica ganza e pieno di cinesine. Unico problema è che si rischia di prende gli schiaffi dagli Yakuza, se guardi per sbaglio una non sola. Sembra un locale del tipo 3fast e 3furious. Apparte questo ci divertiamo tra la crèm asiatica impiantata in america.
Sono le 4 passate e torno in camera, lasciando il delsa in stile Turo, intento ad aumentare ancora il suo gruzzolo (o tornare a casa in mutande)

giovedì 20 agosto 2009

Day 11: Monument Valley, a cavallo con i Navjao

Three Sentinels - Monument Valley by Creativity+ Timothy K Hamilton.

Giorni a marce serrate questi. Durante la mattina entriamo nuovamente nel Parco Nazionale del Grand Canyon proseguendo sulla Desert View Drive, strada che affianca i punti panoramici più belli ed interessanti di South Rim. Ci dirigiamo quindi verso est, collezionando tutti e 5 i view points che ci permettono di osservare ed ammirare da varie angolazioni il paesaggio, che non risulta mai monotono o uguale a se stesso. Visitiamo anche la caratteristica watchtower che dà sul Desert view, il primo posto da cui un bianco abbia mai visto lo spettacolo immenso che l'Arizona ci offre.
Terminata la mattina riprendiamo il viaggio alla volta della Monument Valley. Per la strada troviamo qualche store e qualche abitazione di nativi americani, che per adesso sembrano piu simili a zingheri piuttosto che come li aveva descritti il buon Trilux. Giunti all'entrata vediamo che la percentuale di popolazione pellerossa aumenta visibilmente, ed infatti il parco è dentro alla riserva della Nazione Navajo (in USA le riserve indiane non seguono le leggi dello Stato, ma quelle federali, sono come delle conche semi autonome). Sarò ripetitivo, ma lo spettacolo è bellissimo. A mio avviso, pur rimanendo inferiore a quello della Death Valley, risuta più accattivante rispetto al Grand Canyon. Riesci infatti a viverlo di più, quasi toccando con mano.
Ci precipitiamo dagli indiani e prenotiamo al volo, un tour a cavallo della durata di un'ora (che poi si rivelerà 1:30 visto che come gli arabi, hanno un senso del tempo forfettario). Con un cappello da cowboy comprato poco prima, il mio cavallo (Holy Field) sotto la sella e il paesaggio della foto come contorno, mi sento esattamente come il country man della vecchia pubblicità Marlboro. La guida indiana ci porta a spasso per i sentieri attorno alla rocce, spiegandoci qualcosa sulla natura selvaggia che ci circonda. Un'esperienza i dimenticabile. Terminato il tour, montiamo in macchina e percorriamo le 17 miglia, con 11 punti di interesse, all'interno del parco, scattando foto a raffica. La strada tutta sterrata, salite, sabbia, buche e curve non è delle piu agevoli, e la Toyota da bianca diventa color rosso polvere. Riusciamo, come ieri, a vedere il aprco sotto la strana luce del tramonto.
Di fretta ci dirigiamo a Page (Lake Powell) arrivando in serata, cena misera da Pizza Hut, e pernottamento al Best Western.

mercoledì 19 agosto 2009

Interludio: tragitto fatto

Più o meno questo è il tragitto fatto con la macchina a noleggio. Circa 1300 miglia.

