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mercoledì 17 settembre 2025

Jack Vance - I Tesori Di Tschai



Autore: Jack Vance
 Anno: 1969
Titolo originale: The Dirdir
Voto e recensione: 2/5
Pagine: 143
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Trama del libro e quarta di copertina:
Nella Zona Nera alcuni si avventurano di notte, altri in pieno giorno. C'è chi si sente più sicuro in gruppo, e chi preferisce tentare da solo. Ciascuno ha una propria teoria. Quasi nessuno, una volta entrato, ritorna più a raccontare se fosse giusta. La Zona Nera è l'Eldorado di Tschai, un immenso territorio aspro e accidentato dove affiorano le pietre preziose - rosse, turchine, verdi, opalescenti - che sono la moneta comune a tutto il pianeta. E tra i disperati di ogni razza che rischiano la vita nella Zona Nera c'è anche Adam Reith, il terrestre. Anche lui vuole arricchire in fretta, ma solo perchè questo è l'unico mezzo che gli permetterà, forse, di tornare sulla Terra. Tra lui e i tesori di Tschai ci sono soltanto piccole comitive di sportivi. Lo sport che praticano è la caccia all'uomo.

Recensione e commento personale:

Terzo capitolo della celebre tetralogia del Pianeta Tschai, I tesori di Tschai conferma pregi e limiti dell’opera di Jack Vance. Dopo un avvio intrigante con i primi due volumi, qui la tensione narrativa perde progressivamente vigore: la trama si concentra su una lunga caccia al tesoro che si conclude con un semplice combattimento corpo a corpo, lasciando una certa sensazione di incompiutezza.

Se la componente scientifica è pressoché assente – la vicenda potrebbe svolgersi in qualsiasi mondo fantastico senza particolari riferimenti futuribili – resta invece centrale la capacità dell’autore di descrivere usi, costumi e rituali delle popolazioni aliene. Vance non è interessato alla fantascienza “hard”, ma a un’avventura esotica che ricorda più i romanzi cavallereschi o picareschi che i classici di space opera. La sua forza sta nel costruire società bizzarre e satiriche, specchi deformanti della nostra umanità.

Il risultato è affascinante ma anche diseguale: il gusto per l’invenzione antropologica resta vivo, ma non sempre basta a sostenere l’interesse narrativo. Dopo la spinta iniziale dei primi due libri, questo terzo volume mostra il lato più debole della saga.




Corto Maltese - Un'Aquila Nella Giungla

 

Un’aquila nella giungla (1970) è l’ultimo tassello della cosiddetta “Suite caraibica”, un gruppo di racconti che comprende anche Il segreto di Tristan Bantam, Appuntamento a Bahia e Samba con Tiro Fisso. A differenza dei precedenti episodi, qui il personaggio di Corto Maltese comincia a delinearsi in maniera più netta: non più soltanto osservatore ironico e distaccato, ma uomo che, pur rimanendo enigmatico, lascia intravedere il desiderio di avventura e la sua natura di viaggiatore irrequieto.

La storia, ambientata in un contesto esotico e misterioso, mantiene i toni sospesi tipici di Pratt, dove le trame non si chiudono mai del tutto e i personaggi restano in parte avvolti dal non detto. Tuttavia, in queste pagine Corto sembra meno evanescente e più protagonista: la sua ambiguità rimane, ma prende corpo una figura più definita, affascinante proprio perché sfugge a una lettura univoca.

Con questo racconto si ha la sensazione di entrare davvero nel mondo di Pratt: un universo fatto di suggestioni, simboli, e un costante equilibrio tra realismo e mito. È qui che il lettore inizia a sentirsi pienamente catturato, riconoscendo che l’avventura di Corto Maltese non è solo geografica, ma anche interiore.


martedì 16 settembre 2025

Juventus 4 - Borussia Dortmund 4

 
Otto gol fatti negli ultimi quattro giorni. Ma anche sette subiti. Eh eh eh. Meglio una partita del genere che uno scialbo zero a zero per me. Poi ovviamente sono evidenti dei problemi difensivi e di gioco. Ma non possiamo dire che manca il carattere. Eravamo sotto di due reti nei minuti di recupero, e come suggerisce il nome, l'abbiamo recuperata. Ci sono da rivedere numerose cose a partire dal portiere che ci mette troppo del suo, ma deve essere il solo capro espiatorio. Partita a due facce con un primo tempo quasi soporifero o guardingo per dirla in maniera elegante ed una ripresa in cui succede di tutto. Tra il negativo ed il positivo. Soltanto un punto è vero, ma per come si era messa, contro un Borussia da prima fascia, non ci si può certo lamentare. 

Ballerina (2025)

 
Regia: Len Wiseman
Anno: 2025
Titolo originale: Ballerina
Voto e recensione: 5/10
Pagina di IMDB (6.9)
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Lo spin-off della saga di John Wick si concentra su una nuova protagonista, inserita nello stesso universo fatto di assassini, codici d’onore e vendette infinite. Ballerina (anche in originale scritto così) non inventa nulla di nuovo, ma gioca la carta più sicura: tanta azione ben coreografata, combattimenti spettacolari e un ritmo che non concede pause.

Il problema è che oltre a questo c’è davvero poco. La trama è ridotta all’osso, funzionale giusto a collegare una scena all’altra, e manca quella carica innovativa che aveva reso il primo John Wick qualcosa di diverso nel panorama action. Qui siamo nel territorio del puro intrattenimento: due ore che scorrono piacevoli, ma senza lasciare traccia una volta finito il film.

Un prodotto pensato per i fan che vogliono restare dentro l’universo narrativo di Wick, ma ben distante dai fasti dell’originale. In sintesi: si guarda volentieri, ma non è certo destinato a entrare nella memoria collettiva del cinema d’azione.



domenica 14 settembre 2025

Corso Ferrate #2/2: Barranco del Dolo

 


Oggi ho deciso di alzare l’asticella e di misurarmi con la Ferrata Barranco del Dolo. È stato un banco di prova importante, forse il più impegnativo che abbia affrontato fino ad ora, e alla fine posso dirlo chiaramente: qui ho trovato il mio limite.

La partenza sembra quasi ingannevole, con tratti obliqui e verticali su arenaria compatta che, seppur già faticosi, scorrono via bene grazie alle staffe provvidenziali. Poi arriva la placca liscia, con le maniglie artificiali che ti tirano su verso il traverso successivo. Fin qui il ritmo è serrato ma ancora gestibile, il tipo di sforzo che senti nelle gambe e nelle mani ma che non ti spaventa.

Il punto vero della ferrata, quello che resta impresso, è il camino aperto. Tecnicamente è il passaggio chiave dell’intero itinerario e non a caso: non ci sono appigli naturali e il movimento richiesto è di spaccata, sfruttando la parete opposta rispetto al cavo. Per chi, come me, non ha gambe lunghe, la faccenda diventa subito complicata. Alla fine non ho avuto scelta: ho dovuto issarmi soprattutto con le braccia, tirando più del dovuto. So bene che non era il movimento corretto, ma era l’unico modo per passare. E l’ho fatto.

Arrivato in cima al camino ero soddisfatto, ma le braccia provate raccontavano tutta la fatica. Non ero distrutto, questo no, però il limite l’ho toccato con mano: qui la tecnica non basta se non hai certe leve o una guida pronta a correggere e a sostenerti moralmente passo passo (braccio braccio anzi) . Dopo il camino, il percorso diventa più umano: un altro traverso impegnativo ma più breve, poi il filo di cresta in saliscendi fino in cima , che arriva come una liberazione e una ricompensa.

È stata una ferrata bella, suggestiva e intensa. Mi sono divertito, ho provato emozioni forti, ma ora so con più chiarezza che non tutte le vie fanno per me. Le prossime le sceglierò con più attenzione: percorsi di livello inferiore, dove la fatica non diventa un ostacolo costante, oppure ferrate impegnative come questa ma con una guida al mio fianco, per affrontarle in sicurezza e imparare di più.

La montagna insegna anche questo: a riconoscere i propri limiti. E oggi, su questa lama di roccia del Dolo, l’ho capito meglio che mai.


Poche foto oggi per ovvi motivi 

Album fotografico Corso Ferrate #2/2: Barranco del Dolo

sabato 13 settembre 2025

Juventus 4 - Inter 3

 
Beh, anche se scrivo poco ultimamente sulle partite (non pago il pizzo a Dazn) una partita di cartello come questa va vista. E ne approfitto del fatto che sono fuori casa ed ho trovato il baretto dove la trasmettono. Partita, che nonostante l'elevato numero di reti è stata così e così. Però appunto con sette volte oltre la linea di porta è impossibile non divertirsi. Tra l'altro tutti i gol son stati belli, anche se forse con Frey e Buffon ce ne sarebbero stati meno. L'inizio di campionato non poteva che andare meglio e se le prime due gare potevano essere scontate sulla carta (poi bisogna vincerle sul campo eh) trovare i finalisti di Champions, poteva cambiare il nostro percorso. Ad esclusione di alcune sbavature individuali e di reparto (altrimenti non avresti preso tre reti), sono abbastanza soddisfatto di alcune prestazioni come quelle di Thuram, l'entrata in campo di Adzic che ha fatto un eurogol e di Yildiz ovviamente. Sta crescendo e lo si nota. Avanti così adesso, testa alta alla prossima, senza gongolare. #finoallafine. 

