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domenica 31 agosto 2025

Ultimo giorno prima del rientro

 


Dopo una mattinata dedicata a sistemare le solite faccende post-viaggio, tra Norvegia e Val Pusteria, nel pomeriggio mi ritrovo nuovamente con Zizzy per un’altra piccola avventura. La meta scelta è la Riserva Naturale di Monterufoli-Caselli, nei dintorni di Canneto, un’area protetta di quasi 5.000 ettari che si estende tra le Colline Metallifere e la Val di Cecina. Un polmone verde considerato wilderness di livello europeo, con boschi di querce, cerri e lecci, resti di miniere, tracce di antiche ferrovie e una biodiversità di tutto rispetto che include orchidee selvatiche, iris tirrenici e persino tassi e agrifogli nei microclimi più umidi.

Peccato che, stavolta, di umido non ci fosse proprio nulla. Tutti i corsi d’acqua e le cascatelle che rendono celebre la zona erano completamente secchi. Niente pozze cristalline, niente ruscelli da attraversare: solo il ricordo di quello che dovrebbe scorrere nei mesi più piovosi. In compenso, l’aria era piena di tafani, che hanno reso la passeggiata un continuo balletto di schivate e manate.

Eppure, tra bosco fitto, profumo di muschio e tracce di storia nascosta, anche questa è stata un’esperienza da ricordare. Un piccolo trekking trasformato in esplorazione, avventura e scoperta. Non certo un buco nell’acqua, anche perché, l’acqua, non c’era proprio.

La giornata si è conclusa a Casino di Terra, dove una piccola fiera di artigianato etico ci ha accolti con luci, bancarelle e profumi irresistibili. Cena semplice ma di sostanza: fegatini e porchetta di cinta senese, gustati con soddisfazione e spirito conviviale.

Anche così, tra tafani pomeridiani e porchetta serale, si costruiscono le giornate da ricordare: fatte di boschi silenziosi, camminate condivise e tavolate genuine che riconciliano con il mondo.


sabato 30 agosto 2025

Dai monti al mare (mosso)

 
Saluto i monti dell'Alto Adige questa mattina sotto la pioggia. Credo di farlo abbastanza presto, parto alle 8.30, per poter arrivare con calma subito dopo pranzo. Accantono subito l'idea di fare una capatina a Bolzano per il terzo museo di Messner, e meno male. Impiego circa tre ore solo per uscire dal Trentino e rimpiango di non avere una Tesla o almeno un cambio automatico, o un autista. La storia si fa lunga e pesante pure a Carpi e sulla Firenze Bologna. Arrivo stanco al sole del tramon.. No, questa è un'altra storia. Arrivo a Piomba ancora carico di energie, doccia, tenuta estiva e via a Baratti per vedere la luminara di San Cerbone. Ahinoi purtroppo c'è troppo vento. Un ponentaccio che smuove il mare ed impedisce la rievocazione con le barchetta. Chi se ne frega, il passaggio è comunque fantastico. E le onde sono uno spettacolo. 

venerdì 29 agosto 2025

Dal lago di Dobbiaco al lago di Landro

 

Dopo giorni di trekking impegnativi, oggi scelgo un percorso più semplice ma non per questo meno affascinante: dal Lago di Dobbiaco al Lago di Landro, andata e ritorno, lungo circa venti chilometri. È uno di quei giri che non puntano tanto alla fatica quanto al piacere di camminare immersi nella natura, con lo sguardo costantemente catturato dalle Dolomiti.

Il Lago di Dobbiaco è la porta d’ingresso perfetta: uno specchio d’acqua verde smeraldo a 1.251 metri, nato da una frana preistorica che sbarrò il torrente Rienza. È raccolto, quasi intimo, incorniciato da boschi e con passerelle che permettono di costeggiarlo da vicino. Qui Gustav Mahler passava le sue estati, trovando ispirazione per alcune delle sue sinfonie, e non è difficile capire perché: il silenzio, il riflesso delle cime sull’acqua, il senso di quiete assoluta.

Da qui imbocco il sentiero che costeggia in gran parte la vecchia ferrovia delle Dolomiti (oggi pista ciclabile). È un cammino scorrevole, quasi pianeggiante, che si snoda tra boschi di abeti, radure erbose e qualche scorcio improvviso verso le vette. Lungo il percorso appaiono cartelli e resti che ricordano il passato ferroviario di questa tratta, un tempo collegamento strategico tra Dobbiaco e Cortina.

Dopo circa dieci chilometri arrivo al Lago di Landro (1.406 m). Più ampio e aperto rispetto a Dobbiaco, meno scenografico nei colori ma di grande fascino per l’ambiente circostante. Qui lo sguardo corre dritto verso il Gruppo del Cristallo, che si riflette nelle acque poco profonde. E soprattutto si alza verso nord, dove tra le nubi fanno capolino le Tre Cime di Lavaredo: intramontabili, anche viste da lontano, con la loro sagoma che da sola vale la gita.

Il meteo è stato un compagno ambiguo: durante il trekking mi ha graziato, niente pioggia nonostante le previsioni. Camminata asciutta, con solo qualche nube a giocare con i panorami. Appena però rientro a Dobbiaco mi accoglie un bell’acquazzone, e lo stesso copione si ripete a Brunico: la pioggia mi trova quando ormai non serve più.

In totale una ventina di chilometri percorsi, senza difficoltà tecniche, in un ambiente che unisce natura, storia e panorami dolomitici. Due laghi diversi e complementari: il primo più raccolto e musicale, il secondo più selvaggio e aperto. Una giornata meno “ignorante” rispetto alle precedenti, ma non meno gratificante.


Album fotografico Dal lago di Dobbiaco al lago di Landro 


giovedì 28 agosto 2025

Brunico

 

La pioggia oggi è stata compagna fissa, e allora meglio non intestardirsi con dislivelli assurdi. Ho deciso di prendermela con calma, limitandomi a un piccolo trekking di circa 9 km nei dintorni di Brunico, dentro e fuori dal bosco che avvolge la città come una cornice naturale. Atmosfera diversa dal solito: sentieri bagnati, silenzio rotto solo dal tamburellare della pioggia e dal profumo intenso di resina.

Il percorso mi ha portato fino al Cimitero Monumentale di Guerra sul Kühbergl, poco sopra il centro. Un luogo che tocca subito corde profonde: più di 600 soldati austro-ungarici della Prima Guerra Mondiale riposano qui, provenienti da varie regioni dell’impero. Croci in legno scuro allineate, circondate da alberi alti e dal tappeto di aghi di pino. Non c’è monumentalità retorica, ma un silenzio potente che racconta la tragedia della guerra in maniera più forte di qualsiasi discorso. Camminare tra quelle tombe, sotto la pioggia, è stato come ritrovare un tempo sospeso: la montagna che custodisce le storie di chi non è mai tornato a casa.

Dal colle ho poi proseguito fino al Castello di Brunico, che domina dall’alto l’abitato. Ed è qui che ho trovato riparo e cultura: all’interno delle sue mura si trova infatti il MMM Ripa, un altro dei sei musei di Messner, dedicato ai popoli di montagna del mondo. Tibetani, sherpa nepalesi, mongoli, indios andini, ma anche culture alpine più vicine a noi: abiti tradizionali, oggetti di vita quotidiana, strumenti musicali, immagini e racconti. Un viaggio etnografico che, grazie alla cornice medievale del castello, diventa doppiamente suggestivo.

Il castello stesso, poi, è una piccola perla: costruito nel XIII secolo dai Principi Vescovi di Bressanone, conserva ancora torri, cortili interni e affreschi. Le finestre si aprono sulla città e sulla valle, oggi avvolta dalle nubi basse: un contrasto perfetto tra il grigio del tempo e i colori delle case laggiù.

La pioggia, insomma, non ha guastato la giornata: l’ha semplicemente resa diversa. Meno fatica fisica, più introspezione. Dalla memoria dei caduti nel bosco al viaggio tra le culture del mondo in un castello medievale, Brunico ha mostrato un volto più intimo e raccolto, da vivere senza fretta.

Per finire il pomeriggio ho avuto la stressa idea dei sette milioni di turisti presenti in Trentino, oltre a quelli arrivati in Alto Adige: andare ad una spa. C'è da dire che meno male sono organizzati bene. E per cena spatzle! 

Album fotografico Brunico 


mercoledì 27 agosto 2025

Plan de Corones

 



Dopo la giornata titanica alla Croda del Becco di ieri, oggi ho deciso di non lasciare nulla al caso: il meteo dei prossimi giorni dava piogge forti e quindi il secondo trekking impegnativo andava piazzato subito. Stanchezza o no, bisognava approfittarne.

Parto da Riscone, dove parcheggio l’auto. Qui molti prendono la funivia per risalire fino al Plan de Corones, ma io preferisco risparmiare i 35 € del biglietto e guadagnarmi la cima con le mie gambe. La salita è dura ma regolare: un dislivello “ignorante”, come direbbe qualcuno, ma che scorre bene.