Day 10: Grand Canyon via Route 66

Old Route 66 by Swiv.
Devastato, anzi no, dilaniato dalla stanchezza continuo il racconto che oggi ci ha visti protagonisti tra i colori accesi del canyon e quelli tipici della route per eccellenza. Partenza, come al solito di buon ora, dalla città dei divertimenti, del peccato e del vizio per immergerci nel paesaggio montano, arido e tipicamente western dell'Arizona.
I chilometri che ci separano dalla meta sono meno di cinquecento, ma la fila sul Lake Mead, i limiti di velocità bassi e la difficoltà di seguire correttamente la 66, li fanno sembrare almeno il doppio.
La famosa highway passa infatti tra Kingman e Williams e noi la intercettiamo all'altezza di Seligman dove abbiamo la possibilità di sostare per alcune foto di rito e per ammirare i saloon, gli stores e lei harley.
Arrivati in tempi perfetti al meeting con Papillon Helicopters, inizia il nostro tour per i canyon più famosi del mondo. L'aeroporto si trova a soth rim, la parte più ambita e caratteristica ed il piano di volo scelto è l'Imperial Air Tour che ci permette di sorvolare per circa un'ora tutta la zona da south a north rim. Inizio subito con un colpo di culo in quanto il posto assegnato a Mr. Cianelli (sempre in stile teutonico dalla volta di Lugano) è quello in prima fila, accanto al pilota. Ottima visuale e soprattutto aria fresca che proprio ci voleva. Ancora una volta metto alla prova la macchina fotografica, consumando quasi totalmente la batteria ed mi gongolo sia per la bellezza del volo sia per le emozioni che il Grand Canyon trasmette: vallate verdi di boschi che si aprono all'improvviso in ferite calde di un rosso accesso, multi tonalità, con il fumo Colorado che si insinua in virtuose esse mozzafiato.
Verso le 17:00 entriamo nel parco con la macchina e passiamo la giornata tra i vari punti di osservazione, un trail a piedi e ancora tante foto da cartolina. I percorsi sono abbastanza "liberi" e permettono di raggiungere i bordi proprio fino all'estremo, consentendo di sostare sul precipizio in varie occasioni, immortalate per i posteri. Ancora una volta, stupisce la moltitudine di sfumature che riesce a dipingere la roccia. Mano a mano che ci avviciniamo all'ora del tramonto le pareti divengono sempre più infuocate e mai monotone.
Rispetto alla Death Valley lo spettacolo è più maestoso, grandioso ed in pompa magna: ti lascia impotente e piccino piccino. Ma per quanto mi riguarda è anche più distante, e non riesci a toccare con mano ed a viverlo a pieno, se non con i percorsi che portano in basso.
La serata si conclude con una cena ad uno Spaghetti Western, con presenta roba italiana. Carina la location, le cameriere e tutto l'ambiente. Penoso il cibo, per la prima volta da quando siamo qui. Ci rifaremo con altre cene da signri, come quella di ieri.

martedì 18 agosto 2009

Day 9: rafting (+/-) sul Colorado

Hoover Dam by Martin LaBar.

Appena due ore di sonno e ci si sveglia, per abbandonare il Bellagio, correre a prendere un taxi, farsi fare il caziatone dalla polizia ed arrivare in tempo per partire in ritardo, al ritrovo con la GrayLine, che ci porterà a a fare rafting sul fiume Colorado. Arriviamo assonnati con il pulman, guidato da un nero con il blues nel sangue. Oltre che autista è anche una guida e non smette di parlare, cantilenando e dicendo ad ogni frase un odioso "oh yeah, oh yeah". Stucchevole davvero, passava anche la voglia di fare fatica ad ascoltare, cercare di tradurre, formulare e capire. Arriviamo all'imponente diga Hoover, che è un esempio bellissimo di ingegneria e scattiamo alcune foto, poi scendiamo per fare il famoso rafting: una gita in gommone di circa 5 ore sul fiume, che non ha nessuna rapida (anche perchè sarà largo 100 metri...). Esclusa questa delusione, l gita risulta tanto piacevole quanto calda e stremante. Fortunatamente ogni tanto ci fermiamo in qualche caletta o spiaggetta, e possiamo fare pure il bagno nell'acqua gelida del fiume.
Tornati in città arriviamo al Caesars Palace, che sarà sicuramente meno raffinato del Bellagio, ma molto più arrogante, imperialista, massiccio. 30 minuti per arrivare in camera, nella Forum Tower.
Altri giri all'interno del casinò, roulette, negozi e cena record da Neros, con le cameriere tutte in tiro che ti spostano la sedia e ti sistemano il tovagliolo sulle gambe. Il cameriere che si inchina mentre ordini e ti chiama solo ed esclusivamente "sir".
Ancora casinò, e ricordatevi: anche se siete italiani, non c'è verso, il banco vince sempre.

Day 8: Las Vegas, sin city

Bellagio, Las Vegas by Mastery of Maps.