Corso ferrate #1/2: Pietra di Bismantova

 

Oggi è stata una giornata intensa, di quelle che ti lasciano addosso la stanchezza buona, quella che sa di soddisfazione. Primo giorno del mio corso per ferrate: non era la mia “prima volta” in assoluto, perché ne avevo già fatte alcune, a volte da solo su percorsi semplici, altre volte con una guida su tracciati più impegnativi o in compagnia, ma in autonomia. Però è un po’ come dire “so guidare” solo perché ho preso la macchina del mi babbo e sono riuscito a fare due giri: alla fine manca la base vera, quella che ti dà sicurezza. Ed ecco perché mi sono iscritto: un po’ di teoria, un po’ di pratica mirata, e soprattutto l’idea di imparare a fare le cose nel modo giusto.

Ci siamo ritrovati alla Pietra di Bismantova, un luogo che già da solo vale il viaggio. Un massiccio isolato nell’Appennino reggiano, dalla forma piatta e inconfondibile, che spunta dalla valle come una specie di astronave di roccia. Non a caso Dante la cita nella Divina Commedia come paragone per il Purgatorio: la sua forma squadrata e quasi verticale lascia chiunque a bocca aperta. È anche un punto di riferimento per alpinisti e arrampicatori di ogni livello, perché offre pareti, vie e ferrate di grande varietà.

La giornata è iniziata con un po’ di teoria: niente di noioso, anzi, necessario. Abbiamo parlato del kit da ferrata – imbrago, casco, dissipatore – e dell’importanza di controllare sempre i propri dispositivi prima di partire. Una corretta vestizione, la regolazione delle fettucce, la verifica dei moschettoni: sembrano dettagli, ma sono quelli che fanno la differenza tra un’escursione sicura e una potenzialmente pericolosa.

Poi, senza perdere troppo tempo, via alla parte pratica. Una piccola prova di arrampicata su pareti basse, in salita e discesa. Non tanto per mettersi alla prova, quanto per prendere confidenza con i movimenti, con l’equilibrio e soprattutto con il concetto di fidarsi di un compagno. Non è solo “io e la roccia”: è anche il sapere che accanto a te c’è qualcuno che ti guarda, pronto a intervenire.

Il vero clou della giornata è stato l’avvicinamento alle due ferrate principali della Pietra. Prima la Ferrata degli Alpini, considerata la più difficile del complesso. È un percorso impegnativo, tecnico, che richiede attenzione e un buon uso di mani e piedi. Non è lunghissima, ma le sue pareti verticali e i tratti più esposti la rendono una prova seria, di quelle che non si improvvisano. Farla con il gruppo, dopo aver ricevuto le giuste dritte, mi ha permesso di affrontarla con maggiore sicurezza, godendomi anche il panorama senza pensare solo alla fatica.

Dopo questa sfida, siamo passati alla Ferrata dell’Ultimo Sole. Questa già l’avevo percorsa in solitaria tempo fa, e oggi è stato un po’ come rivedere un vecchio amico, ma con occhi diversi. È un itinerario più abbordabile, meno tecnico, ma non per questo banale: offre passaggi belli e panoramici, con quella sensazione di avventura che solo le ferrate sanno regalare. Il nome stesso, “dell’Ultimo Sole”, evoca le luci calde del tramonto che spesso colorano le rocce e la valle circostante.

Chi non ha mai fatto una ferrata forse immagina qualcosa di vicino all’arrampicata estrema, ma non è proprio così. Le vie ferrate sono percorsi attrezzati con cavi, pioli, scale e staffe che permettono di muoversi anche su pareti rocciose altrimenti inaccessibili. Non sostituiscono l’alpinismo vero e proprio, ma sono una via di mezzo tra trekking e arrampicata, un modo per vivere la montagna in verticale, senza però dover essere campioni di free climbing. La sicurezza, ovviamente, dipende molto da chi le affronta: mai sottovalutare il percorso, mai affidarsi al “tanto ce la faccio”.

Chiudo la giornata per niente stanco e soddisfatto. Ho imparato cose nuove, ho corretto errori che nemmeno sapevo di fare, e soprattutto mi sono goduto un’esperienza suggestiva in un luogo che sembra disegnato apposta per questo. La Pietra di Bismantova, le sue ferrate, il gruppo, il corso: tutto ha contribuito a rendere questo primo giorno davvero appagante.

E in fondo, quello che mi porto via è la sensazione di aver imboccato la strada giusta: la passione ce l’ho già, ora posso dire che sto iniziando a costruirci sopra anche la conoscenza e la tecnica.


Album fotografico Corso di ferrate #1/2: Pietra di Bismantova 


mercoledì 10 settembre 2025

Corto Maltese - Samba Con Tiro Fisso

 


Con Samba con Tiro Fisso (1970) pensavo di arrivare alla chiusura di un vero e proprio trittico, dopo Il segreto di Tristan Bantam e Appuntamento a Bahia. In realtà mi sbagliavo: non si tratta di una trilogia con un inizio e una fine, ma di un ciclo di storie collegate, spesso raccolte sotto il titolo di “Suite caraibica”.

La vicenda si sposta in Brasile, in un contesto pieno di tensioni: soldati, ribelli, superstizioni e colpi di scena che animano la trama ma non la concludono. È più un frammento narrativo che un racconto chiuso, un tassello che aggiunge colore e atmosfera piuttosto che dare risposte ai misteri già accennati.

Corto Maltese continua a muoversi con il suo stile ambiguo: presente ma mai del tutto coinvolto, partecipe e al tempo stesso ironicamente distante. Anche Tristan Bantam e Morgana restano figure sospese, che sembrano promettere sviluppi futuri senza rivelare troppo.

Subito dopo  questo episodio neCorto Maltese - L'integralesi colloca anche Un’aquila nella giungla, che probabilmente riprenderà il filone narrativo. 

Alla fine, quello che resta è l’impressione di seguire Corto non in una saga ordinata, ma dentro un flusso di avventure aperte, capaci di suggestionare più che di spiegare. Ed è forse proprio questo il fascino: non trovare mai davvero una chiusura, ma lasciarsi trascinare dal viaggio.




Indiscreto (1958)

 
Regia: Stanley Donen
Anno: 1958
Titolo originale: Indiscreet
Voto e recensione: 4/10
Pagina di IMDB (6.7)
Pagina di I Check Movies
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Film:
Ho recuperato Indiscreto, film del 1958 diretto da Stanley Donen, con Cary Grant e Ingrid Bergman. Sulla carta un piccolo gioiello della commedia romantica: due mostri sacri del cinema, un regista elegante, e una trama che dovrebbe giocare sull’ironia e i malintesi amorosi.

Il problema è che, visto oggi, il film appare invecchiato malissimo. Più che divertente, risulta imbarazzante. Quello che forse allora veniva percepito come sofisticata leggerezza, oggi suona come una commedia forzata, quasi offensiva nella sua visione dei rapporti di coppia. I dialoghi che dovrebbero brillare di charme appaiono rigidi, e il presunto romanticismo si riduce a cliché che oggi faticano a strappare anche un sorriso.

Non è solo una questione di ritmo o di linguaggio cinematografico ormai datato: è proprio il messaggio sotteso, il modo in cui i ruoli di genere vengono rappresentati, a rendere l’opera indigesta. Ingrid Bergman e Cary Grant fanno del loro meglio, ma sembra di guardarli intrappolati in una cornice che li schiaccia, più che esaltarli.

In conclusione, Indiscreto non è quel “classico senza tempo” che magari qualcuno si aspetta. È piuttosto un esempio di come certe opere possano restare ferme nel loro contesto storico senza riuscire a comunicare davvero qualcosa a chi arriva decenni dopo. Per quanto mi riguarda, un film da vedere solo per curiosità filologica, ma non certo per piacere.


Edizione: bluray
Ho comunque una edizione in bluray abbastanza rara in quanto è la versione italiana. Ma a parte questo, non ha extra, e la traccia italiana è in stereo DTS HD MA. 

martedì 9 settembre 2025

Corto Maltese - Appuntamento A Bahia

 


Dopo Il segreto di Tristan Bantam, Hugo Pratt prosegue il suo trittico con Appuntamento a Bahia, pubblicato originariamente nel 1970. La storia riprende il filo lasciato in sospeso, confermando l’idea che questo arco narrativo sia più simile a un romanzo spezzato in capitoli che a racconti autoconclusivi.