I primi 500 metri di dislivello sono un continuo zig-zag su tornanti nel bosco, avvolto dal profumo di resina e con il terreno ancora fresco del mattino. I successivi 300 diventano più gentili: il sentiero si apre a tratti, regala scorci sulla valle e permette di riprendere fiato senza perdere il ritmo. Poi arrivano gli ultimi 500, ancora più severi ma con un paesaggio che cambia radicalmente: prati larghi, quasi praterie alpine, che accompagnano fino alla vetta.

Arrivato in cima, le nuvole giocano a nascondino con il sole, ma il cielo resta variabile e la vista è spettacolare: un panorama a 360 gradi sulle Dolomiti, con cime che spuntano da ogni lato come denti aguzzi e vallate profonde che si perdono all’infinito.

Non contento della conquista, decido di non fermarmi e inizio un saliscendi tra vari sentieri. Il più noto è quello che porta al Concordia 2000, un monumento inaugurato nel 2003 per celebrare la pace e l’unione tra i popoli. Al centro c’è una grande campana in bronzo, collocata a 2.275 metri di quota, con incise parole che richiamano alla fratellanza universale. Ogni giorno, alle 12.00, la campana viene suonata e il suo rintocco si diffonde nella valle. Davvero un simbolo suggestivo in un luogo così sospeso tra cielo e terra.

Camminando trovo anche la “via artis”, un percorso costellato di installazioni artistiche contemporanee. Sono opere spesso fatte con materiali naturali o che dialogano con l’ambiente circostante: sculture, strutture lignee, giochi di forme e colori che spuntano lungo il sentiero, trasformando la camminata in una piccola galleria d’arte a cielo aperto. Una contaminazione riuscita, che spezza la monotonia del verde con spunti di riflessione e curiosità.

La giornata non finisce qui: al Plan de Corones ci sono anche due musei che meritano una visita. Il primo è il Lumen, un museo dedicato alla fotografia di montagna. Modernissimo, ospitato all’interno di una ex stazione della funivia, racconta la storia delle prime immagini alpine fino all’arte fotografica contemporanea, con installazioni multimediali e mostre temporanee. Interessante e ben curato, riesce a far vedere la montagna sotto una lente inedita eppure ormai parte delle nostre vite: quella dell’obiettivo fotografico.

Il secondo è uno dei sei musei della rete Messner: il MMM Corones. Ideato ovviamente da Reinhold Messner, è stato progettato dall’archistar Zaha Hadid e si sviluppa in gran parte sottoterra, con enormi vetrate che si affacciano nel vuoto. Qui il tema è l’alpinismo tradizionale: attrezzature d’epoca, racconti delle prime ascensioni, riflessioni filosofiche sul rapporto tra uomo e montagna. Non è un museo neutrale: è la visione di Messner, con la sua impronta forte e personale, e proprio per questo affascina.

Dopo un lungo giro, tra boschi, prati, arte e musei, scendo di nuovo a Riscone a fine giornata. Gambe stanche, sì, ma il cuore pieno: oggi il Plan de Corones non è stato solo una cima conquistata, ma un vero crocevia di natura, cultura e panorami.

Album fotografico Plan de Corones 

Album fotografico Museo Messner e Museo Lumen 


martedì 26 agosto 2025

Croda del Becco dal Lago di Braies

 

Dopo l’ottima partenza di ieri, oggi è stato il giorno del grande trekking: quello che ti rimane addosso non solo nelle gambe ma anche negli occhi e nella memoria. Meta: Croda del Becco (Seekofel), partendo dal leggendario Lago di Braies.

Sveglia presto, ancora una volta. Tre motivi, stavolta: il primo, banalmente pratico, riguarda il parcheggio del lago. Per chi arriva prima delle 9.00 non serve prenotazione, ma molti posti erano già bloccati online. Qualcuno però resta sempre libero per i mattinieri: io alle 6.20 ero già sul posto. Secondo motivo: l’escursione è tosta, quasi 20 km con 1.500 metri di dislivello positivo e passaggi attrezzati, quindi volevo avere tutta la giornata davanti. Terzo motivo: il sole. Ho studiato il giro e l’ho fatto in senso orario: così la lunga salita l’ho percorsa quasi tutta all’ombra, e nella discesa ho avuto il sole sempre alle spalle. Strategia vincente.

Il punto di partenza è il Lago di Braies, uno degli specchi d’acqua più famosi delle Dolomiti, a 1.496 metri di quota. Un lago glaciale che sembra disegnato: acque color smeraldo, boschi che lo abbracciano e le cime che si specchiano dentro come in un dipinto. Oggi, a quell’ora del mattino, era ancora quasi addormentato: silenzio interrotto solo dalle  barchette di legno ferme e dalla mia partenza verso il sentiero.

Il primo tratto è la parte più impegnativa fisicamente: salita decisa, con tratti ripidi e qualche passaggio attrezzato con cavi metallici, che ti ricorda che sei in Dolomiti e non su una passeggiata domenicale. La fatica, però, viene ripagata passo dopo passo: il bosco lascia spazio a panorami sempre più aperti, con viste che si allargano sulla valle e sul lago che pian piano resta alle spalle. Tutto segnato e segnalato magnificamente tranne il tratto per raggiungere la punta: circa due km in cui si va un po' a sensazione. 

Dopo circa 8 km arrivo alla protagonista della giornata: la Croda del Becco (2810 m). La cima si erge massiccia e bianca, un balcone naturale che domina l’intera Val Pusteria. Da lassù la vista è semplicemente incredibile: non solo il lago laggiù, piccolo come una pietra preziosa incastonata tra i boschi, ma tutto l’altopiano di Fanes-Senes-Braies, un mondo sospeso fatto di prati, torbiere e cime dolomitiche a perdita d’occhio. Una vetta che sa di conquista.

Poco più sotto si incontra il Rifugio Biella (Seekofelhütte, 2327 m), posto in una radura che sembra scolpita apposta per accogliere l’escursionista. È uno dei rifugi più antichi della zona, costruito nel 1907, e ancora oggi mantiene un’atmosfera autentica, quasi spartana. Qui ci si ricarica: acqua fresca, la mitica limonata e lo sguardo che corre tra pascoli e crode.

La discesa continua tra paesaggi sempre diversi: prati, boschi e infine di nuovo il lago, che mi accoglie dopo quasi 10 ore totali di cammino (7 ore e mezza effettive di movimento). Le gambe sentono la fatica, ma il cuore no: questa escursione è stata esaltante, di quelle che ti fanno dire “ne è valsa la pena” dal primo all’ultimo passo. Da non sottovalutare neanche la discesa per il sentiero 23.

Un anello perfetto, dove natura, tecnica e bellezza si mescolano in modo armonico: il Lago di Braies come punto di partenza e arrivo, il Rifugio Biella come tappa intermedia e la Croda del Becco come regina della giornata.

Una delle escursioni più belle che abbia fatto negli ultimi tempi. “Abbestia”, per dirla senza troppi giri di parole.


Album fotografico Croda del Becco dal Lago di Braies 


lunedì 25 agosto 2025

Cascate di Riva e Castello Taufers

 



Dopo l’avventura norvegese e la rapida toccata e fuga in Maremma, non c’è tempo per respirare: zaino di nuovo pronto e via verso l’Alto Adige. La base scelta stavolta è San Lorenzo, in Val Pusteria, e già la logistica mi strappa un sorriso: il check-in alla Pension Panorama è fissato alle 10.00 del mattino. Una rarità! Così ho pensato: perché non sfruttare la cosa fino in fondo? Sveglia assassina alle 3.15, caffè al volo e via. Dopo ore di viaggio arrivo puntuale, faccio registrazione, cambio veloce d’abito e sono subito operativo per il primo trekking del soggiorno.

La meta è Campo Tures, piccolo centro a nord di Brunico che sembra uscito da una cartolina: case imbiancate, tetti spioventi, fiori ai balconi, e il tutto incorniciato da montagne imponenti. Qui inizia l’anello che ho deciso di percorrere oggi, immerso nei boschi e tra prati alpini.

Tappa obbligata: le Cascate di Riva, un vero gioiello naturale. Sono tre salti d’acqua fragorosi formati dal torrente Reinbach, che scende impetuoso scavandosi un canyon spettacolare. Un tempo erano usati anche per l’energia idroelettrica, oggi sono uno dei punti panoramici più noti della zona. Salgo fino alla terza cascata, quella più scenografica, dove l’acqua precipita con una potenza quasi ipnotica. Invece di ripetere il percorso classico, scelgo l’anello che aggira il bosco e permette di vivere il paesaggio da altre prospettive. La giornata è limpida, l’aria fresca e il rumore dell’acqua accompagna la camminata: perfetto come primo assaggio delle Dolomiti.