Scusate il ritardo, ma ieri notte abbiamo dormito due ore scarse... La città del peccato è decisamente peccaminosa, e rende Amsterdam un luna park di provincia. Sopravvissuti alla notte di Beatty , con tanto di cena in un saloon, siamo partiti la domenica mattina per la città dei divertimenti. Arrivati al Bellagio abbiamo fatto un lunch veloce al "Palio" (dove ho fatto la foto allo stemma de "i bruho" per Simone") e abbiamo studiato un po' l'atmosfera: una città all'interno dell'albergo. Quindi ci siamo subito catapultati in piscina (una delle tante che offre) con sdraio, asciugamano, bevuta e circondati da esemplari di fauna internazionale. Dopo aver vippettato un po' per forza di cose ci siam messi a capire come funziona il gioco. Le macchinette le abbiam cacate subito, e ci siamo diretti ai tavoli delle roulette... Pensavano di fregare l'italiano medio? Colui che ha inventato ed è maestro nel gioco delle tre carte? In neanche due ore, con 40 $ a testa giocati, abbiamo portato in saccoccia 200$ per uno, con un guadagno netto di 4 volte il valore giocate. Avevo quindi deciso di pagarmici tutta la vacanza continuando a vincere... Dimentichi anche della fame che logorava i nostri stomaci, siamo usciti dalla città-albergo giusto in tempo per vedere Jasmine all'opera: lo spettacolo delle fontane. Giro a piedi per le vie della città ammirando qua e là i più famosi hotel di sempre. Siamo entrati all' MGM, che è decisamente grandioso, ance se non bello quanto il nostro Bellagio e da lì siamo saliti sulla monorotaia (che passa dentro e collega altri alberghi tra loro). Scesi dentro l'Imperial Palace (in stile giapponese o roba simile) la tentazione ci ha portato ad uscire per cercare la strip. Da lontano vedevamo la torre dello Stratosphere, e dopo circa un'ora di camminata arriaviamo, grazie al nome Giannelli entriamo, e saliamo a più di 300 metri da dove ammiriamo tutta la city di notte: luci, luci, luci. A perdita d'occhio.
Tornati in taxi (bloccato dal traffico caotico e quindi continuato a piedi) grazie ai consigli del Cecco entriamo in un locale: The Bank, una maxi discoteca, con la gente giusta, la musica giusta, negrette giuste, cinesine giuste, americane giuste e così via.
Usciamo a tarda ora e decidiamo di fare qualche puntatina: giusto quanto pasta per riperdere 100 dolla!!! (ora l'attivo è di solo 60).
Guardiamo l'orologio stremati, e corriamo in camera (grande quanto casa di Valeeerio.

domenica 16 agosto 2009

Day 7: Death Valley, la sorpresa più inattesa

Pronti, attenti, via e si parte da Bakersfield (di cui non conosciamo niente) per il girone infernale che prende il nome di Death Valley. A sentire (anzi, leggere) le guide su internet sono decine e decine le precauzioni che il povero turista deve prendere, per poter stare tranquillo una volta entrato nel parco. Noi ne abbiamo seguito più o meno qualcuno, storcendo qualche volta il naso, e credendo che fossero esagerazioni (ed in parte lo sono).
Appena possibile ad esempio ci siamo fermati (ben tre volte) per fare benzina (23, 11 e 4 dollari... l'ultima volta proprio da sfigati). Il tragitto da Bakersfield non è lunghissimo, ma molto caratteristico: abbiamo potuto ammirare la parte nord del deserto del Mojave (famoso anche per i pali eolici che sovrastano le colline) e il Red Canyon, che altro non sono stati che piccoli antipasti di ciò che ci ha aspettato per tutta la giornata.
Accediamo al parco dall'entrata Ovest, quella di Panamint Spring così da poter vedere (e camminarci sopra) le Sand Dunes della valle, l'unico punto che può ricordare un deserto di tipo sahariano. La sabbia scotta, rufoliamo un po' con le mani, ma di scorpioni velenosi non ne troviamo. Fino ad ora, il caldo è tanto, ma accettabilissimo: niente che possa far pensare alla "morte".
Proseguiamo per alcuni chilometri e veniamo affascinati dal paesaggio che sebbene sia desertico, è variopinto abbestia. Una cosa incredibile davvero, ogni chilometro c'è una montagna di un colore, a contrasto con una di colore differente. (@Riccardone: sì sì, ho fatto 2mila foto). Con l'avvento dei colori, arriva anche il caldo sempre più strenuo. Scendiamo così al Lake Creek, un lago solo di sale, in cui ci incamminiamo un pezzo in là e... e mi si fondono, anzi liquefanno le suole delle scarpe... Da buttare via!!
Prima di arrivare a Furnace Creek, visitiamo il Mustard Canyon (vedi foto iniziale rubata da Wikipedia), e poi ci lanciamo verso i punti più famosi della valle: Zabriensky Point (secondo me il non plus ultra) e Dante's View: una scalata a piedi da cui si vede tutta la vallata (la valle è calda anche perchè rinchiusa da vette che superano i 3000 metri e non fanno passare il vento). Sotto il sole queste sfacchinate costano molti liquidi per davvero, e fortunatamente abbiamo fatto grandi scorte d'acqua e appena possibile ci fermiamo per succhi di frutta e roba fresca.
E' la volta di andare nella depressione più bassa degli USA: meno 86 metri sotto il livello del mare. Sul percorso troviamo il Devil'sGolf Course e al ritorno facciamo la strada più bella che abbia mai fatto, la Artist Drive. Per le spiegazioni di ogni zona, andate s wikipedia o su americanontheroad.it , sarebbe troppo impegnativo da spiegare.
Verso le 19, partiamo per Beatty, Nevada punto di sosta prima di Las Vegas. Abbiamo quindi la fortuna di attraversare la valle e le montagne con il tramonto che pittura ancora di più il quadro incantato di un luogo tanto aspro, quanto artistico.
Nota dolente: Beatty fa cacare. Non so neanhce se Google sappia che esista. L'albergo, è un motel, tipo quello dei peggiori film trash, in cui i vacanzieri muoiono squartati. La zona qui intorno è la stessa del film "le colline hanno gli occhi", e il padrone del motel (in zona molto buia ed isolata), è un pirata che cammina con il bastone: uomo di 60 anni circa, grosso, capello lungo e unto, baffi e barba grigia, accento texano da sputacchiera. Insomma è la copia identica di Lemmy Kilmister (il cantante dei Motorhead). Metto qui una foto così vi rendete conto in che mani siamo:
Per ora la porta è sprangata, ma dobbiamo uscire per cercare un posto dove cenare. Se domani non sentite niente da parte nostra chiamate il 911, il motel si chiama Phoenix (ma anche Atomic, non chiedetemi il perchè).

