Dopo Il segreto di Tristan Bantam, Hugo Pratt prosegue il suo trittico con Appuntamento a Bahia, pubblicato originariamente nel 1970. La storia riprende il filo lasciato in sospeso, confermando l’idea che questo arco narrativo sia più simile a un romanzo spezzato in capitoli che a racconti autoconclusivi.
Qui ritroviamo Corto Maltese sempre sospeso tra cinismo e idealismo, un uomo che non si lascia mai ingabbiare in definizioni nette. Ad accompagnarlo ci sono figure che ormai iniziano a delinearsi come ricorrenti: il Professore e Tristan Bantam, giovane alla ricerca di risposte su un mistero che sembra più grande di lui.
Il tono dell’avventura è segnato dall’irrompere del fantastico e dell’esoterico: apparizioni, magie, superstizioni e atmosfere cariche di mistero. Per chi, come me, apprezza Corto soprattutto come personaggio “concreto”, capace di muoversi tra pirati, rivoluzionari e fortune da inseguire, questa dimensione più occulta può lasciare un po’ titubanti. Tuttavia, è proprio in questo equilibrio instabile tra realismo e suggestione magica che Pratt dimostra la sua originalità: non offre certezze, ma lascia al lettore il compito di decidere se prendere sul serio o meno il lato sovrannaturale.
Appuntamento a Bahia funziona bene come capitolo intermedio: fa da ponte, arricchisce i legami tra i personaggi e prepara al successivo tassello del trittico. È forse meno incisivo sul piano narrativo, ma contribuisce a rafforzare quel senso di avventura globale che spinge Corto da un capo all’altro del mondo, senza mai dargli (né darci) il tempo di capire del tutto chi sia.
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