Qui ritroviamo Corto Maltese sempre sospeso tra cinismo e idealismo, un uomo che non si lascia mai ingabbiare in definizioni nette. Ad accompagnarlo ci sono figure che ormai iniziano a delinearsi come ricorrenti: il Professore e Tristan Bantam, giovane alla ricerca di risposte su un mistero che sembra più grande di lui.

Il tono dell’avventura è segnato dall’irrompere del fantastico e dell’esoterico: apparizioni, magie, superstizioni e atmosfere cariche di mistero. Per chi, come me, apprezza Corto soprattutto come personaggio “concreto”, capace di muoversi tra pirati, rivoluzionari e fortune da inseguire, questa dimensione più occulta può lasciare un po’ titubanti. Tuttavia, è proprio in questo equilibrio instabile tra realismo e suggestione magica che Pratt dimostra la sua originalità: non offre certezze, ma lascia al lettore il compito di decidere se prendere sul serio o meno il lato sovrannaturale.

Appuntamento a Bahia funziona bene come capitolo intermedio: fa da ponte, arricchisce i legami tra i personaggi e prepara al successivo tassello del trittico. È forse meno incisivo sul piano narrativo, ma contribuisce a rafforzare quel senso di avventura globale che spinge Corto da un capo all’altro del mondo, senza mai dargli (né darci) il tempo di capire del tutto chi sia.


lunedì 8 settembre 2025

Il Pane Nudo (2005)

 
Regia: Rachid Benhadj
Anno: 2005
Titolo originale:  El Khoubz El Hafi
 Voto e recensione: 6/10
Pagina di IMDB (7.0)
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Non è un film semplice, né pensato per farci passare due ore di intrattenimento svagato. Il Pane Nudo – tratto dall’omonimo romanzo autobiografico di Mohamed Choukri – è un pugno allo stomaco, un viaggio nel Marocco più crudo e marginale, quello che non compare nelle cartoline patinate di Tangeri e Casablanca.

La storia segue l’infanzia e la giovinezza dello scrittore (anni quaranta e cinquanta), segnata da miseria, fame, violenza e ricerca disperata di dignità. Niente indulgenze, niente edulcorazioni: qui la povertà è nuda, appunto, e viene mostrata senza filtri.

Quello che colpisce è il realismo quasi documentaristico: la macchina da presa non cerca bellezza artificiale, ma verità. È un racconto che a tratti mette a disagio, perché obbliga a guardare dove normalmente distogliamo lo sguardo. Eppure, proprio in questa nudità c’è la sua forza: il film ci ricorda che l’arte non è sempre evasione, ma spesso testimonianza, memoria, denuncia.

Ho trovato Il Pane Nudo un’opera profonda, necessaria, che non si limita a raccontare una vita spezzata, ma diventa il ritratto universale di chi è costretto a sopravvivere in condizioni estreme. Un film che ti resta addosso, come la polvere di una strada che non puoi scrollarti dai vestiti logori con facilità.

Cinema così, raro e coraggioso, non ti fa uscire dalla sala con leggerezza, ma con la sensazione che ogni brandello di realtà narrata meriti di essere ricordato.


 

domenica 7 settembre 2025

Corto Maltese - Il Segreto Di Tristan Bantam

 


Ho appena finito Il segreto di Tristan Bantam, uscito nel 1970, e devo dire che qui Hugo Pratt cambia ritmo rispetto a Una ballata del mare salato. La storia è molto più breve, quasi un frammento, e si legge tutta d’un fiato.

Il vero motore narrativo è Tristan, un ragazzino che si porta dietro un’eredità misteriosa fatta di mappe, enigmi e segreti di famiglia. Accanto a lui, Corto Maltese osserva, ascolta e commenta con il suo solito distacco ironico, senza mai prendersi la scena in modo ingombrante. A colpire, ancora una volta, è questa sua natura da anti-eroe: non guida davvero la vicenda, ma sembra sempre custodire una consapevolezza che agli altri sfugge.

Qui però non c’è un finale vero e proprio: la vicenda si interrompe lasciando tutto sospeso. Non è una storia chiusa, e infatti mi sono informato: Il segreto di Tristan Bantam è parte di un trittico narrativo che prosegue con Appuntamento a Bahia e Samba con Tiro Fisso. Si spiega così la sensazione di “incompiuto” che ho provato arrivando all’ultima tavola.

Rispetto a La giovinezza e a Una ballata del mare salato, questo episodio sembra più un “ponte”: meno epico, ma con il merito di accendere la curiosità. Ci sono nuovi personaggi che forse torneranno, forse no — per ora non posso saperlo, ma resta la voglia di proseguire per capire dove ci porteranno queste tracce.

Insomma, Il segreto di Tristan Bantam non è tanto un approdo, quanto una porta che si apre: resta da vedere cosa ci aspetta dall’altra parte.




sabato 6 settembre 2025

Breathe - Fino All'Ultimo Respiro (2024)

 
 
Regia: Stefon Bristol
Anno_ 2024
Titolo originale: Breathe
Voto e recensione: 5/10
Pagina di IMDB (4.3)
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Non avendo troppo da dire, mi sono fatto aiutare da Viki. Allora: di solito sono decisamente più critico di così, e per questo mi sorprende quasi ammettere che Breathe – fino all’ultimo respiro (2024) non è disastroso — nonostante il budget ridotto e qualche tasto narrativo stonato. Però l’ho trovato interessante, e non male insomma.

Detto questo: non è piaciuto granché, né ai critici, né al pubblico. Su Rotten Tomatoes, il punteggio è glaciale: 14% — praticamente un cartellino rosso . E su IMDb la media è un misero 4.3/10 .

Gli utenti sono stati spietati. Qualcuno ha scritto di scena “tediosamente ripetitive”, con dialoghi e comportamenti “assolutamente stupidi”, e ha definito il montaggio una cosa da “Darwin Awards of survival” .

Altri hanno spiegato che, nonostante attori noti, l’esecuzione è poco credibile e “visivamente non particolarmente impressionante” . Qualcuno non ha avuto mezze misure:

“Una delle cose peggiori che abbia visto negli ultimi decenni.”

Ma hey, niente panico: ci sono sempre cose peggiori, e in una serata di zombie-couch puoi tranquillamente sopravvivere a questo. 😉


Planet Funk live in Castiglione della Pescaia

 

Ieri sera con L abbiamo deciso di fare una puntata a Castiglione della Pescaia. Un po’ per vedere il paese, un po’ per dare un segnale “di presenza” – quelle cose deterrenti che ogni tanto è utile fare – ma soprattutto perché c’era un concerto gratuito che ci incuriosiva: i Planet Funk.

Ammettiamolo: non siamo certo due fan di vecchia data, né tantomeno esperti del gruppo. In realtà conosciamo solo tre canzoni, ma erano abbastanza per farci dire “ok, andiamo a sentirli dal vivo”. La band nasce a cavallo tra anni ’90 e 2000 e ha portato un po’ di respiro internazionale alla musica elettronica italiana, mescolando dance, rock ed elettronica in maniera molto riconoscibile.

Il live ci ha sorpreso in positivo. Nonostante i nostri gusti abituali siano distanti – L che ama la musica classica e io che mi rifugio più spesso nel metal – ci siamo ritrovati entrambi a battere il tempo e a farci trascinare dal ritmo. La scaletta è stata costruita con intelligenza, crescendo fino a chiudere con Who Said, probabilmente il loro brano più famoso e sicuramente quello più atteso dal pubblico. Sentirlo come ultima traccia ha reso il finale appagante, un po’ la ciliegina sulla torta.

Alla fine, la serata ci ha lasciato quella sensazione leggera e piacevole che solo la musica dal vivo sa regalare, anche quando non è del nostro genere preferito. E Castiglione, con la sua cornice estiva e la folla raccolta sotto il palco, ha fatto il resto.




martedì 2 settembre 2025

Sleeping Dogs (2024)

 
Regia: Adam Cooper 
Anno: 2024
Titolo originale: Sleeping Cooper
Voto e recensione: 6/10
Pagina di IMDB
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All’inizio ho storto il naso: ritmo compassato, fotografia un po’ anonima, e quel senso di déjà-vu che ti fa pensare “ok, sarà l’ennesimo thriller da catalogo”. E invece, senza quasi accorgertene, "Sleeping Dogs" ingrana la marcia e comincia a tessere la sua ragnatela di misteri.

Russell Crowe, ormai in piena fase “orso burbero ma magnetico”, regge la scena con quella stanchezza vissuta che gli sta addosso come un guanto. Intorno a lui una regia che non osa mai troppo, ma che sa dosare bene silenzi e colpi di coda. Il risultato? Un thriller che si lascia guardare senza mai sbrodolare, con quell’atmosfera da “non fidarti di nessuno” che tiene viva la curiosità.