sabato 15 agosto 2009

Day 6: Sequoia National Park

General Sherman Tree, Sequoia National Park (15) da Gouldy99.

Partiamo da Visalia ascoltando una stazione radio esclusivamente in lingua spagnola e ci dirigiamo a Nord verso il grande parco delle sequoie. Non è un chicco di riso, ma una vasta area percorribile in automobile ed a piedi grazie a chilometri di sentieri. Visitarlo tutto per chi come noi ha soltanto una giornata a disposzione è cosa impossibile. Ma cerchiamo, da buon italiani di arraffare il più possibile. Una volta entrati ci chiediamo se sia il parco giusto, in quanto di sequoie e grandi alberi neanche l'ombra. Anzi, il paesaggio è simile a quello visto ieri: colline aride e qualche arbusto. Iniziamo però una salita verso le montagne che senza alcun avviso ci sovrastano, e possiamo ammirare una vegetazione sempre più consistente. Descrivere non è cosa da poco, e non voglio certo pretendere di riuscirci, ma alberi così maestosi ed imponenti tutti insieme non si erano mai visti.
Dopo alcune soste atte ad ammirare il paesagio e per scattare ininterrottamente decine di fotografie, giungiamo al Sequoia Museum, da cui partono diversi sentieri consigliabili soprattutto agli amanti del trecking. Noi, senza sapè nè legge nè scrive, ne prendiamo uno a caso. Ovviamente quello più solitario: siamo gli unici ad attraversarlo. Dopo poco meno di una mezzora, facciamo due più due e la consapevolezza che sia troppo lungo inizia a farsi largo. In effetti, con il cellulare che non ha segnale, senza neanche una goccia d'acqua e con la mappa lascata in auto tanto "chisseefrega", pensiamo che sia il caso di tornare indietro. Il trail è comunque bellissimo, ed il silenzio ha un fascino strano ed avvolgente.
Ripresa la nostra fidata Toyota, è finalmente la volta del General Sherman (vedi foto, non scattata da noi, ma presa da Flickr - come le altre) che altro non sarebbe che l'essere vivemente più grande della terra. Con i suoi oltre 3000 anni ne ha viste di cose, e ne vedrà... Da paura.
Il nostro trip all'interno del parco prevede altre mete, scelte un po' a fortuna,ma un po' grazie anche alle reti wireless, onnipresenti in USA, ancche dove ai cellulari non è permesso di avere segnale. Tocchiamo quindi il Tunnel Car, una sequoia gigante caduta, sotto la quale riesce a passare un'automobile. Non potendo poi andare a vedere l'altra grande sequoia (ce ne sono a migliaia di immense, ma alcune hanno nomi e caratteristiche particolari), il Generale Grant, causa strada interrotta e troppa distanza, abbiamo dedicato il nostro tempo, per un'arramicata sul Moro Rock, una delle montagne più alte della vallata. Arrivati proprio fino in cima, sul cucuzzolo, sul punto più alto in assoluto, lo spettacolo che si è venuto a creare, mi lascia ancora adesso con il cuore palpitante. Una volta caricate le foto su FB e su Panoramio, vedrete di cosa parlo. Il ritorno per uscire dal parco, si conclude con l'avvistamento di un orso sulla strada, che ci passa a meno di due metri di distanza e poi scappa. Inchiodo la macchina per fare la foto, ma l'animale è troppo lesto, e riusciamo a prenderlo di sfuggita (in più ero fermo in curva, ed un Dodge stava per finirmi addosso).
La strada per Bakersfield (domani partiamo per la death valley) non è niente di particolare, e la città non abbiamo voglia di scoprire come sia: a 300 metri dall'albergo (anche questo papale) si trova l'Hungry Hunter, una tipica steackhouse americana, in cui mangiamo benissimo. Purtroppo non abbiamo ancora imparato che qui un antipasto vale come una cena completa in quanto a proporzioni.... Ma con un Galliano si digerisce bene.