Visto che è ancora presto, non resisto a un’altra tentazione: la visita al Castello di Tures (Burg Taufers). L’edificio domina la valle dall’alto di un promontorio roccioso ed è uno dei castelli meglio conservati di tutto l’Alto Adige. Costruito nel XIII secolo, è stato dimora dei Signori di Tures e successivamente dei Conti di Tyrol. Oggi si visita con guida e offre un viaggio nel tempo: sale medievali arredate, cappella affrescata, la stanza delle torture e persino un’interessante collezione di armi. Non manca, ovviamente, la classica leggenda del castello infestato dai fantasmi: in questo caso quello di Margarethe von Taufers, che pare ancora vaghi tra le mura. Una sosta che arricchisce la giornata di un pizzico di suggestione storica oltre alla natura.

Dopo l’immersione tra boschi, acqua e pietra medievale, rientro con calma a San Lorenzo. La Pension Panorama fa onore al nome: da qui lo sguardo abbraccia la valle con i suoi campi ordinati e i tetti aguzzi dei villaggi sparsi. Giusto il tempo di una doccia e mi concedo una breve visita a Brunico, cittadina elegante e vivace. Il centro storico è un susseguirsi di portici, negozi tradizionali e facciate colorate che rivelano l’influenza austriaca. La via Centrale, con le insegne antiche e le case alte e strette, sembra fatta apposta per passeggiare senza fretta.

La giornata si chiude con la cena, ovviamente tipica: canederli fumanti, serviti come si deve . Pane, speck, erbe, formaggio : un piatto semplice ma sostanzioso che racconta in pieno la tradizione tirolese. Un degno finale per la mia prima giornata in Val Pusteria, iniziata di notte e finita tra acqua, pietra e sapori montani. Domani ci sarà altro da scoprire, ma l’esordio promette bene.


Album fotografico Cascate di Riva e Castello Taufers 


domenica 24 agosto 2025

Visita al Lago dell'Accesa

 

Lago dell’Accesa. Oggi sveglia presto, come mio solito, per arrivare prima che le pedane di legno che si affacciano sull’acqua vengano prese d’assalto. Il premio? Stendermi in totale pace davanti a uno specchio d’acqua che sembra inventato: il lago è piccolo, profondo circa 40 metri, ma con un’acqua talmente cristallina che pare quasi irreale. Si trova in Maremma, vicino a Massa Marittima, ed è alimentato da sorgenti sotterranee che mantengono sempre una trasparenza incredibile.

Mentre mi godevo il silenzio, ho condiviso il tempo con le libellule che sfrecciavano sopra la superficie e con una tartaruga d’acqua che ha fatto capolino vicino alla riva. Diventa ufficialmente il mio secondo animale guida, dopo il topo del deserto: lento, silenzioso, ma presente al momento giusto.

Abbiamo anche percorso qualche sentiero di trekking nei dintorni, fra boschi e tracce etrusche (qui un tempo c’era addirittura un insediamento minerario), ma il caldo ci ha riportati di nuovo verso l’acqua. Un altro tuffo, e tutto prende la giusta dimensione: refrigerio, quiete e la sensazione che certi luoghi siano fatti apposta per fermarsi e respirare.




giovedì 21 agosto 2025

Ultimo giorno di Norvegia a Oslo

 


Ultima giornata in Norvegia, e decido di giocarmi bene le ore a disposizione prima del volo di ritorno. Mattina dedicata alla penisola di Bygdøy, facilmente raggiungibile con un traghetto dal centro: pochi minuti di navigazione ed eccomi nella zona che concentra alcuni dei musei più affascinanti del paese.

La prima tappa è il Fram Museum, interamente dedicato alla storia delle esplorazioni polari. All’interno è conservata la nave Fram, quella che ha portato Nansen e Amundsen nelle spedizioni artiche e antartiche. Camminare sul ponte di un vascello che ha solcato i ghiacci più estremi del pianeta trasmette un senso unico di avventura, sacrificio e sfida all’impossibile.

Accanto, il Norsk Maritimt Museum amplia lo sguardo: un percorso che racconta la tradizione marittima norvegese, dalle imbarcazioni vichinghe alla navigazione commerciale, con modellini, strumenti e perfino simulazioni multimediali che ti catapultano tra onde e vele.

Infine il Kon-Tiki Museum, forse il più “romantico”. Qui si rivive l’impresa di Thor Heyerdahl, che nel 1947 attraversò l’Oceano Pacifico su una zattera di legno di balsa per dimostrare che le antiche civiltà potevano stabilire contatti tra continenti lontani. La zattera originale è lì, davanti agli occhi, insieme ad altri cimeli delle sue spedizioni. È un museo che mescola scienza, sogno e avventura.

Dopo un pranzo veloce, il pomeriggio lo dedico a una lunga passeggiata al Vigelandsparken. Un parco monumentale che non assomiglia a nessun altro: oltre 200 sculture di Gustav Vigeland, in granito, bronzo e ferro battuto. Figure umane in tutte le pose possibili, dall’infanzia alla vecchiaia, dall’amore al conflitto. Il celebre “Bambino arrabbiato” e il colossale Monolitten, 121 figure intrecciate scolpite in un unico blocco di granito, sono immagini che rimangono impresse. Più cammini tra questi viali, più ti rendi conto che il parco è un grande racconto sull’umanità stessa.

Infine, il rientro in hotel per recuperare il bagaglio e il trasferimento verso l’aeroporto di Torp. Mentre attendo il volo, guardo fuori dalle vetrate: foreste fitte, laghi scuri, montagne che si intravedono in lontananza. Paesaggi che hanno accompagnato ogni singolo giorno di questo viaggio, regalandogli un’aura speciale. La Norvegia si congeda così, con la sua natura stupefacente e la sua capacità di sorprendere anche negli istanti finali.

Un commiato che sa di promessa: potrei tornare. Jeg kommer kanskje tilbake. 


Album fotografico Oslo #2




mercoledì 20 agosto 2025

Da Stavanger ad Oslo

 


Oggi giornata di pura transizione. Quasi otto ore tra treno e bus per tornare da Stavanger a Oslo, ma ancora una volta i paesaggi norvegesi non deludono: boschi, specchi d’acqua, scorci che rendono piacevole persino un lungo trasferimento. Inoltre il treno è decisamente comodo ed in versione vip. 

Arrivo a Oslo nel tardo pomeriggio, giusto il tempo di sistemarmi in hotel e concedermi una doccia rigenerante. Prima della cena faccio un piccolo giro in centro, tanto per rimettere in moto le gambe, e mi regalo una visita veloce alla Biblioteca Deichman Bjørvika: architettura modernissima, spazi ampi, terrazze con vista. Un luogo che sembra pensato non solo per leggere, ma per vivere la città da una prospettiva diversa.

Alle 19 mi aspetta la cena allo Stortorvets Gjæstgiveri, ristorante storico che trasuda atmosfera: legno, luci calde, piatti tradizionali norvegesi serviti con un tocco di eleganza. Dopo cena, nonostante la stanchezza del viaggio, decido che non posso perdermi un’esperienza speciale: entro da HIMKOK, cocktail bar senza alcuna insegna (suggerito da VIKI) che richiama i vecchi speakeasy. Luci soffuse, atmosfera segreta, drink preparati con una cura maniacale. È uno di quei posti in cui il tempo sembra sospendersi, perfetto per chiudere una giornata lunga ma intensa. L'ultima sera qui in Norvegia.  Ma non è ancora momento per dirle addio. 

Album fotografico Da Stavanger a Oslo 


martedì 19 agosto 2025

Crociera a Lysenfjord e Sverd i Fjell

 

Oggi giornata dedicata a una lunga crociera sul Lysefjord, con una serie di tappe che raccontano tanto la natura quanto la storia della Norvegia.

La navigazione inizia passando da Tronholmen, isoletta storica dove, pensate, si tenne nel 998 la prima assemblea nazionale guidata da Olav Tryggvason, discendente diretto di Harald Fairhair, il re che unificò la Norvegia. Un luogo minuscolo che però porta con sé un peso enorme nella memoria del Paese.

Poco più avanti si entra nell’Høgsfjorden, un braccio di mare che si estende per 23 km. È un fiordo relativamente profondo, con pareti ripide e verdi che scendono dritte nell’acqua: scenario perfetto per chi ama pescare o andare in barca, ma anche solo da ammirare in silenzio.

Si costeggia quindi l’isola di Ådnøy, caratterizzata da colline morbide e prati coltivati. Qui la vita scorre lenta: piccola popolazione residente, agricoltura e pesca come attività principali. Un contrasto piacevole rispetto al caos urbano di Stavanger, che sembra lontanissimo.

Poi si entra nel protagonista assoluto: il Lysefjord. Lungo 42 chilometri, è famoso per i suoi scenari drammatici, con pareti che si innalzano fino a 1.000 metri e scendono a picco in mare. Il nome stesso, “Lyse”, deriva dal colore chiaro delle rocce di granito che dominano il paesaggio e che regalano al fiordo un’atmosfera unica. Non a caso è una delle mete più visitate della Norvegia.

