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venerdì 9 settembre 2022

Il giardino del cavallo

 
Qualche giorno fa, una foto vista su di un gruppo Facebook (questa nell’articolo è mia), mi ha sbloccato un ricordo amarcord in stile Giordano Lupi, che racconta le storie della nostra città. La foto in questione è quella della scultura del cavallo, opera di Alessio Sozzi, Quando ero piccino e il “mi’ nonno” mi teneva, stando lì vicino, mi ci portava e mi garbava un monte. Per me era una bellissima scultura, di una bestia docile che si faceva montare senza creare problemi.  Erano i primi anni ottanta e di tempo ne è passato. Così tanto, che via via negli anni, il mio interesse per quel giardino dimenticato è del tutto scomparso. Eppure adesso abito nel solito appartamento che fu dei nonni e quindi la distanza è la stessa, anzi forse accorciata addirittura perché negli anni tutto diventa più vicino. Però, anche passandoci spesso accanto o davanti, pur gettandogli uno sguardo fugace, non mi ero mai preso il tempo vero di fermarmi ad osservarlo per bene. Ci è voluta la frase di uno di quei rompicoglioni da tastiera, che nei commenti sotto la foto ha scritto “non ne sarei orgoglioso!”. Lì per lì credevo potesse trattarsi di un’affermazione relativa a ciò che rappresentava, ed io, da puro ignorante credevo che mi fosse sfuggito il senso: tipo un cavallo che ha ucciso dei bambini, o il cavallo di Hitler, o un cavallo vero pietrificato per il solo scopo artistico. No, niente di tutto questo. Semplicemente non ci sarebbe da esserne orgogliosi perché a Firenze ci sono sculture più belle. Eh, è vero certamente. Ma a me il cavallo del Sozzi garbava prima, e garba pure ora e mi sento di condividere questo mio orgoglio.

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