venerdì 14 agosto 2009

Day 5: l'altra faccia della California

The Lone Cypress,  17 Mile Drive (#12) da Christopher Chan.
"Le persone non fanno i viaggi, sono i viaggi che fanno le persone." [cit. Steinbeck]. E il nostro viaggio lascia i grattacieli della grande città, lascia i centri della net economy ed i centri del potere culturale, per osservare anche l'altra faccia della California: quella della natura, non sempre controllata dall'uomo.
Da San Francisco scendiamo lungo la costa fino a Monterey: l'autostrada a mille corsie mano a mano riduce la propria larghezza fino a mostrare dimensioni ovvie normali, quasi a misura d'uomo, cosa particolare per l'America vista in questi giorni. Arrivati nella famosa città degli scrittori raggiungiamo una delle attrazioni principali: la 17 Mile Drive, un tratto di strada che percorre la penisola, tra spiagge, insenature, scogli e tanti natura. Il contrasto però è evidente anche qui, sebbene nascosto inizialmente: i più rinomati campi da golf, fanno da cornice a ville lussuose che possono far impallidire quelle di Beverly Hills. Ma anche questa volta è il paesaggio ad avere la meglio, e inizio a capire perchè così tanti poeti e romanzieri abbiano deciso di stabilirsi da queste parti.
Non ci scordiamo quindi di fare tappa al Monterey Aquarium, uno dei più famosi degli States. Ed ha inizio poi la "traversata" verso l'interno della California. Colline brulle ed aride possono dare un senso di desolazione, soprattutto se osservate con temperature che iniziano a superare i 37 gradi, ma la presenza di rach e fattorie sono un segnale che l'uomo c'è. Il colore predominane è il giallo ocra che con il passare delle miglia lascia spazio a grandi distese coltivate a frutta di ogni genere. E se fino a due giorni fa i volti erano tutti orientali, adesso abbiamo diversi braccianti dalla pelle scura, ma non troppo: i latini. Passiamo qualche centro prevalentemente agricolo come Los Banos, in cui se l'ignaro turista si perdesse penserebbe di essere giunto fino al Messico.
Giunti a Visalia, ringraziamo l'agenzia per il primo albergo scelto, in quanto è veramente alto lusso e sopperisce alla piccola stanza economica (ma in Union Square) delle notti precedenti. Decidiamo quindi di entrare nella parte, e dopo tre serate passate a mangiare pesci, crostacei e molluschi, puntiamo a "El Toraco", un ristorante chiaramente messicano, che fa davvero impallidire quello di Castiglione.
Colpo di culo, mentre torniamo in albergo ci infiliamo in un locale dove sembra che qualcuno suoni dal vivo... Black Francis, ex frontman dei Pixies (Squama, Funflus e Ikkio dovrebbero sapere chi sono) si esibisce proprio questa sera in una performace acustica indoor. Non ce lo siamo lasciati scappare (abbiamo anche conosciuto due tipe, a cui abbiamo detto - involontariamente - di esser venuti dall'Italia apposta per sentirlo cantare).