La barca si ferma quindi a Forsand, piccolo gioiello con testimonianze archeologiche che risalgono addirittura all’Età della Pietra. Da qui partono molti dei sentieri più famosi della zona, come quelli che portano a Preikestolen o al Kjeragbolten, ma anche solo la vista delle fertili campagne e delle antiche fattorie racconta secoli di storia rurale.

Lungo il fiordo appare la Fantahålå, la “caverna dei vagabondi”: una cavità naturale nascosta nelle scogliere. In passato era rifugio per viandanti e, secondo le leggende, anche per chi voleva sottrarsi alle leggi o alle intemperie. Vederla dal mare dà proprio l’idea di un rifugio segreto.

La tappa più attesa è ovviamente il Preikestolen, il Pulpit Rock: il gigantesco pulpito di granito che si protende nel vuoto a 604 metri d’altezza. Vederlo dal fiordo è diverso rispetto a ieri, quando ci sono salito a piedi: da sotto si percepisce ancora di più la vertigine e la maestosità della parete, piatta e imponente. Non a caso è una delle attrazioni naturali più famose del Paese, set perfetto anche per scene cinematografiche (qui è stato girato il finale di Mission: Impossible – Fallout).

La crociera prosegue verso Refsa, dove i primi coloni iniziarono a costruire i loro insediamenti sulle rive del fiordo. È un luogo che conserva un sapore antico, quasi primitivo, dove si può immaginare la vita dura ma suggestiva dei primi abitanti.

E infine il gran finale: la cascata di Hengjanefossen, una delle più spettacolari della zona. L’acqua si tuffa giù dalle ripide pareti e si infrange direttamente nel fiordo, creando spruzzi che arrivano fino alla barca. C’è anche una leggenda legata a questo luogo: quella di Heinrich e Sikke, un amore nato sulle rive della cascata e contrastato dalla comunità locale. Heinrich, inoltre, produceva illegalmente alcol usando proprio l’acqua purissima della Hengjanefossen. La loro storia si perde nel mistero — qualcuno dice che lui fuggì, altri che rimase — ma la cascata continua a raccontarla con il suo fragore.

È un itinerario che unisce tutto: storia, natura, leggende e panorami da togliere il fiato. Un viaggio lento dentro il cuore del fiordo, che lascia negli occhi immagini potenti e nell’animo la sensazione di aver toccato un pezzo profondo di Norvegia.

Dopo la lunga crociera del mattino, il pomeriggio lo dedico a un “urban trekking” particolare, che unisce natura e città. Stavanger ha la fortuna di essere circondata da spazi verdi e parchi urbani che sembrano cuciti addosso alla città: si passa dalle strade al verde in pochi minuti, come se la natura fosse un quartiere in più.

Cammino attraverso giardini, laghetti e sentieri che tagliano zone residenziali tranquille, sempre accompagnato da quell’aria nordica che alterna luce e nuvole in continuazione. È un percorso rilassante ma al tempo stesso suggestivo, perché sembra di attraversare la città da dentro la sua parte più viva: quella naturale.

La meta è uno dei simboli più forti di Stavanger e della Norvegia: Sverd i fjell, le “Spade nella roccia”. Tre colossali spade di bronzo conficcate nel terreno a memoria della battaglia di Hafrsfjord, combattuta nel 872. Fu lì che Harald Fairhair unificò la Norvegia sotto un unico regno. Le lame, alte oltre dieci metri, svettano come guardiani silenziosi sopra l’acqua del fiordo.

Il monumento ha una potenza evocativa enorme: tre spade, piantate nella roccia per non essere mai più estratte, simbolo di pace raggiunta dopo la guerra. Lì davanti il pensiero corre alla lunga storia di questo Paese, ma anche alla sua capacità di trasformare le memorie in arte pubblica, in simboli collettivi.

La camminata si conclude così, tra il verde cittadino e la storia scolpita nel bronzo. Una giornata che ha unito il fragore delle cascate e dei fiordi al silenzio dei parchi, chiudendosi davanti a tre spade gigantesche che raccontano, meglio di mille parole, l’identità norvegese.


Album fotografico Crociera a Lysenfjord e Sverd i Fjell


lunedì 18 agosto 2025

Preikestolen (Pulpit Rock) e Stavanger #2

 



La mattina inizia con un cielo grigio e pesante: nebbia, nuvole basse e quella pioggerellina sottile che in Norvegia sembra essere di casa. Ma l’escursione a Pulpit Rock non può aspettare: o oggi o domani, e con un meteo così imprevedibile meglio rischiare subito.

Il bus mi lascia al punto di partenza del trekking e già lì l’atmosfera non promette niente di buono. Il cielo è chiuso, l’umidità alta e il sentiero appare scivoloso. Ma passo dopo passo, curva dopo curva, il paesaggio si apre e la salita mi porta letteralmente al di sopra delle nubi. È un’esperienza incredibile: terminato il tratto immerso nella nebbia, mi ritrovo con il cielo limpido sopra la testa e un mare di bruma sotto di me.

L’escursione è tra le più celebri della Norvegia. Il Pulpit Rock, o Preikestolen, è una piattaforma naturale di granito che si affaccia a strapiombo sul Lysefjord, circa 604 metri più in basso. Normalmente da qui la vista è vertiginosa, con il fiordo che si allunga stretto e blu tra le montagne. Oggi invece non si vede nulla di tutto ciò: solo un oceano lattiginoso di nuvole che riempie la valle. Eppure lo spettacolo non è meno suggestivo: mi sembra di essere entrato in un quadro, e non uno qualunque, ma il celebre “Viandante sul mare di nebbia” di Caspar David Friedrich. Una visione poetica e romantica, capace di appagare l’escursionista che c’è in me nonostante la mancanza della “cartolina classica”.

Scendo con il cuore e lo spirito leggeri, grato di aver scelto di tentare l’escursione nonostante le premesse. Tornato a Stavanger, mi concedo un pomeriggio più cittadino: entro al volo nella cattedrale, approfittando del fatto che stava per chiudere e quindi l’ingresso era gratuito. Poi visito il Museo dell’inscatolamento, dedicato alla storia dell’industria locale delle conserve di pesce e della stampa: curioso, divertente e inaspettatamente interessante, con un tocco rétro che racconta una parte insolita ma significativa della vita norvegese del secolo scorso.

Una giornata che è stata un saliscendi non solo fisico ma anche emotivo: dalle nubi grigie e opprimenti al cielo limpido e azzurro sopra le montagne, fino al mare di nebbia che ha trasformato il fiordo invisibile in poesia. E per cena finalmente la famosa zuppa di pesce norvegese. 


Album fotografico Preikestolen e Stavanger #2

domenica 17 agosto 2025

Arrivo a Stavanger

 


Lasciata Bergen in mattinata, salgo a bordo di un autobus diretto a Stavanger. Il viaggio dura meno di cinque ore, ma il tempo vola grazie al paesaggio che scorre fuori dal finestrino: coste frastagliate, villaggi di legno, montagne che si specchiano nei fiordi. Prendiamo anche il traghetto per due volte oltre che attraversare tunnell e ponti spettacolari. Un percorso che, pur senza lo spettacolo “scenografico” delle grandi crociere, restituisce un quadro autentico della Norvegia sud-occidentale.

Arrivato a Stavanger e sistematomi nell’appartamento, decido di affrontare la città con calma, a piedi, lasciando che siano le strade e i vicoli a dettare il ritmo della visita.

La prima tappa è Gamle Stavanger, la “vecchia città”. Una cartolina vivente: casette in legno dipinte di bianco, minuscoli giardini fioriti, vicoli silenziosi. È il più grande nucleo europeo di case in legno del XVIII secolo ancora conservate, e passeggiare qui significa immergersi in un’atmosfera sospesa tra museo e quotidianità.

Da qui, con pochi passi arrivo a Øvre Holmegate, soprannominata la “Color Street”. In netto contrasto con il bianco delle casette storiche, questa via è un’esplosione di colori: ogni edificio dipinto con tinte sgargianti, dal fucsia al turchese, secondo un progetto artistico degli anni Duemila che ha dato nuova vita al quartiere. È un luogo perfetto per una pausa fotografica e per respirare un po’ dell’anima giovane e creativa di Stavanger.

Continuo la camminata verso il mare e mi ritrovo davanti allo Stavanger Konserthus, la sala da concerto affacciata sull’acqua. La sua architettura moderna e luminosa, fatta di vetro e linee pulite, racconta una città che non è solo tradizione ma anche contemporaneità e innovazione.