Sai che da qualche parte arriverà il colpo di scena – fa parte del gioco – ma il film riesce comunque a sorprendere, evitando la prevedibilità che temevo nei primi minuti. Non è un capolavoro, certo, ma alla fine ti lascia soddisfatto, con la sensazione di aver visto un prodotto solido, più elegante di quanto promettesse la partenza.

Promosso, quindi. Non gridiamo al miracolo, ma se ti piacciono i thriller che si accendono lentamente e non ti prendono per scemo, “Sleeping Dogs” fa la sua figura.


 

lunedì 1 settembre 2025

Aggiornamento Oxygenos 14.0.0.1901 (EX01V100P01)

 

Altro giro, altro aggiornamento. Questa volta si tratta della build V100P01, leggera come un soffio (57 MB), ma tutta dedicata a chi ama archiviare cose senza essere disturbato dalla moralità altrui.

Non ci sono effetti speciali, ma la Protezione dati privati diventa una specie di cassaforte intelligente.
Ecco cosa arriva con questo update:

Protezione dati privati

  • Ora puoi condividere immagini e video direttamente nella sezione segreta.
  • Puoi personalizzare le copertine degli album privati: magari metti un gattino innocente su una cartella... che non contiene gattini.
  • Si possono ordinare per orario immagini e video. Utile quando cerchi quel preciso screenshot che hai fatto alle 03:12 sotto l’effetto di troppa pizza.
  • E infine: puoi aggiungere file direttamente nella sezione “Altri file”.
    Una zona franca per tutto ciò che non ha un’etichetta ma non deve essere visto.

Sistema

  • L’onnipresente “migliora la stabilità”.
    È la camomilla digitale che ci danno con ogni aggiornamento, e noi fingiamo di sentirci più tranquilli.

Conclusione?
Un update piccolo ma preciso, pensato per chi tiene alla privacy quanto al backup.
In fondo, anche il telefono ha diritto a una stanza segreta.

Alla prossima, sempre su VER.
(E no, la sezione “Altri file” non verrà mai mostrata in uno screenshot pubblico.)




domenica 31 agosto 2025

Ultimo giorno prima del rientro

 


Dopo una mattinata dedicata a sistemare le solite faccende post-viaggio, tra Norvegia e Val Pusteria, nel pomeriggio mi ritrovo nuovamente con Zizzy per un’altra piccola avventura. La meta scelta è la Riserva Naturale di Monterufoli-Caselli, nei dintorni di Canneto, un’area protetta di quasi 5.000 ettari che si estende tra le Colline Metallifere e la Val di Cecina. Un polmone verde considerato wilderness di livello europeo, con boschi di querce, cerri e lecci, resti di miniere, tracce di antiche ferrovie e una biodiversità di tutto rispetto che include orchidee selvatiche, iris tirrenici e persino tassi e agrifogli nei microclimi più umidi.

Peccato che, stavolta, di umido non ci fosse proprio nulla. Tutti i corsi d’acqua e le cascatelle che rendono celebre la zona erano completamente secchi. Niente pozze cristalline, niente ruscelli da attraversare: solo il ricordo di quello che dovrebbe scorrere nei mesi più piovosi. In compenso, l’aria era piena di tafani, che hanno reso la passeggiata un continuo balletto di schivate e manate.

Eppure, tra bosco fitto, profumo di muschio e tracce di storia nascosta, anche questa è stata un’esperienza da ricordare. Un piccolo trekking trasformato in esplorazione, avventura e scoperta. Non certo un buco nell’acqua, anche perché, l’acqua, non c’era proprio.

La giornata si è conclusa a Casino di Terra, dove una piccola fiera di artigianato etico ci ha accolti con luci, bancarelle e profumi irresistibili. Cena semplice ma di sostanza: fegatini e porchetta di cinta senese, gustati con soddisfazione e spirito conviviale.

Anche così, tra tafani pomeridiani e porchetta serale, si costruiscono le giornate da ricordare: fatte di boschi silenziosi, camminate condivise e tavolate genuine che riconciliano con il mondo.


sabato 30 agosto 2025

Dai monti al mare (mosso)

 
Saluto i monti dell'Alto Adige questa mattina sotto la pioggia. Credo di farlo abbastanza presto, parto alle 8.30, per poter arrivare con calma subito dopo pranzo. Accantono subito l'idea di fare una capatina a Bolzano per il terzo museo di Messner, e meno male. Impiego circa tre ore solo per uscire dal Trentino e rimpiango di non avere una Tesla o almeno un cambio automatico, o un autista. La storia si fa lunga e pesante pure a Carpi e sulla Firenze Bologna. Arrivo stanco al sole del tramon.. No, questa è un'altra storia. Arrivo a Piomba ancora carico di energie, doccia, tenuta estiva e via a Baratti per vedere la luminara di San Cerbone. Ahinoi purtroppo c'è troppo vento. Un ponentaccio che smuove il mare ed impedisce la rievocazione con le barchetta. Chi se ne frega, il passaggio è comunque fantastico. E le onde sono uno spettacolo. 

venerdì 29 agosto 2025

Dal lago di Dobbiaco al lago di Landro

 

Dopo giorni di trekking impegnativi, oggi scelgo un percorso più semplice ma non per questo meno affascinante: dal Lago di Dobbiaco al Lago di Landro, andata e ritorno, lungo circa venti chilometri. È uno di quei giri che non puntano tanto alla fatica quanto al piacere di camminare immersi nella natura, con lo sguardo costantemente catturato dalle Dolomiti.

Il Lago di Dobbiaco è la porta d’ingresso perfetta: uno specchio d’acqua verde smeraldo a 1.251 metri, nato da una frana preistorica che sbarrò il torrente Rienza. È raccolto, quasi intimo, incorniciato da boschi e con passerelle che permettono di costeggiarlo da vicino. Qui Gustav Mahler passava le sue estati, trovando ispirazione per alcune delle sue sinfonie, e non è difficile capire perché: il silenzio, il riflesso delle cime sull’acqua, il senso di quiete assoluta.

Da qui imbocco il sentiero che costeggia in gran parte la vecchia ferrovia delle Dolomiti (oggi pista ciclabile). È un cammino scorrevole, quasi pianeggiante, che si snoda tra boschi di abeti, radure erbose e qualche scorcio improvviso verso le vette. Lungo il percorso appaiono cartelli e resti che ricordano il passato ferroviario di questa tratta, un tempo collegamento strategico tra Dobbiaco e Cortina.

Dopo circa dieci chilometri arrivo al Lago di Landro (1.406 m). Più ampio e aperto rispetto a Dobbiaco, meno scenografico nei colori ma di grande fascino per l’ambiente circostante. Qui lo sguardo corre dritto verso il Gruppo del Cristallo, che si riflette nelle acque poco profonde. E soprattutto si alza verso nord, dove tra le nubi fanno capolino le Tre Cime di Lavaredo: intramontabili, anche viste da lontano, con la loro sagoma che da sola vale la gita.

Il meteo è stato un compagno ambiguo: durante il trekking mi ha graziato, niente pioggia nonostante le previsioni. Camminata asciutta, con solo qualche nube a giocare con i panorami. Appena però rientro a Dobbiaco mi accoglie un bell’acquazzone, e lo stesso copione si ripete a Brunico: la pioggia mi trova quando ormai non serve più.

In totale una ventina di chilometri percorsi, senza difficoltà tecniche, in un ambiente che unisce natura, storia e panorami dolomitici. Due laghi diversi e complementari: il primo più raccolto e musicale, il secondo più selvaggio e aperto. Una giornata meno “ignorante” rispetto alle precedenti, ma non meno gratificante.


Album fotografico Dal lago di Dobbiaco al lago di Landro 


giovedì 28 agosto 2025

Brunico

 

La pioggia oggi è stata compagna fissa, e allora meglio non intestardirsi con dislivelli assurdi. Ho deciso di prendermela con calma, limitandomi a un piccolo trekking di circa 9 km nei dintorni di Brunico, dentro e fuori dal bosco che avvolge la città come una cornice naturale. Atmosfera diversa dal solito: sentieri bagnati, silenzio rotto solo dal tamburellare della pioggia e dal profumo intenso di resina.

Il percorso mi ha portato fino al Cimitero Monumentale di Guerra sul Kühbergl, poco sopra il centro. Un luogo che tocca subito corde profonde: più di 600 soldati austro-ungarici della Prima Guerra Mondiale riposano qui, provenienti da varie regioni dell’impero. Croci in legno scuro allineate, circondate da alberi alti e dal tappeto di aghi di pino. Non c’è monumentalità retorica, ma un silenzio potente che racconta la tragedia della guerra in maniera più forte di qualsiasi discorso. Camminare tra quelle tombe, sotto la pioggia, è stato come ritrovare un tempo sospeso: la montagna che custodisce le storie di chi non è mai tornato a casa.