giovedì 13 agosto 2009

Day 4: cultura e dot com

Builders of Berkeley da kukkurovaca.
Oggi sono iniziate le prime prove tecniche riguardanti il trip on the road. Attraversato il lunghissimo, ma meno conosciuto Bay Bridge che vanta 5 corsie per senso di marcia, siamo arrivati nella parte Est della Baia, quella su cui si affaccia Oakland. Dopo pochi chilometri abbiamo raggiunto la città universitaria di Berkeley, simbolo mondiale del progresso culturale e delle lotte sessantottine. Il verde ed i parchi sono decisamente onnipresenti, ed una volta giunti al campus ed alla cittadella universitaria abbiamo assaporato a pieno i valori che calma, quiete e cultura riescono a trasmettere. Come abbiamo già iniziato a conoscere grazie alla tv, le strutture si presentano affogate nel verde e nei boschi (in cui è possibile ammirare pure scoiattoli che circolano spensierati) e danno quel senso di ricchezza culturale che rendono inutili domande riguardanti il prestigio e potenza economica americana.
Dopo esserci finti studenti ed attraversato il complesso di scienze naturali abbiamo potuto prendere un caffè (prontamente ordinato short espresso) nel classico barretto per studenti. Terminata la visita alla città dei Green Day (tra gli altri) il timone è stato puntato in direzione Silicon Valley: autostrade gratuite a sei corsie per senso di marcia ci hanno fatto da cornice. A proposito, i limiti ristretti di velocità (75 miglia orarie) ho il dubbio che non valgano per i cittadini a stelle e strisce, che ci sorpassavano ripetutamente a sinistra, come anche a destra.
Perdiamo qualche decina di minuti per raggiungere Mountain View e inoltrarci alla sede di Google. Immensa e grandiosa nella real life, proprio come sul web. Unica pecca è la troppa tecnologia: nel maxi edificio le porte (anche dei bar) si aprono solo di fronte a chi indossa il tesserino magnetico targato Big G. Rinunciato quindi a sentirci un po' più vicini a chi controlla la rete, abbiamo fatto un salto nel passato visitando il museo della storia dei Computer, dove erano ospitate anche parti dei primi tre super calcolatori Cray, oltre che altri vecchi cimili grazie ai quali oggi ci muoviamo (il primo mouse, il primo microprocessore e così via).
Il tour tecnologico si è concluso con Cupertino e e la casamadre della Apple, con tanto di 96° gradi Faranaitte (scritto a posta così perchè non avevo voglia di cercare su google).
Ritorno a 'Cisco ad un orario poco intelligente, con tanto di mega fila in modello americano: esagerata come tutto qui. Ancora cena a base di pesce al Fisherman's Wharf, ma con una drastica riduzione della mancia questa volta. Serata tranquilla ascoltando gruppi jazz che suonano live "in piazza" ed incontro ravvicinato con gibbone nero che chiedeva soldi e dava "pacca su spalla". La solita frase scaccia paura "dontandestend" lo ha allontanato senza che gli dovessi donare un dollaro o la my ass' verginity (a lui la scelta: sembrava Adebisi).

mercoledì 12 agosto 2009

Day 3: tra finocchi, salite ed ex calciatori

Golden Gate Sunset da vgm8383.
San Francisco è una città che non conosce nè estate nè inverno, ma solo la primavera. Questo ci ha detto ieri la guida che ci ha accompagnato per i quartieri della città. Niente di più vero: stamani una brezzolina e qualche nuvola hanno accompagnato le nostre avventure.
In attesa di andare a ritirare l'auto a noleggio abbiamo deciso di utilizzare i cable cars municipalizzati per fare un ulteriore giro della città. Svegliati di buona leva ci siamo attaccati al tram nel vero senso della parola: abbiamo viaggiato in piedi attaccati esternamente al cable car, durante il viaggio verso Fisherman's Wharf. Abbiamo quindi apprezzato ancora una volta il caratteristico saliscendi, con pendenze mozzafiato che caratterizzano SFO.
Fatti alcuni acquisti in negozietti caratteristici, ci siamo presentati alla Alamo per ritirare l'auto. E' evidente che il signor Franco (Alamo appunto) abbia qualche origine italiana, visto che tra l'organizzazione americana sono risultate come un pugno nell'occhio le tre ore attese in fila, per poter essere motorizzati ed indipendenti. Ricevuta la nostra Toyota Matrix (con serbatoio estremamente vuoto) è stata la volta della visita al quartiere Catro: noto centro pieno di finocchi, ma molto caratteristico, che chi ha visto il film Milk, sicuramente ricorderà. L'auto ci serve anche però per giocare ad una sorta di GTA tra le impervie salite e le arroganti discese che portano alla fantastica Lombard Street.
Decidiamo quindi di dirigerci verso nord, passando totalmente il Golden Gate Bridge (ancora una volta coperto dalla nebbia della Transilvania) per approdare nella Portofino del Pacifico: Sausalito. Anche stavolta, pur facendo i grossi di culo, cenando dignitosamente ed assaporando specialità di mare, non riusciamo a battere il record dei "4 gatti" e e ci fermiamo a quota 95!!! Da ricordare che il Delsa ha voluto alzare la soglia della mancia al 20% perchè in fibrillazione per la presenza come cuoco di un ex calciatore della Fiorentina, tale Pasquale Ancona.
Serata conclusa sempre girellando qua e là e con l'entrata allo scadere in un pub con musica jazz live.

martedì 11 agosto 2009

Day 2: vediamo San Francisco

alcatraz da FatMandy.