Il cuore verde di Stavanger è il Breiavatnet, il piccolo lago attorno al quale si stende lo Stavanger Park. Un’oasi di quiete con cigni e anatre, perfetta per rallentare il passo prima di visitare la vicina Cattedrale di Stavanger, la più antica della Norvegia, costruita a partire dal 1100 in stile anglonormanno. Le pietre scure della facciata contrastano con la leggerezza del parco e ricordano quanto profonda sia la stratificazione storica della città.

Dopo questo tuffo nel passato, cambio registro con il Museo Norvegese del Petrolio. Costruito come una piattaforma petrolifera che sembra galleggiare sull’acqua, il museo racconta come l’oro nero abbia cambiato il destino della Norvegia a partire dagli anni ’70. Non solo esposizioni tecniche, ma anche installazioni interattive che spiegano il legame, non sempre semplice, tra energia, ambiente e sviluppo sociale.

Infine mi lascio guidare di nuovo verso il porto, il punto più vivo e conviviale della città. Qui si trova Torget, con il mercato del pesce e i ristoranti affacciati sull’acqua. Anche senza sedersi per una cena completa, la zona regala l’atmosfera giusta per concludere la giornata: luci che si riflettono nel mare, profumo di salmone affumicato e l’eco delle voci dei pescatori che da generazioni animano questo spazio.

Così si chiude la mia prima giornata a Stavanger: non una corsa tra attrazioni, ma una passeggiata lenta, in cui storia, modernità e mare si sono mescolati in modo naturale. Una città che sorprende per la sua varietà e che sa essere, al tempo stesso, antica e vivace, silenziosa e colorata.


Album fotografico Arrivo a Stavanger 


sabato 16 agosto 2025

Flam in treno e ritorno in traghetto

 



Oggi è la volta del treno, e non un treno qualunque. Da Bergen salgo sulla ferrovia che porta a Myrdal, tratto già di per sé spettacolare, con binari che si inerpicano tra vallate verdi, laghi e montagne, spesso entrando ed uscendo da lunghi tunnel. A Myrdal cambio per la Flåmsbana, la linea storica che collega l’altopiano direttamente al fiordo.

La Flåmsbana è considerata una delle ferrovie panoramiche più belle del mondo, e capisco subito il perché: venti chilometri appena, ma con una pendenza media del 5,5%, tunnel scavati a mano e scorci continui su cascate e vallate profonde. La fermata più iconica è alla Kjosfossen, cascata impressionante che cade fragorosamente a pochi passi dal treno. Tra le nuvole basse, l’acqua che si tuffa dalle rocce sembra ancora più scenografica. La tratta si conclude nel piccolo borgo di Flåm, adagiato sul fondo del Sognefjord, che oggi diventa la mia base per qualche ora.

Il tempo a disposizione è sufficiente per una passeggiata, anzi un piccolo trekking che mi porta fino alle cascate nei dintorni: sentieri semplici ma suggestivi, con il fragore dell’acqua che accompagna ogni passo e le montagne che incombono da ogni lato. Poi rientro al porto, dove mi aspetta il traghetto per Bergen.

La navigazione dura oltre cinque ore, sempre lungo il Sognefjord. È lo stesso fiordo di ieri, ma la sua immensità rende ogni tratta differente. Le montagne cambiano continuamente aspetto, alternando versanti scoscesi, prati verdi punteggiati di fattorie e cascate che scendono dritte nell’acqua. A tratti sembra un paesaggio già visto, ma la luce, le nuvole e l’ampiezza del fiordo rendono ogni curva un nuovo spettacolo. È un viaggio lento, quasi meditativo: il tempo scorre con il rumore costante del motore e lo scivolare placido del traghetto sull’acqua, mentre il paesaggio si srotola come un film proiettato a 360 gradi. Inoltre la parte esterna al fiordo non è in mare aperto, ma costellata di isole, isolotti, scogli, promontori e tutto ciò che i lembi di terra possono creare quando escono dall'acqua. 

Arrivo a Bergen in serata, stanco ma con la sensazione di aver attraversato non solo un territorio, ma un pezzo della storia e della natura norvegese: treni d’altri tempi, fiordi eterni e montagne che sembrano non voler finire mai.


Album fotografico Treno per Flam e ritorno a Bergen in traghetto 


venerdì 15 agosto 2025

Viaggio da Bergen e crociera sui fiordi

 

Oggi lascio Bergen di buon’ora per un’escursione giornaliera che promette panorami spettacolari, fiordi e ghiacciai. Salgo su un piccolo bus diretto verso Voss — che in realtà è solo una tappa di passaggio — e subito inizia la danza dei tunnel: in Norvegia sembrano non finire mai, chilometri e chilometri scavati nella roccia per collegare valli e coste che altrimenti sarebbero isolate. Tra un traforo e l’altro scorrono fuori dal finestrino tratti di fiordi e fiumi celebri per la pesca al salmone, soprattutto nella zona di Evanger, dove il fiume Vosso ha reso la località una meta di riferimento per gli appassionati.

Il bus affronta poi il Myrkdalvegen Serpentinveg, una strada a tornanti che si arrampica sulle montagne regalando scorci su vallate verdi e cascate gonfie per la pioggia. E di pioggia oggi ce n’è parecchia, insieme a una nebbia bassa che avvolge tutto: invece di rovinare il paesaggio, lo rende quasi mistico. È Ferragosto, e mentre in Italia si boccheggia per il caldo, qui si viaggia con il giubbotto allacciato.

La prima vera sosta è a Storesvingen, un belvedere spettacolare sulla valle di Nærøydalen. Anche se le nuvole coprono parte della vista (al ritorno faccio foto col sole dallo stesso punto) , il fascino resta intatto: le montagne si intravedono tra gli sbuffi di nebbia, il fiume scorre in fondo alla valle e la strada a tornanti di Stalheimskleiva sembra una sottile riga bianca che serpeggia in mezzo al verde.

Si prosegue fino a Vik, dove ci imbarchiamo per attraversare il Sognefjord. È il fiordo più lungo e profondo della Norvegia, e anche con pioggia e cielo plumbeo è uno spettacolo: montagne che scendono a picco sull’acqua, cascate che si gettano nel fiordo come fili d’argento e villaggi che sembrano incollati alle rive. Dopo la navigazione arriviamo a Balestrand, cittadina famosa per le ville in legno in stile svizzero e per la chiesa di Sant’Olaf, costruita a fine Ottocento in stile ispirato alle stavkirke medievali.

Da qui la strada acquatica ci porta a Fjærland, “la città dei libri”, dove librerie e scaffali spuntavano nei luoghi più impensati come stalle e fienili. Il sole decide finalmente di farsi vedere proprio mentre visitiamo il Museo del Ghiacciaio. L’esterno è gradevole e ben inserito nel paesaggio, ma l’interno… diciamo che non entusiasma: contenuti un po’ poveri e presentazione che non riesce a trasmettere la grandiosità del tema.

Poco dopo siamo ai piedi del Bøyabreen Glacier. È uno dei ghiacciai più accessibili della Norvegia, una lingua di ghiaccio che scende tra le montagne fino a pochi metri dalla strada. Con il sole ormai alto, i contrasti di bianco e verde sono potenti, e il ghiacciaio sembra quasi brillare.

Il rientro avviene seguendo la stessa via dell’andata: traghetto e poi bus, attraversando di nuovo tunnel e serpentine. Stavolta però, con negli occhi le immagini della giornata, anche il paesaggio già visto sembra più vivo, come se il sole finale avesse colorato retroattivamente tutto il viaggio.


Album fotografico viaggio da Bergen verso i fiordi 


giovedì 14 agosto 2025

Bergen, mini crociera e Monte Ulriken

 

La sveglia suona presto, molto presto. Bergen dorme ancora, ma io sono già in marcia: un urban trekking mattutino per scoprire gli angoli che ieri avevo lasciato fuori. La città, pur essendo la seconda più grande della Norvegia, si lascia girare a piedi con sorprendente facilità. Stradine strette che improvvisamente si aprono su piazze, scorci di porto che spuntano tra le case, il contrasto continuo tra i colori vivaci delle facciate e il cielo che gioca a cambiare tono ogni dieci minuti.

Cammino senza fretta, ma con metodo, fino a quando arriva l’ora di apertura dei musei. Prima tappa: il Bryggen Museum, che racconta la storia del quartiere anseatico, cuore pulsante della Bergen medievale. Il museo si trova esattamente sopra i resti archeologici di edifici bruciati in un grande incendio del 1955, che paradossalmente ha permesso di riportare alla luce parti intatte di strutture in legno risalenti al 1100. Qui scopro come la Lega Anseatica trasformò Bergen in un centro commerciale di primo piano, dove il commercio dello stoccafisso era l’oro dell’epoca.

Poi è la volta del Bergenhus, la fortezza che domina l’ingresso del porto. È uno dei complessi fortificati meglio conservati della Norvegia e risale al Medioevo, con il mastio di Håkon’s Hall come fiore all’occhiello. All’interno, un grande salone che un tempo ospitava banchetti reali e oggi accoglie eventi e concerti. Poco distante, la Rosenkrantz Tower, parte del sistema difensivo, ricorda che Bergen, pur pittoresca, è stata anche città strategica da proteggere.