Dal colle ho poi proseguito fino al Castello di Brunico, che domina dall’alto l’abitato. Ed è qui che ho trovato riparo e cultura: all’interno delle sue mura si trova infatti il MMM Ripa, un altro dei sei musei di Messner, dedicato ai popoli di montagna del mondo. Tibetani, sherpa nepalesi, mongoli, indios andini, ma anche culture alpine più vicine a noi: abiti tradizionali, oggetti di vita quotidiana, strumenti musicali, immagini e racconti. Un viaggio etnografico che, grazie alla cornice medievale del castello, diventa doppiamente suggestivo.

Il castello stesso, poi, è una piccola perla: costruito nel XIII secolo dai Principi Vescovi di Bressanone, conserva ancora torri, cortili interni e affreschi. Le finestre si aprono sulla città e sulla valle, oggi avvolta dalle nubi basse: un contrasto perfetto tra il grigio del tempo e i colori delle case laggiù.

La pioggia, insomma, non ha guastato la giornata: l’ha semplicemente resa diversa. Meno fatica fisica, più introspezione. Dalla memoria dei caduti nel bosco al viaggio tra le culture del mondo in un castello medievale, Brunico ha mostrato un volto più intimo e raccolto, da vivere senza fretta.

Per finire il pomeriggio ho avuto la stressa idea dei sette milioni di turisti presenti in Trentino, oltre a quelli arrivati in Alto Adige: andare ad una spa. C'è da dire che meno male sono organizzati bene. E per cena spatzle! 

Album fotografico Brunico 


mercoledì 27 agosto 2025

Plan de Corones

 



Dopo la giornata titanica alla Croda del Becco di ieri, oggi ho deciso di non lasciare nulla al caso: il meteo dei prossimi giorni dava piogge forti e quindi il secondo trekking impegnativo andava piazzato subito. Stanchezza o no, bisognava approfittarne.

Parto da Riscone, dove parcheggio l’auto. Qui molti prendono la funivia per risalire fino al Plan de Corones, ma io preferisco risparmiare i 35 € del biglietto e guadagnarmi la cima con le mie gambe. La salita è dura ma regolare: un dislivello “ignorante”, come direbbe qualcuno, ma che scorre bene.

I primi 500 metri di dislivello sono un continuo zig-zag su tornanti nel bosco, avvolto dal profumo di resina e con il terreno ancora fresco del mattino. I successivi 300 diventano più gentili: il sentiero si apre a tratti, regala scorci sulla valle e permette di riprendere fiato senza perdere il ritmo. Poi arrivano gli ultimi 500, ancora più severi ma con un paesaggio che cambia radicalmente: prati larghi, quasi praterie alpine, che accompagnano fino alla vetta.

Arrivato in cima, le nuvole giocano a nascondino con il sole, ma il cielo resta variabile e la vista è spettacolare: un panorama a 360 gradi sulle Dolomiti, con cime che spuntano da ogni lato come denti aguzzi e vallate profonde che si perdono all’infinito.

Non contento della conquista, decido di non fermarmi e inizio un saliscendi tra vari sentieri. Il più noto è quello che porta al Concordia 2000, un monumento inaugurato nel 2003 per celebrare la pace e l’unione tra i popoli. Al centro c’è una grande campana in bronzo, collocata a 2.275 metri di quota, con incise parole che richiamano alla fratellanza universale. Ogni giorno, alle 12.00, la campana viene suonata e il suo rintocco si diffonde nella valle. Davvero un simbolo suggestivo in un luogo così sospeso tra cielo e terra.

Camminando trovo anche la “via artis”, un percorso costellato di installazioni artistiche contemporanee. Sono opere spesso fatte con materiali naturali o che dialogano con l’ambiente circostante: sculture, strutture lignee, giochi di forme e colori che spuntano lungo il sentiero, trasformando la camminata in una piccola galleria d’arte a cielo aperto. Una contaminazione riuscita, che spezza la monotonia del verde con spunti di riflessione e curiosità.

La giornata non finisce qui: al Plan de Corones ci sono anche due musei che meritano una visita. Il primo è il Lumen, un museo dedicato alla fotografia di montagna. Modernissimo, ospitato all’interno di una ex stazione della funivia, racconta la storia delle prime immagini alpine fino all’arte fotografica contemporanea, con installazioni multimediali e mostre temporanee. Interessante e ben curato, riesce a far vedere la montagna sotto una lente inedita eppure ormai parte delle nostre vite: quella dell’obiettivo fotografico.

Il secondo è uno dei sei musei della rete Messner: il MMM Corones. Ideato ovviamente da Reinhold Messner, è stato progettato dall’archistar Zaha Hadid e si sviluppa in gran parte sottoterra, con enormi vetrate che si affacciano nel vuoto. Qui il tema è l’alpinismo tradizionale: attrezzature d’epoca, racconti delle prime ascensioni, riflessioni filosofiche sul rapporto tra uomo e montagna. Non è un museo neutrale: è la visione di Messner, con la sua impronta forte e personale, e proprio per questo affascina.

Dopo un lungo giro, tra boschi, prati, arte e musei, scendo di nuovo a Riscone a fine giornata. Gambe stanche, sì, ma il cuore pieno: oggi il Plan de Corones non è stato solo una cima conquistata, ma un vero crocevia di natura, cultura e panorami.

Album fotografico Plan de Corones 

Album fotografico Museo Messner e Museo Lumen 


martedì 26 agosto 2025

Croda del Becco dal Lago di Braies

 

Dopo l’ottima partenza di ieri, oggi è stato il giorno del grande trekking: quello che ti rimane addosso non solo nelle gambe ma anche negli occhi e nella memoria. Meta: Croda del Becco (Seekofel), partendo dal leggendario Lago di Braies.

Sveglia presto, ancora una volta. Tre motivi, stavolta: il primo, banalmente pratico, riguarda il parcheggio del lago. Per chi arriva prima delle 9.00 non serve prenotazione, ma molti posti erano già bloccati online. Qualcuno però resta sempre libero per i mattinieri: io alle 6.20 ero già sul posto. Secondo motivo: l’escursione è tosta, quasi 20 km con 1.500 metri di dislivello positivo e passaggi attrezzati, quindi volevo avere tutta la giornata davanti. Terzo motivo: il sole. Ho studiato il giro e l’ho fatto in senso orario: così la lunga salita l’ho percorsa quasi tutta all’ombra, e nella discesa ho avuto il sole sempre alle spalle. Strategia vincente.

Il punto di partenza è il Lago di Braies, uno degli specchi d’acqua più famosi delle Dolomiti, a 1.496 metri di quota. Un lago glaciale che sembra disegnato: acque color smeraldo, boschi che lo abbracciano e le cime che si specchiano dentro come in un dipinto. Oggi, a quell’ora del mattino, era ancora quasi addormentato: silenzio interrotto solo dalle  barchette di legno ferme e dalla mia partenza verso il sentiero.

Il primo tratto è la parte più impegnativa fisicamente: salita decisa, con tratti ripidi e qualche passaggio attrezzato con cavi metallici, che ti ricorda che sei in Dolomiti e non su una passeggiata domenicale. La fatica, però, viene ripagata passo dopo passo: il bosco lascia spazio a panorami sempre più aperti, con viste che si allargano sulla valle e sul lago che pian piano resta alle spalle. Tutto segnato e segnalato magnificamente tranne il tratto per raggiungere la punta: circa due km in cui si va un po' a sensazione. 

Dopo circa 8 km arrivo alla protagonista della giornata: la Croda del Becco (2810 m). La cima si erge massiccia e bianca, un balcone naturale che domina l’intera Val Pusteria. Da lassù la vista è semplicemente incredibile: non solo il lago laggiù, piccolo come una pietra preziosa incastonata tra i boschi, ma tutto l’altopiano di Fanes-Senes-Braies, un mondo sospeso fatto di prati, torbiere e cime dolomitiche a perdita d’occhio. Una vetta che sa di conquista.

Poco più sotto si incontra il Rifugio Biella (Seekofelhütte, 2327 m), posto in una radura che sembra scolpita apposta per accogliere l’escursionista. È uno dei rifugi più antichi della zona, costruito nel 1907, e ancora oggi mantiene un’atmosfera autentica, quasi spartana. Qui ci si ricarica: acqua fresca, la mitica limonata e lo sguardo che corre tra pascoli e crode.

La discesa continua tra paesaggi sempre diversi: prati, boschi e infine di nuovo il lago, che mi accoglie dopo quasi 10 ore totali di cammino (7 ore e mezza effettive di movimento). Le gambe sentono la fatica, ma il cuore no: questa escursione è stata esaltante, di quelle che ti fanno dire “ne è valsa la pena” dal primo all’ultimo passo. Da non sottovalutare neanche la discesa per il sentiero 23.

Un anello perfetto, dove natura, tecnica e bellezza si mescolano in modo armonico: il Lago di Braies come punto di partenza e arrivo, il Rifugio Biella come tappa intermedia e la Croda del Becco come regina della giornata.

Una delle escursioni più belle che abbia fatto negli ultimi tempi. “Abbestia”, per dirla senza troppi giri di parole.