Questo primo vero giorno pieno in USA, inizia decisamente presto. Causa fuso orario impertinente, già alle 6:30 del mattino siamo in piedi e scalpitanti, in attesa di fare una ricca colazione (che poi si rivelerà un fallimento) e quindi partire alla volta di nuove affascinanti scoperte.
Il piano giornaliero prevede due attrazioni principali, già prenotate da tempo su internet: visita all'isola di Alcatraz e tour guidato con cable car (una specie di tram di legno) per la città. Ma ciò che voglio raccontarvi come prima cosa è invece l'impatto che si ha con la vita amerriggana... Qui è tutto enorme, strano e appunto amerriggano. E' l'aggettivo che maggiormente riesce ad indicare i palazzi immensi di Downtown, le auto mastodontiche, i parchi curati e puliti come fossero finti, la moltitudine di culture differenti sullo stesso marciapiede e così via.
Se poi pensavate che il simbolo più di moda fosse l'aquila dalla testa bianca vi sbagliavate di grosso: i cartelli NO SMOKING, sono la vera ed unica religione in voga. Che si tratti di ristoranti, come di strade o di parchi. Fatta eccezione per Chinatown, dove forse tutto è possibile, pensabile ed immaginabile. Questa città nella città è stata la nostra prima tappa attrattiva (l'albergo è in Union Square, quindi i missili di vetro e cemento che solleticano il sole li avevamo già in visti in parte) e non esagero se il senso che dà è quello di più completo smarrimento. Qui tutto è scritto con ideogrammi, i negozi sono tutti piccoli, attaccati l'uno all'altro e per lo più di alimentari (o presunti tali), le voci ed i suoni, non sono di questo mondo... Uno spettacolo vedere i banchetti con i ganci da cui pende pesce essiccato, o barattoli con pollo in scatola e qualche strana salsa... Il tempo di abituarsi al mondo orientale ed ecco che la nostra passeggiata ci porta ad attraversare Columbus Street. Neanche è passato un giorno e siamo già casa: Pino, Mario, Tony ed altri pizzaioli (o ex mafiosi?) invadono le strade assieme alle bandiere tricolori.
Giunti a destinazione ci imbarchiamo al Pier 33 per Alcatraz: interessante la visita guidata a The Rock, soprattutto grazie all'audio guida in italiano che ci facilita di molto la comprensione. Al Capone ed altri delinquenti hanno alloggiato proprio nelle celle in cui i turisti possono fare foto ed entrare per avere qualche brivido... Alla fine niente di così particolare, sebbene meriti, forse 2 ore e mezzo sono troppe.
La visita della città con cable car invece si rivela interessante, grazie all'autiere che spiega con molti aneddoti simpatici la vita e la struttura della città. Il tour passa per le maggiori attrattive cittadine, tra cui Nob Hill, Japan Town, Marina District ed il Golden Gate. Impressionante come una giornata iniziata con il sole spaccapietre, muti considerevolmente appena giunti sul ponte, che ci viene regalato con un'immagine da cartolina, avvolto dalla nebbia (e battuto da fredde raffiche di vento).
Proseguiamo quindi sempre a piedi visitando tutto ciò che wikipedia ci ha detto che meritava di esser visto, rimanendo stupiti dal fatto che una metropoli del genere riesca ad affiancare palazzi imponenti e ville di lusso, spiagge e strutture architettoniche sublimi, centri finanziari gremiti di gente e parchi e giardini in cui regna il silenzio ed il relax...
Una città che come mi avevano già detto, non ti lascia per niente indifferente...