A metà giornata è tempo di cambiare prospettiva: mi imbarco per una mini crociera nel fiordo cittadino. Un’ora appena, ma sufficiente per vedere Bergen dal suo elemento più naturale, l’acqua. La barca costeggia le case colorate, passa vicino a isolotti minuscoli e sfiora scogliere dove l’urbanizzazione lascia spazio alla natura. Il tutto accompagnato da un commento che mescola storia, geografia e aneddoti curiosi. Sì, è un’esperienza decisamente turistica, ma vale la pena per avere il colpo d’occhio completo sulla città e il suo anfiteatro di colline.

Il vero piatto forte della giornata, però, arriva nel pomeriggio: trekking sul monte Ulriken, il più alto dei “Sette Monti” che circondano Bergen. Ho deciso di salire a piedi e poi scendere in funivia, e mai scelta fu più azzeccata. Circa 14 km sopraelevati (20  complessivi) , immerso nei paesaggi che avevo sognato quando questa gita era ancora solo un’idea su una mappa. Spazi verdi aperti che sembrano non finire mai, laghetti incastonati tra le rocce, piccole baite solitarie e viste che tolgono il fiato anche a chi è abituato a montagne più severe.

La prima parte del percorso è una passeggiata relativamente semplice, ma poi arriva il tratto più impegnativo, con un sentiero attrezzato da catena (non segnalato), giusto per dare un pizzico di adrenalina in più. Niente che possa spaventare chi mastica Apuane a colazione, ma comunque abbastanza tecnico da rendere la discesa bagnata più interessante. Ma lassù in cima… beh, la cima è un concentrato di soddisfazione e vento, con la città e il fiordo stesi sotto di te come in una foto aerea.

Torno a valle in funivia, guardando scorrere all’indietro il sentiero appena percorso. La giornata è stata talmente piena che non mi spaventa neppure la pioggia che ha deciso di farci compagnia in serata. Mi concedo un aperitivo a una modica cifra di 17,90 euro — sì, li ho contati, sì, sono dei bastardi, ma dopo una giornata così ogni sorso sa di ricompensa.

Bergen oggi mi ha dato tutto: storia, mare, montagne e pure un po’ di sfida fisica. E io mi sono preso tutto, fino all’ultima goccia. Inoltre cena al mercato del pesce con un surf & turf nordico a base di astice norvegese e... Balena. Eh sì.. 


Album fotografico Bergen, mini crociera e Monte Ulriken 


mercoledì 13 agosto 2025

Da Oslo a Bergen

 



Parto da Oslo di prima mattina, con il treno diretto verso Bergen. Sei ore e mezza di binari, ma chiamarle “sei ore e mezza di viaggio” è riduttivo: è come sedersi in un cinema con il documentario più bello del mondo, e avere il posto in prima fila. Il finestrino è il mio schermo, e fuori scorrono montagne che sembrano cadere a picco nei laghi, cascate che si gettano con impeto, distese verdi interrotte da casette rosse, il tutto avvolto da una luce nordica che cambia di minuto in minuto. Lungo il percorso il treno rallenta più volte, quasi consapevole che sarebbe un crimine passare troppo in fretta davanti a certi scorci.

Quando arrivo a Bergen nel primo pomeriggio, la sensazione è quella di entrare in una città che vive in equilibrio tra terra e mare, storia e modernità. È compatta, colorata, con un’atmosfera accogliente ma anche energica. Dopo il check-in, la prima mossa è puntare verso la funicolare del Fløibanen, che in pochi minuti porta in cima al Monte Fløyen, a 320 metri di altezza. Da lì, la vista è mozzafiato: il centro storico, il porto, i fiordi che si insinuano tra le colline.

Come sempre, però, le cartoline hanno un prezzo: i primi metri del sentiero sono un’orgia di selfie stick, giubbotti fosforescenti e famiglie intere che si fermano in mezzo al passaggio. È l’effetto collaterale dell’overtourism, e per un attimo temo di aver perso il contatto con la natura. Ma basta un po’ di ostinazione, scegliere un tracciato secondario, e tutto cambia. Il brusio si spegne, il profumo di resina prende il sopravvento, e il bosco si richiude intorno a me. I sentieri qui sono un labirinto verde che alterna salite morbide e piccoli laghetti, con punti panoramici che ti ricordano quanto la Norvegia sappia farsi scenografica anche senza urlare.

Tornato in città, mi concedo un giro al mercato del pesce. È un tripudio di colori e profumi: salmone in tutte le sue forme, granchi reali che sembrano usciti da un film di fantascienza, e specialità locali pronte per essere assaggiate sul posto. Peccato che i prezzi siano così alti da farti quasi rimpiangere i souvenir kitsch — qui un semplice panino sembra essere stato pescato con una canna d’oro e cucinato su una padella d’argento. È il lato meno poetico della Norvegia, dove anche una semplice cena diventa un investimento.

Bergen, seconda città più grande del paese, ha un passato affascinante: fu uno dei porti principali della Lega Anseatica, quell’alleanza commerciale che nel Medioevo collegava i mercati del Nord Europa. Il quartiere di Bryggen, con le sue case di legno colorate affacciate sul porto, è oggi Patrimonio UNESCO e conserva ancora l’impronta di quell’epoca (e bada un po' caro Funflus) . Passeggiando tra le sue stradine strette, è facile immaginare mercanti tedeschi intenti a contrattare il prezzo dello stoccafisso, o velieri in partenza verso paesi lontani.

La città vive costantemente sotto un cielo capriccioso: sole e pioggia si alternano come se fossero in gara, e in certi momenti le nuvole sembrano scivolare così basse da poterle toccare, ma nonostante il meteo segnasse qualche rovescio, non ha piovuto. È proprio questo clima, insieme alla sua posizione tra i fiordi, a darle quel fascino malinconico che conquista pian piano, più che al primo sguardo.

La mia giornata qui si chiude con la sensazione di aver solo scalfito la superficie. Bergen ti invita a guardarla dall’alto, a perderti nei suoi sentieri e poi a tornare giù per respirare l’aria salmastra del porto. Un po’ città, un po’ bosco, un po’ porto di mare. Un luogo dove ogni passo ti ricorda che in Norvegia la bellezza non è mai un caso.


Album fotografico Da Oslo a Bergen 


martedì 12 agosto 2025

Oslo, primo giorno in Norvegia

 


Sveglia disumana ad un orario illegale, perché il volo da Pisa parte alle 6:25. Colazione? Neanche a parlarne. Giusto il tempo di infilarsi zaino, pantaloni lunghi e felpa tecnica per correre verso l’aeroporto. Fortuna vuole che oggi tutto fili liscio: niente ritardi, niente gate cambiati all’ultimo minuto. Atterriamo puntuali a Torp, che però è un tantino fuori mano: un’ora e mezza di autobus ci separa dal cuore di Oslo, abbastanza per fare chiedere alla vicina di poltrona (l'unica italo norvegese del mondo, credo) qualche consiglio e fissare fuori dal finestrino i paesaggi verdi che già anticipano l’aria del Nord.

Il mio alloggio è il Comfort Hotel Xpress Youngstorget, un posto pratico e centrale. Lascio al volo il bagaglio e, senza troppe esitazioni, inizio la mia maratona cittadina. Oslo ha un’anima doppia: da un lato l’architettura moderna, lineare, quasi minimalista; dall’altro piccoli angoli che ti ricordano che la storia qui ha radici antiche.

La prima tappa è il Teatro dell’Opera: una nave di marmo bianco che sembra salire dal fiordo. Qui l’arte non è solo dentro: la vera esperienza è salire sul tetto, percorrendo le sue rampe inclinate per godersi la vista della città e dell’acqua. Poco lontano, il Museo Munch, che oggi è praticamente un tempio dell’Urlo. Dentro, una folla di visitatori si alterna davanti alle versioni del capolavoro, cellulari alzati come se quel grido lo stessero immortalando per metterlo su Instagram più che per ascoltarlo. E quindi pure io non me ne voglio privare. E poi.. È uno dei simboli di VER: un caso? 

Costeggiando il mare arrivo a SALT, un curioso spazio culturale fatto di saune, arte e birra, con vista sulle barche. Poi una deviazione verso il Municipio, imponente e decorato da murales che raccontano scene di storia e lavoro norvegese: qui ogni anno si consegna il Premio Nobel per la Pace. Un caso anche questo che io sia qui? 

Non può mancare la Fortezza di Akershus, sentinella medievale che domina il porto dal XIII secolo, costruita per proteggere la città dalle invasioni. All’interno, cortili e mura che profumano di storia, con il vento che porta l’odore salmastro del fiordo.