Album fotografico Croda del Becco dal Lago di Braies 


lunedì 25 agosto 2025

Cascate di Riva e Castello Taufers

 



Dopo l’avventura norvegese e la rapida toccata e fuga in Maremma, non c’è tempo per respirare: zaino di nuovo pronto e via verso l’Alto Adige. La base scelta stavolta è San Lorenzo, in Val Pusteria, e già la logistica mi strappa un sorriso: il check-in alla Pension Panorama è fissato alle 10.00 del mattino. Una rarità! Così ho pensato: perché non sfruttare la cosa fino in fondo? Sveglia assassina alle 3.15, caffè al volo e via. Dopo ore di viaggio arrivo puntuale, faccio registrazione, cambio veloce d’abito e sono subito operativo per il primo trekking del soggiorno.

La meta è Campo Tures, piccolo centro a nord di Brunico che sembra uscito da una cartolina: case imbiancate, tetti spioventi, fiori ai balconi, e il tutto incorniciato da montagne imponenti. Qui inizia l’anello che ho deciso di percorrere oggi, immerso nei boschi e tra prati alpini.

Tappa obbligata: le Cascate di Riva, un vero gioiello naturale. Sono tre salti d’acqua fragorosi formati dal torrente Reinbach, che scende impetuoso scavandosi un canyon spettacolare. Un tempo erano usati anche per l’energia idroelettrica, oggi sono uno dei punti panoramici più noti della zona. Salgo fino alla terza cascata, quella più scenografica, dove l’acqua precipita con una potenza quasi ipnotica. Invece di ripetere il percorso classico, scelgo l’anello che aggira il bosco e permette di vivere il paesaggio da altre prospettive. La giornata è limpida, l’aria fresca e il rumore dell’acqua accompagna la camminata: perfetto come primo assaggio delle Dolomiti.

Visto che è ancora presto, non resisto a un’altra tentazione: la visita al Castello di Tures (Burg Taufers). L’edificio domina la valle dall’alto di un promontorio roccioso ed è uno dei castelli meglio conservati di tutto l’Alto Adige. Costruito nel XIII secolo, è stato dimora dei Signori di Tures e successivamente dei Conti di Tyrol. Oggi si visita con guida e offre un viaggio nel tempo: sale medievali arredate, cappella affrescata, la stanza delle torture e persino un’interessante collezione di armi. Non manca, ovviamente, la classica leggenda del castello infestato dai fantasmi: in questo caso quello di Margarethe von Taufers, che pare ancora vaghi tra le mura. Una sosta che arricchisce la giornata di un pizzico di suggestione storica oltre alla natura.

Dopo l’immersione tra boschi, acqua e pietra medievale, rientro con calma a San Lorenzo. La Pension Panorama fa onore al nome: da qui lo sguardo abbraccia la valle con i suoi campi ordinati e i tetti aguzzi dei villaggi sparsi. Giusto il tempo di una doccia e mi concedo una breve visita a Brunico, cittadina elegante e vivace. Il centro storico è un susseguirsi di portici, negozi tradizionali e facciate colorate che rivelano l’influenza austriaca. La via Centrale, con le insegne antiche e le case alte e strette, sembra fatta apposta per passeggiare senza fretta.

La giornata si chiude con la cena, ovviamente tipica: canederli fumanti, serviti come si deve . Pane, speck, erbe, formaggio : un piatto semplice ma sostanzioso che racconta in pieno la tradizione tirolese. Un degno finale per la mia prima giornata in Val Pusteria, iniziata di notte e finita tra acqua, pietra e sapori montani. Domani ci sarà altro da scoprire, ma l’esordio promette bene.


Album fotografico Cascate di Riva e Castello Taufers 


domenica 24 agosto 2025

Visita al Lago dell'Accesa

 

Lago dell’Accesa. Oggi sveglia presto, come mio solito, per arrivare prima che le pedane di legno che si affacciano sull’acqua vengano prese d’assalto. Il premio? Stendermi in totale pace davanti a uno specchio d’acqua che sembra inventato: il lago è piccolo, profondo circa 40 metri, ma con un’acqua talmente cristallina che pare quasi irreale. Si trova in Maremma, vicino a Massa Marittima, ed è alimentato da sorgenti sotterranee che mantengono sempre una trasparenza incredibile.

Mentre mi godevo il silenzio, ho condiviso il tempo con le libellule che sfrecciavano sopra la superficie e con una tartaruga d’acqua che ha fatto capolino vicino alla riva. Diventa ufficialmente il mio secondo animale guida, dopo il topo del deserto: lento, silenzioso, ma presente al momento giusto.

Abbiamo anche percorso qualche sentiero di trekking nei dintorni, fra boschi e tracce etrusche (qui un tempo c’era addirittura un insediamento minerario), ma il caldo ci ha riportati di nuovo verso l’acqua. Un altro tuffo, e tutto prende la giusta dimensione: refrigerio, quiete e la sensazione che certi luoghi siano fatti apposta per fermarsi e respirare.




giovedì 21 agosto 2025

Ultimo giorno di Norvegia a Oslo

 


Ultima giornata in Norvegia, e decido di giocarmi bene le ore a disposizione prima del volo di ritorno. Mattina dedicata alla penisola di Bygdøy, facilmente raggiungibile con un traghetto dal centro: pochi minuti di navigazione ed eccomi nella zona che concentra alcuni dei musei più affascinanti del paese.

La prima tappa è il Fram Museum, interamente dedicato alla storia delle esplorazioni polari. All’interno è conservata la nave Fram, quella che ha portato Nansen e Amundsen nelle spedizioni artiche e antartiche. Camminare sul ponte di un vascello che ha solcato i ghiacci più estremi del pianeta trasmette un senso unico di avventura, sacrificio e sfida all’impossibile.

Accanto, il Norsk Maritimt Museum amplia lo sguardo: un percorso che racconta la tradizione marittima norvegese, dalle imbarcazioni vichinghe alla navigazione commerciale, con modellini, strumenti e perfino simulazioni multimediali che ti catapultano tra onde e vele.

Infine il Kon-Tiki Museum, forse il più “romantico”. Qui si rivive l’impresa di Thor Heyerdahl, che nel 1947 attraversò l’Oceano Pacifico su una zattera di legno di balsa per dimostrare che le antiche civiltà potevano stabilire contatti tra continenti lontani. La zattera originale è lì, davanti agli occhi, insieme ad altri cimeli delle sue spedizioni. È un museo che mescola scienza, sogno e avventura.

Dopo un pranzo veloce, il pomeriggio lo dedico a una lunga passeggiata al Vigelandsparken. Un parco monumentale che non assomiglia a nessun altro: oltre 200 sculture di Gustav Vigeland, in granito, bronzo e ferro battuto. Figure umane in tutte le pose possibili, dall’infanzia alla vecchiaia, dall’amore al conflitto. Il celebre “Bambino arrabbiato” e il colossale Monolitten, 121 figure intrecciate scolpite in un unico blocco di granito, sono immagini che rimangono impresse. Più cammini tra questi viali, più ti rendi conto che il parco è un grande racconto sull’umanità stessa.

Infine, il rientro in hotel per recuperare il bagaglio e il trasferimento verso l’aeroporto di Torp. Mentre attendo il volo, guardo fuori dalle vetrate: foreste fitte, laghi scuri, montagne che si intravedono in lontananza. Paesaggi che hanno accompagnato ogni singolo giorno di questo viaggio, regalandogli un’aura speciale. La Norvegia si congeda così, con la sua natura stupefacente e la sua capacità di sorprendere anche negli istanti finali.

Un commiato che sa di promessa: potrei tornare. Jeg kommer kanskje tilbake. 


Album fotografico Oslo #2




mercoledì 20 agosto 2025

Da Stavanger ad Oslo

 


Oggi giornata di pura transizione. Quasi otto ore tra treno e bus per tornare da Stavanger a Oslo, ma ancora una volta i paesaggi norvegesi non deludono: boschi, specchi d’acqua, scorci che rendono piacevole persino un lungo trasferimento. Inoltre il treno è decisamente comodo ed in versione vip. 

Arrivo a Oslo nel tardo pomeriggio, giusto il tempo di sistemarmi in hotel e concedermi una doccia rigenerante. Prima della cena faccio un piccolo giro in centro, tanto per rimettere in moto le gambe, e mi regalo una visita veloce alla Biblioteca Deichman Bjørvika: architettura modernissima, spazi ampi, terrazze con vista. Un luogo che sembra pensato non solo per leggere, ma per vivere la città da una prospettiva diversa.

Alle 19 mi aspetta la cena allo Stortorvets Gjæstgiveri, ristorante storico che trasuda atmosfera: legno, luci calde, piatti tradizionali norvegesi serviti con un tocco di eleganza. Dopo cena, nonostante la stanchezza del viaggio, decido che non posso perdermi un’esperienza speciale: entro da HIMKOK, cocktail bar senza alcuna insegna (suggerito da VIKI) che richiama i vecchi speakeasy. Luci soffuse, atmosfera segreta, drink preparati con una cura maniacale. È uno di quei posti in cui il tempo sembra sospendersi, perfetto per chiudere una giornata lunga ma intensa. L'ultima sera qui in Norvegia.  Ma non è ancora momento per dirle addio. 