lunedì 10 agosto 2009

Day 1: ore ed ore in aereo

Il primo giorno della vacanza americana, come prevedibile, inizia in aereo, e termina dopo circa 20 ore tra voli, check-in e spostamenti vari. La trafila burocratica ed antiterrorismo per entrare in USA è a dir poco estenuante. Controlli su controlli del passaporto, dl visto, dei bagagli... No, non ho avuto rapporti sessuali con bestiame. No, non porto con me armi chimiche, ad esclusione dei calzini (che dopo 20 ore s sa, non emanano profumo di violette).
Il volo tra Pisa e New York passa abbastanza bene, considerando che mi son messo a leggere un po' e di tanto in tanto provavo ad assaporare i film che passano in tv (orribili). Pranzo offerto dalla Delta, in pieno stile economy, con pollo, finta insalata pagliericcia, biscottini e inutilities varie. Meglio la cena - merenda, con una pizzetta tutto sommato niente male...
La parte ganza arriva una volta giunti al JFK, dove ci vengono raccolte elettronicamente (niente inchiostro e mani lezze quindi) le impronte digitali di tutte le dita... E ficata assurda anche la scansione retinica. Roba un po' da 1984 di Orwell, ma che ti fa sentire anche un po piu sicuro. La partenza da NY invece è stata pesante, poichè l'aereo per problemi di nebbia ha girato per oltre 1 ora 1/2 per la pista... Atterraggio a San Francisco tranquillo, ma dopo circa 20 ore totali seduti, non è che si facciano i salti di gioia. Ora, le 2 circa del mattino siamo arrivati all Hotel Fusion, grazie al Super Shuttle che ci ha mostrato anche una panoramica delle ordinate e fantastiche strade americani.
Stay tunes, alla prossima.

domenica 9 agosto 2009

Partenza per Pisa


Ebbene sì, eccoci qui, pronti a partire alla volta di Pisa. Il volo della Delta Air Lines 137 (Boing 767) partirà alle 13:25 per il JFK di Ney York. Occhi incollati sui telegiornali ed orecchie puntate sulle radioline... :)
L'arrivo a New York è previsto per le ore 23:05 (italiane) per poi riprendere il volo alle 01:05 ed atterrare finalmente ad SFO alle 07:54, questa volta con il Delta 73 (Boing 757).
Appena il Delsa mi fa lo squillo, parte da casa sua a prendermi... Per nessun segno di vita... Io intanto aspetto e saluto tutti quelli che ieri sera non ho poturo vedere.

sabato 8 agosto 2009

Ken Follett - Lo Scandalo Modigliani




Autore: Ken Follett
Anno: 1976
Titolo originale: The Modigliani Scandal
Voto: 1/5
Pagine: 272
Pagina di Anobii
Acquista su Amazon

Trama del libro e quarta di copertina:

Una tela che si riteneva perduta. dipinta da Amedeo Modigliani sotto l'effetto dell'hashish, scatena nel mondo dei falsari d'arte un'insolita "caccia al tesoro" nella quale vengono coinvolti Dee Sleingn, una brillante studentessa di storia dell'arte, Charles Lampeth, avido proprietario di una piccola galleria sommersa dai debiti, e una serie di personaggi disposti a tutto pur di mettere le mani sul dipinto.Un giallo accattivante e scanzonato i cui protagonisti, quasi tutti giovani, si lanciano in una quantità di imprese azzardate che quasi mai vanno a finire secondo le previsioni. Un romanzo avventuroso, vivace, effervescente, colorito e spiritoso. Il primo libro di Ken Follett.

lunedì 3 agosto 2009

Robert Heinlein - A Noi Vivi




Autore: A Noi Vivi
Anno: 2004
Titolo originale: For Us, The Living
Voto: 3/5
Pagine: 294
Pagina di Anobii
Acquista su Amazon

Trama del libro e quarta di copertina:

"È a noi vivi che spetta portare a termine il lavoro lasciato incompiuto da quelli che qui combatterono", disse il presidente Abramo Lincoln nel celebre discorso di Gettysburg del 1863, pensando al futuro della nazione americana. Ed è a noi vivi - lettori del ventunesimo secolo - che spetta meditare sul progetto utopico di Robert A. Heinlein, già tutto racchiuso in questo suo primo romanzo scritto tra il 1938 e il 1939 e rimasto inedito fino al 2004. Un libro che racconta il mondo come sarà fra ottant'anni, pieno di benessere e libertà, una minuziosa indagine storica" che comincia nel più classico dei modi: il 12 luglio 1939 Perry Nelson finisce fuori strada per una gomma bucata e precipita verso il mare. L'ultima cosa che vede è una ragazza con un costume da bagno verde, ma quando riapre gli occhi c'è un'altra donna accanto a lui, Diana; il paesaggio è cambiato e soprattutto diversa è la data sul calendario: 7 gennaio 2086...