Proseguo tra parchi e giardini, passando da Vippa Oslo, un’area gastronomica ricavata da un vecchio magazzino sul porto, oggi tempio dello street food internazionale. Risalgo verso il Palazzo Reale, con il suo ampio giardino aperto al pubblico, che merita una piccola passeggiata fresca tra le sculture. 

A fine giornata il contapassi segna cifre da escursione e le gambe non protestano solo perché qui è tutta pianura. Ma Oslo, oggi, me la sono presa tutta: un mix di modernità, arte e storia che ti accompagna passo dopo passo, senza mai lasciarti il tempo di annoiarti. Tutto questo prendendola in considerazione per ciò che è, ovvero una città nordica, che niente a che vedere con le nostre, le francesi o le spagnole. Ma per rendere l'idea diciamo che non è solo blocchi squadrati e fatti con lo stampino. Comunque nel tardo pomeriggio ha pure preso a piovere e fare ancora più freschino. Ah bene. Domani sarà un altro giorno… e pure un’altra camminata.


Album fotografico Oslo, primo giorno in Norvegia 


domenica 10 agosto 2025

GNU #6: Corbezzolo al tramonto

 


Oggi pomeriggio abbiamo messo insieme un gruppo di amici per un’escursione dal sapore estivo e un po’… mistico. Siamo partiti da San Carlo, piccola frazione di San Vincenzo, diretti verso la Rocca di San Silvestro nel giorno di San Lorenzo. 

Il sentiero del corbezzolo ci ha accolti con i suoi profumi e un paesaggio che, passo dopo passo, sembrava accompagnarci verso un orizzonte sempre più dorato. Nonostante il caldo di agosto, l’aria in quota era più leggera, quasi a volerci premiare per la fatica, ma siamo passati anche all'interno del bosco più ombreggiato. La Rocca ci ha accolti in silenzio, come un vecchio custode che osserva dall’alto le storie e i passaggi del tempo.

E poi il momento che aspettavamo: il tramonto. Un cielo che si accendeva di arancio e rosa, preparando la scena alla magia della notte delle stelle cadenti. Ci siamo concessi un brindisi, semplice ma sentito, per salutarci prima della pausa estiva: bicchieri alzati, sorrisi larghi e la promessa di ritrovarci presto, magari su un altro sentiero.

Una passeggiata che è stata un po’ un arrivederci e un po’ un buon augurio, con quella collezione di santi a vegliare sui nostri passi e sulla nostra estate.


Album fotografico GNU #6: CORBEZZOLO al tramonto 


10 Agosto #11

 Quante te ne ho raccontate, quante te ne racconterò,


 

sabato 9 agosto 2025

Alpi Apuane, Monte Corchia dal Pirosetto #2

 


Sono tornato sulle Apuane dopo diversi mesi di assenza, e l’ho fatto scegliendo una signora escursione: il Monte Corchia dal canale del Pirosetto. Un itinerario che, se non lo conosci, può sembrare un semplice “salgo in cima e torno giù”, ma in realtà nasconde tratti tecnici e passaggi che non perdonano la distrazione.

Eppure, stavolta la storia è andata diversamente. Lo ricordavo più complicato, più “ostile” in certi punti, ma probabilmente è vero quello che si dice: una volta che fai esperienza, certe difficoltà restano nella tua cassetta degli attrezzi e sai come affrontarle. Non servono più mille calcoli, non serve fermarsi ogni due passi a valutare “come metto il piede” o “dove passo”: le mani e i piedi vanno da soli.

Anche la fatica – mia vecchia compagna di certi dislivelli – oggi è rimasta un po’ in disparte. Salita impegnativa sì, ma fatta alla grande, con il fiato giusto e senza soffrire troppo. Il panorama dall’alto, poi, ha fatto il resto: quelle viste che solo le Apuane sanno regalare, un mix di mare e montagne che sembra uscito da un dipinto.

In sintesi, una giornata di quelle che ti rimettono in pace col mondo. Bella, tecnica, e soprattutto la conferma che l’allenamento e l’esperienza lasciano segni positivi.


Album fotografico Monte Corchia dal canale del Pirosetto #2


venerdì 8 agosto 2025

Ares (2016)

 
Regia: Jean-Patrick Benes
Anno: 2016
Titolo originale: Ares
Voto e recensione: 6/10
Pagina di IMDB (6.2)
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Partivo senza aspettative, e forse è proprio questo il motivo per cui Ares mi ha sorpreso. Siamo in una Francia distopica, ma non quella tutta neon, metropoli verticali e auto volanti che ci aspettiamo dal cyberpunk più canonico. Qui il futuro ha il sapore stanco di un presente che è andato avanti di qualche decennio senza mai rinnovarsi davvero: palazzi grigi, strade sporche, manifestazioni di piazza, disperazione nelle periferie. Non serve chissà quale CGI per farlo sembrare credibile: basta guardarsi intorno oggi e immaginare cosa succede se tutto peggiora un po’.

La storia ruota attorno a Reda, ex campione di combattimenti clandestini, in un mondo dove le corporazioni farmaceutiche sono diventate padroni incontrastati e gli esperimenti sugli umani passano come fossero nuove mode sportive. Qui il doping non è uno scandalo: è un business regolamentato, venduto come spettacolo. Il film gioca sul confine tra etica e sopravvivenza, e riesce a rendere la sensazione di una società che si è arresa al cinismo, mantenendo però un nucleo di umanità nei suoi personaggi principali.

Quello che mi ha colpito è il tono: non c’è il classico barocchismo visivo del genere, ma un’ambientazione vissuta, quasi familiare, che rende la distopia più inquietante. Le scene d’azione sono secche, dirette, senza troppi fronzoli, e anche se la trama non inventa nulla di rivoluzionario, riesce a restare interessante fino alla fine.

In sintesi: Ares è un esempio di fantascienza “a basso costo” che non punta sulla spettacolarità, ma sull’atmosfera e su un’idea centrale ben sviluppata. Non il film che ti cambia la vita, ma uno che, se ami le distopie più sporche e credibili, ti farà pensare: “Ehi, ma questo mi è proprio piaciuto”.



giovedì 7 agosto 2025

Bussano Alla Porta (2023)

 
Regia: M. Night Shyamalan
Anno: 2023
Titolo originale: Knock At The Cabin
Voto  e recensione: 6/10
Pagina di IMDB (6.1)
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Diciamolo subito: Bussano alla porta non è uno di quei film che ti lasciano senza fiato. Non è Il sesto senso, non è neppure uno Shyamalan "vecchia scuola" pronto a spararti il twistone finale. Eppure... non mi è affatto dispiaciuto. Anzi, mi ha tenuto incollato con un’attenzione quasi morbosa. Sarà che l’idea alla base è affascinante: un’apocalisse in arrivo, una famiglia presa in ostaggio, e una scelta impossibile da fare—il tutto in una baita isolata nel bosco. Minchiazza, sembra quasi un film horror anni ’80, invece gira tutto sul piano psicologico e morale.

La tensione è costante, anche se ogni tanto viene diluita da flashback un po’ troppo lunghi, come se Shyamalan volesse ricordarci ogni dieci minuti che questa è anche una storia d’amore e genitorialità, non solo di morte imminente e profezie bibliche. Ok, messaggio recepito, ma si poteva stringere un po’.

I quattro “invasori” – interpretati bene, tra cui un sorprendente Dave Bautista in versione guru pacato – non sono i classici cattivi, anzi. Hanno una missione, e sono convinti che la salvezza del mondo dipenda da un sacrificio compiuto da quella famiglia. La cosa interessante è che il film non ci dice mai se hanno ragione o no... almeno non subito. E questo dubbio, questa ambiguità, funziona. Tiene acceso il cervello, e per chi come me non cerca solo jumpscare o botti digitali, è una bella boccata d’aria.

Certo, ci sono scelte narrative che fanno un po’ storcere il naso. Alcuni momenti sono telefonati, alcune dinamiche sembrano troppo impostate. Eppure, il film non si sfascia mai davvero. Resta in piedi, coerente nel suo tono e nel messaggio. Non cerca di piacere a tutti anche se manca violenza fisica visiva. Non fa il brillante. E forse è proprio questo che me l’ha fatto apprezzare.

In rete le reazioni sono state tiepide, ma con qualche nota positiva simile alla mia. Chi lo stronca dice che è prevedibile, che Shyamalan si è “ammorbidito”. Chi lo difende, come Cineforum, lo considera un film coerente, essenziale, che rinuncia allo stupore per costruire una tensione più cupa e morale. Io mi metto nel mezzo: non è un filmone, ma neanche uno da buttare. È una di quelle visioni che ti rimangono addosso, non per gli effetti speciali, ma per la domanda scomoda che ti lascia: tu, cosa saresti disposto a fare per salvare l’umanità?