Album fotografico Da Stavanger a Oslo 


martedì 19 agosto 2025

Crociera a Lysenfjord e Sverd i Fjell

 

Oggi giornata dedicata a una lunga crociera sul Lysefjord, con una serie di tappe che raccontano tanto la natura quanto la storia della Norvegia.

La navigazione inizia passando da Tronholmen, isoletta storica dove, pensate, si tenne nel 998 la prima assemblea nazionale guidata da Olav Tryggvason, discendente diretto di Harald Fairhair, il re che unificò la Norvegia. Un luogo minuscolo che però porta con sé un peso enorme nella memoria del Paese.

Poco più avanti si entra nell’Høgsfjorden, un braccio di mare che si estende per 23 km. È un fiordo relativamente profondo, con pareti ripide e verdi che scendono dritte nell’acqua: scenario perfetto per chi ama pescare o andare in barca, ma anche solo da ammirare in silenzio.

Si costeggia quindi l’isola di Ådnøy, caratterizzata da colline morbide e prati coltivati. Qui la vita scorre lenta: piccola popolazione residente, agricoltura e pesca come attività principali. Un contrasto piacevole rispetto al caos urbano di Stavanger, che sembra lontanissimo.

Poi si entra nel protagonista assoluto: il Lysefjord. Lungo 42 chilometri, è famoso per i suoi scenari drammatici, con pareti che si innalzano fino a 1.000 metri e scendono a picco in mare. Il nome stesso, “Lyse”, deriva dal colore chiaro delle rocce di granito che dominano il paesaggio e che regalano al fiordo un’atmosfera unica. Non a caso è una delle mete più visitate della Norvegia.

La barca si ferma quindi a Forsand, piccolo gioiello con testimonianze archeologiche che risalgono addirittura all’Età della Pietra. Da qui partono molti dei sentieri più famosi della zona, come quelli che portano a Preikestolen o al Kjeragbolten, ma anche solo la vista delle fertili campagne e delle antiche fattorie racconta secoli di storia rurale.

Lungo il fiordo appare la Fantahålå, la “caverna dei vagabondi”: una cavità naturale nascosta nelle scogliere. In passato era rifugio per viandanti e, secondo le leggende, anche per chi voleva sottrarsi alle leggi o alle intemperie. Vederla dal mare dà proprio l’idea di un rifugio segreto.

La tappa più attesa è ovviamente il Preikestolen, il Pulpit Rock: il gigantesco pulpito di granito che si protende nel vuoto a 604 metri d’altezza. Vederlo dal fiordo è diverso rispetto a ieri, quando ci sono salito a piedi: da sotto si percepisce ancora di più la vertigine e la maestosità della parete, piatta e imponente. Non a caso è una delle attrazioni naturali più famose del Paese, set perfetto anche per scene cinematografiche (qui è stato girato il finale di Mission: Impossible – Fallout).

La crociera prosegue verso Refsa, dove i primi coloni iniziarono a costruire i loro insediamenti sulle rive del fiordo. È un luogo che conserva un sapore antico, quasi primitivo, dove si può immaginare la vita dura ma suggestiva dei primi abitanti.

E infine il gran finale: la cascata di Hengjanefossen, una delle più spettacolari della zona. L’acqua si tuffa giù dalle ripide pareti e si infrange direttamente nel fiordo, creando spruzzi che arrivano fino alla barca. C’è anche una leggenda legata a questo luogo: quella di Heinrich e Sikke, un amore nato sulle rive della cascata e contrastato dalla comunità locale. Heinrich, inoltre, produceva illegalmente alcol usando proprio l’acqua purissima della Hengjanefossen. La loro storia si perde nel mistero — qualcuno dice che lui fuggì, altri che rimase — ma la cascata continua a raccontarla con il suo fragore.

È un itinerario che unisce tutto: storia, natura, leggende e panorami da togliere il fiato. Un viaggio lento dentro il cuore del fiordo, che lascia negli occhi immagini potenti e nell’animo la sensazione di aver toccato un pezzo profondo di Norvegia.

Dopo la lunga crociera del mattino, il pomeriggio lo dedico a un “urban trekking” particolare, che unisce natura e città. Stavanger ha la fortuna di essere circondata da spazi verdi e parchi urbani che sembrano cuciti addosso alla città: si passa dalle strade al verde in pochi minuti, come se la natura fosse un quartiere in più.

Cammino attraverso giardini, laghetti e sentieri che tagliano zone residenziali tranquille, sempre accompagnato da quell’aria nordica che alterna luce e nuvole in continuazione. È un percorso rilassante ma al tempo stesso suggestivo, perché sembra di attraversare la città da dentro la sua parte più viva: quella naturale.

La meta è uno dei simboli più forti di Stavanger e della Norvegia: Sverd i fjell, le “Spade nella roccia”. Tre colossali spade di bronzo conficcate nel terreno a memoria della battaglia di Hafrsfjord, combattuta nel 872. Fu lì che Harald Fairhair unificò la Norvegia sotto un unico regno. Le lame, alte oltre dieci metri, svettano come guardiani silenziosi sopra l’acqua del fiordo.

Il monumento ha una potenza evocativa enorme: tre spade, piantate nella roccia per non essere mai più estratte, simbolo di pace raggiunta dopo la guerra. Lì davanti il pensiero corre alla lunga storia di questo Paese, ma anche alla sua capacità di trasformare le memorie in arte pubblica, in simboli collettivi.

La camminata si conclude così, tra il verde cittadino e la storia scolpita nel bronzo. Una giornata che ha unito il fragore delle cascate e dei fiordi al silenzio dei parchi, chiudendosi davanti a tre spade gigantesche che raccontano, meglio di mille parole, l’identità norvegese.


Album fotografico Crociera a Lysenfjord e Sverd i Fjell


lunedì 18 agosto 2025

Preikestolen (Pulpit Rock) e Stavanger #2

 



La mattina inizia con un cielo grigio e pesante: nebbia, nuvole basse e quella pioggerellina sottile che in Norvegia sembra essere di casa. Ma l’escursione a Pulpit Rock non può aspettare: o oggi o domani, e con un meteo così imprevedibile meglio rischiare subito.

Il bus mi lascia al punto di partenza del trekking e già lì l’atmosfera non promette niente di buono. Il cielo è chiuso, l’umidità alta e il sentiero appare scivoloso. Ma passo dopo passo, curva dopo curva, il paesaggio si apre e la salita mi porta letteralmente al di sopra delle nubi. È un’esperienza incredibile: terminato il tratto immerso nella nebbia, mi ritrovo con il cielo limpido sopra la testa e un mare di bruma sotto di me.

L’escursione è tra le più celebri della Norvegia. Il Pulpit Rock, o Preikestolen, è una piattaforma naturale di granito che si affaccia a strapiombo sul Lysefjord, circa 604 metri più in basso. Normalmente da qui la vista è vertiginosa, con il fiordo che si allunga stretto e blu tra le montagne. Oggi invece non si vede nulla di tutto ciò: solo un oceano lattiginoso di nuvole che riempie la valle. Eppure lo spettacolo non è meno suggestivo: mi sembra di essere entrato in un quadro, e non uno qualunque, ma il celebre “Viandante sul mare di nebbia” di Caspar David Friedrich. Una visione poetica e romantica, capace di appagare l’escursionista che c’è in me nonostante la mancanza della “cartolina classica”.

Scendo con il cuore e lo spirito leggeri, grato di aver scelto di tentare l’escursione nonostante le premesse. Tornato a Stavanger, mi concedo un pomeriggio più cittadino: entro al volo nella cattedrale, approfittando del fatto che stava per chiudere e quindi l’ingresso era gratuito. Poi visito il Museo dell’inscatolamento, dedicato alla storia dell’industria locale delle conserve di pesce e della stampa: curioso, divertente e inaspettatamente interessante, con un tocco rétro che racconta una parte insolita ma significativa della vita norvegese del secolo scorso.

Una giornata che è stata un saliscendi non solo fisico ma anche emotivo: dalle nubi grigie e opprimenti al cielo limpido e azzurro sopra le montagne, fino al mare di nebbia che ha trasformato il fiordo invisibile in poesia. E per cena finalmente la famosa zuppa di pesce norvegese. 


Album fotografico Preikestolen e Stavanger #2

domenica 17 agosto 2025

Arrivo a Stavanger

 


Lasciata Bergen in mattinata, salgo a bordo di un autobus diretto a Stavanger. Il viaggio dura meno di cinque ore, ma il tempo vola grazie al paesaggio che scorre fuori dal finestrino: coste frastagliate, villaggi di legno, montagne che si specchiano nei fiordi. Prendiamo anche il traghetto per due volte oltre che attraversare tunnell e ponti spettacolari. Un percorso che, pur senza lo spettacolo “scenografico” delle grandi crociere, restituisce un quadro autentico della Norvegia sud-occidentale.