Bella domanda. E bella visione. Magari non perfetta, ma centrata.


martedì 5 agosto 2025

War Of The Worlds (2025)

 
Regia: Rich Lee
Anno: 2025
Titolo originale: War Of The Worlds
Voto e recensione: 2/10
Pagina di IMDB (3.2)
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Mi sono immolato per la causa e ho portato a termine la visione del nuovo La Guerra dei Mondi con Ice Cube. E credetemi: è stata un’impresa.

Partiamo dal principio: già il titolo suona come una presa in giro. Sfruttare un nome storico e rispettato come quello del romanzo di H.G. Wells per appiccicarlo a un film che sembra più una diretta Instagram che un kolossal di fantascienza, è già un insulto di per sé. E infatti: montaggio a base di webcam, videochiamate e messaggini a schermo. Un linguaggio visivo che, dopo cinque minuti, ti fa venire voglia di cercare il telecomando per cambiare canale… o per spegnere tutto e leggere l’elenco del telefono, che almeno ha più tensione narrativa.

Gli effetti speciali? Diciamo che ne ho visti di migliori nei videoclip di metà anni ’90. La trama? Un’accozzaglia di banalità senza né capo né coda, tenuta insieme solo dal collante della noia. Ice Cube fa quel che può, ma sembra finito lì per sbaglio, tipo invitato a una cena e poi costretto a rimanere a lavare i piatti.

Lo ammetto: non ho mai amato neanche la versione di Spielberg del 2005 (scusa Steven), ma rispetto a questa roba pare Via col vento.

In sintesi: un film orribile, senza mordente, senza idee e soprattutto senza alcun rispetto per chi prova ancora ad amare la fantascienza. Se questa è la “guerra dei mondi”, spero che il nostro venga distrutto subito: almeno smettiamo di produrre certe cose.

domenica 3 agosto 2025

Subservience (2024)

 
Regia: S. K. Dale
Anno: 2024
Titolo originale: Subservience
Voto e recensione: 4/10
Pagina di IMDB (5.4)
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Ho visto Subservience e, diciamocelo senza troppi giri di parole: praticamente niente di nuovo. Non è un film che delude, ma semplicemente perché non c’erano aspettative da deludere.

La sensazione è quella di trovarsi davanti a una trama che avrei potuto scrivere anch’io in un pomeriggio di pioggia, con la consapevolezza che il risultato sarebbe stato poco interessante. Non per mancanza di capacità (almeno spero), ma perché il film stesso non sembra avere mai la reale ambizione di sorprendere o di lasciare un segno.

È tutto già visto: personaggi prevedibili, dinamiche telefonate, tensione che non decolla mai davvero. Non è un disastro, intendiamoci — scorre via senza fastidi, come un episodio qualunque di una serie che guardi solo perché non sai cos’altro mettere. Però quando scorrono i titoli di coda la domanda è inevitabile: “Ok, ma perché?”

In sintesi, Subservience è il classico film che si lascia guardare, purché tu non pretenda nulla. Un riempitivo, un accompagnamento tiepido a una serata in cui il cervello vuole starsene in stand-by.


 
 

Bibbona Bolgheri a/r

 

Oggi sveglia presto. Molto presto! Alle 5.45 ci troviamo a Bibbona e partiamo per il nostro trekking di allenamento. Non un semplice trekking tra colline e filari o vigne fino a Bolgheri, ma proprio un vero e proprio allenamento: passo sostenuto, testa bassa e obiettivo preciso. Dovevamo terminare i circa 25 km entro le 11.00 e ci siamo riusciti, mantenendo una media di 5,4 km/h.

Nonostante il ritmo serrato, il tempo per due soste rigeneranti lo abbiamo trovato: giusto un paio di bevute d’acqua, una pipì liberatoria e soprattutto una colazione goduriosa proprio a Bolgheri, che ci ha ripagato di ogni sforzo. L’esperienza è stata bellissima, complice un gruppo affiatato e pieno di energia, capace di portare a termine l’impresa senza mostrare nemmeno un acciacco evidente.

La fortuna ci ha assistito fino in fondo: torniamo alle auto giusto in tempo per evitare un temporale disumano, con tanto di grandine possente. Io, fidandomi del mio intuito da meteorologo improvvisato, deduco che a Piombino sul promontorio difficilmente piova (in realtà tiro a caso… ma ci azzecco). Propongo così una sosta pranzo sopra Calamoresca, e la scelta si rivela azzeccatissima: sole splendido, mare che luccica e una vista che da sola vale tutta la fatica del trekking.

Una giornata che ha unito allenamento, natura e convivialità, e che resterà sicuramente impressa nei ricordi di tutti.


Album fotografico Bibbona Bolgheri a/r


sabato 2 agosto 2025

Corto Maltese - Una Ballata Del Mare Salato

 

Ho appena finito Una ballata del mare salato, la prima grande avventura di Corto Maltese scritta e pubblicata da Hugo Pratt nel 1967, e devo dire che qui ho sentito davvero di entrare nel suo mondo. Se con La giovinezza avevo percepito più il contorno che il protagonista, in questa storia Corto prende finalmente la scena — anche se continua a rimanere sfuggente, misterioso, difficilmente inquadrabile. Forse è proprio questo il suo fascino: un anti‑eroe che non puoi mai definire fino in fondo.

L’ambientazione è il Pacifico del Sud, tra il 1913 e il 1915, sullo sfondo della Prima Guerra Mondiale. In queste isole remote, perse tra oceano e leggenda, si intrecciano marinai, pirati, mercanti d’armi e giovani naufraghi, in un intreccio che ha il sapore del romanzo d’avventura classico, ma anche una profondità quasi poetica. È qui che incontriamo alcuni dei personaggi destinati a tornare nella saga, compreso l’immancabile Rasputin (che ho sempre creduto il suo nemico giurato, ma non è così: ogni rapporto ed ogni personaggio è profondo ed ha mille sfumature). 

Una curiosità che mi ha colpito: gli indigeni, nelle loro battute, parlano un dialetto che ricorda molto il veneziano. Non è un errore né un vezzo, ma una scelta consapevole di Pratt. Il veneziano, la lingua della sua infanzia, diventa una sorta di firma segreta, un filtro poetico con cui dare voce a personaggi lontanissimi da Venezia e allo stesso tempo avvicinarli alla sua memoria e alla sua sensibilità. Non serve al realismo, ma all’atmosfera: trasporta il lettore in un luogo sospeso, tra sogno e avventura.

E Corto? Non è un eroe, né un cattivo. È ironico, cinico, compassionevole quando non te lo aspetti, distante quando pensi di averlo capito. Non è mai del tutto dalla parte di qualcuno, e questo lo rende affascinante e vero. Leggerlo significa accettare che non sempre troverai risposte nette, ma piuttosto domande nuove e prospettive diverse.

Rispetto a La giovinezza, questa storia mi ha coinvolto molto di più: è corposa, avventurosa, ma con quell’aura di malinconia che già si intravede come cifra stilistica di Pratt. Insomma, mi ha lasciato la voglia di proseguire il viaggio. Perché con Corto Maltese, più che capire dove andrai, conta lasciarsi portare.


venerdì 1 agosto 2025

The Limehouse Golem - Mistero Sul Tamigi (2016)

 
Regia: Juan Carlos Medina
Anno: 2016
Titolo originale: The Limehouse Golem
Voto e recensione: 5/10
Pagina di IMDB (6.3)
Pagina di I Check Movies
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Ci sono film che promettono atmosfere cupe e misteri avvolti nella nebbia londinese, e The Limehouse Golem – Mistero sul Tamigi (2016) rientra perfettamente in questa categoria. Ambientato nella Londra vittoriana, tra teatri di varietà e vicoli brumosi, si presenta come un thriller gotico pronto a catturarti con delitti efferati e una caccia al colpevole che richiama le atmosfere di Jack lo Squartatore.

La trama segue l’ispettore Kildare (Bill Nighy), incaricato di risolvere una serie di omicidi brutali che sembrano opera di una mente geniale quanto malata. In parallelo, si intreccia la storia di Lizzie Cree (Olivia Cooke), attrice di umili origini accusata dell’omicidio del marito. Le due linee narrative finiscono inevitabilmente per convergere, tra colpi di scena e confessioni.

Il film funziona come un buon thriller d’epoca, con un ritmo che tiene alta l’attenzione fino alla fine e qualche trovata scenica intrigante. La ricostruzione storica è curata, l’atmosfera è quella giusta, e le interpretazioni solide, soprattutto quelle di Nighy e Cooke.

Eppure, devo ammettere che non mi ha colpito più di tanto. Forse perché, nonostante l’impianto elegante e la buona mano registica, manca quel quid che lo renda davvero memorabile. L’indagine scorre bene, i twist ci sono, ma alla fine resta più la sensazione di aver visto un esercizio di stile che un racconto capace di lasciare il segno.

Insomma: gradevole, ben fatto, con un finale che chiude degnamente il cerchio. Ma per me non è entrato nella lista dei thriller imperdibili. Un film da serata tranquilla, senza aspettative troppo alte.