Arrivato a Stavanger e sistematomi nell’appartamento, decido di affrontare la città con calma, a piedi, lasciando che siano le strade e i vicoli a dettare il ritmo della visita.

La prima tappa è Gamle Stavanger, la “vecchia città”. Una cartolina vivente: casette in legno dipinte di bianco, minuscoli giardini fioriti, vicoli silenziosi. È il più grande nucleo europeo di case in legno del XVIII secolo ancora conservate, e passeggiare qui significa immergersi in un’atmosfera sospesa tra museo e quotidianità.

Da qui, con pochi passi arrivo a Øvre Holmegate, soprannominata la “Color Street”. In netto contrasto con il bianco delle casette storiche, questa via è un’esplosione di colori: ogni edificio dipinto con tinte sgargianti, dal fucsia al turchese, secondo un progetto artistico degli anni Duemila che ha dato nuova vita al quartiere. È un luogo perfetto per una pausa fotografica e per respirare un po’ dell’anima giovane e creativa di Stavanger.

Continuo la camminata verso il mare e mi ritrovo davanti allo Stavanger Konserthus, la sala da concerto affacciata sull’acqua. La sua architettura moderna e luminosa, fatta di vetro e linee pulite, racconta una città che non è solo tradizione ma anche contemporaneità e innovazione.

Il cuore verde di Stavanger è il Breiavatnet, il piccolo lago attorno al quale si stende lo Stavanger Park. Un’oasi di quiete con cigni e anatre, perfetta per rallentare il passo prima di visitare la vicina Cattedrale di Stavanger, la più antica della Norvegia, costruita a partire dal 1100 in stile anglonormanno. Le pietre scure della facciata contrastano con la leggerezza del parco e ricordano quanto profonda sia la stratificazione storica della città.

Dopo questo tuffo nel passato, cambio registro con il Museo Norvegese del Petrolio. Costruito come una piattaforma petrolifera che sembra galleggiare sull’acqua, il museo racconta come l’oro nero abbia cambiato il destino della Norvegia a partire dagli anni ’70. Non solo esposizioni tecniche, ma anche installazioni interattive che spiegano il legame, non sempre semplice, tra energia, ambiente e sviluppo sociale.

Infine mi lascio guidare di nuovo verso il porto, il punto più vivo e conviviale della città. Qui si trova Torget, con il mercato del pesce e i ristoranti affacciati sull’acqua. Anche senza sedersi per una cena completa, la zona regala l’atmosfera giusta per concludere la giornata: luci che si riflettono nel mare, profumo di salmone affumicato e l’eco delle voci dei pescatori che da generazioni animano questo spazio.

Così si chiude la mia prima giornata a Stavanger: non una corsa tra attrazioni, ma una passeggiata lenta, in cui storia, modernità e mare si sono mescolati in modo naturale. Una città che sorprende per la sua varietà e che sa essere, al tempo stesso, antica e vivace, silenziosa e colorata.


Album fotografico Arrivo a Stavanger 


sabato 16 agosto 2025

Flam in treno e ritorno in traghetto

 



Oggi è la volta del treno, e non un treno qualunque. Da Bergen salgo sulla ferrovia che porta a Myrdal, tratto già di per sé spettacolare, con binari che si inerpicano tra vallate verdi, laghi e montagne, spesso entrando ed uscendo da lunghi tunnel. A Myrdal cambio per la Flåmsbana, la linea storica che collega l’altopiano direttamente al fiordo.

La Flåmsbana è considerata una delle ferrovie panoramiche più belle del mondo, e capisco subito il perché: venti chilometri appena, ma con una pendenza media del 5,5%, tunnel scavati a mano e scorci continui su cascate e vallate profonde. La fermata più iconica è alla Kjosfossen, cascata impressionante che cade fragorosamente a pochi passi dal treno. Tra le nuvole basse, l’acqua che si tuffa dalle rocce sembra ancora più scenografica. La tratta si conclude nel piccolo borgo di Flåm, adagiato sul fondo del Sognefjord, che oggi diventa la mia base per qualche ora.

Il tempo a disposizione è sufficiente per una passeggiata, anzi un piccolo trekking che mi porta fino alle cascate nei dintorni: sentieri semplici ma suggestivi, con il fragore dell’acqua che accompagna ogni passo e le montagne che incombono da ogni lato. Poi rientro al porto, dove mi aspetta il traghetto per Bergen.

La navigazione dura oltre cinque ore, sempre lungo il Sognefjord. È lo stesso fiordo di ieri, ma la sua immensità rende ogni tratta differente. Le montagne cambiano continuamente aspetto, alternando versanti scoscesi, prati verdi punteggiati di fattorie e cascate che scendono dritte nell’acqua. A tratti sembra un paesaggio già visto, ma la luce, le nuvole e l’ampiezza del fiordo rendono ogni curva un nuovo spettacolo. È un viaggio lento, quasi meditativo: il tempo scorre con il rumore costante del motore e lo scivolare placido del traghetto sull’acqua, mentre il paesaggio si srotola come un film proiettato a 360 gradi. Inoltre la parte esterna al fiordo non è in mare aperto, ma costellata di isole, isolotti, scogli, promontori e tutto ciò che i lembi di terra possono creare quando escono dall'acqua. 

Arrivo a Bergen in serata, stanco ma con la sensazione di aver attraversato non solo un territorio, ma un pezzo della storia e della natura norvegese: treni d’altri tempi, fiordi eterni e montagne che sembrano non voler finire mai.


Album fotografico Treno per Flam e ritorno a Bergen in traghetto 


venerdì 15 agosto 2025

Viaggio da Bergen e crociera sui fiordi

 

Oggi lascio Bergen di buon’ora per un’escursione giornaliera che promette panorami spettacolari, fiordi e ghiacciai. Salgo su un piccolo bus diretto verso Voss — che in realtà è solo una tappa di passaggio — e subito inizia la danza dei tunnel: in Norvegia sembrano non finire mai, chilometri e chilometri scavati nella roccia per collegare valli e coste che altrimenti sarebbero isolate. Tra un traforo e l’altro scorrono fuori dal finestrino tratti di fiordi e fiumi celebri per la pesca al salmone, soprattutto nella zona di Evanger, dove il fiume Vosso ha reso la località una meta di riferimento per gli appassionati.

Il bus affronta poi il Myrkdalvegen Serpentinveg, una strada a tornanti che si arrampica sulle montagne regalando scorci su vallate verdi e cascate gonfie per la pioggia. E di pioggia oggi ce n’è parecchia, insieme a una nebbia bassa che avvolge tutto: invece di rovinare il paesaggio, lo rende quasi mistico. È Ferragosto, e mentre in Italia si boccheggia per il caldo, qui si viaggia con il giubbotto allacciato.

La prima vera sosta è a Storesvingen, un belvedere spettacolare sulla valle di Nærøydalen. Anche se le nuvole coprono parte della vista (al ritorno faccio foto col sole dallo stesso punto) , il fascino resta intatto: le montagne si intravedono tra gli sbuffi di nebbia, il fiume scorre in fondo alla valle e la strada a tornanti di Stalheimskleiva sembra una sottile riga bianca che serpeggia in mezzo al verde.

Si prosegue fino a Vik, dove ci imbarchiamo per attraversare il Sognefjord. È il fiordo più lungo e profondo della Norvegia, e anche con pioggia e cielo plumbeo è uno spettacolo: montagne che scendono a picco sull’acqua, cascate che si gettano nel fiordo come fili d’argento e villaggi che sembrano incollati alle rive. Dopo la navigazione arriviamo a Balestrand, cittadina famosa per le ville in legno in stile svizzero e per la chiesa di Sant’Olaf, costruita a fine Ottocento in stile ispirato alle stavkirke medievali.

Da qui la strada acquatica ci porta a Fjærland, “la città dei libri”, dove librerie e scaffali spuntavano nei luoghi più impensati come stalle e fienili. Il sole decide finalmente di farsi vedere proprio mentre visitiamo il Museo del Ghiacciaio. L’esterno è gradevole e ben inserito nel paesaggio, ma l’interno… diciamo che non entusiasma: contenuti un po’ poveri e presentazione che non riesce a trasmettere la grandiosità del tema.

Poco dopo siamo ai piedi del Bøyabreen Glacier. È uno dei ghiacciai più accessibili della Norvegia, una lingua di ghiaccio che scende tra le montagne fino a pochi metri dalla strada. Con il sole ormai alto, i contrasti di bianco e verde sono potenti, e il ghiacciaio sembra quasi brillare.

Il rientro avviene seguendo la stessa via dell’andata: traghetto e poi bus, attraversando di nuovo tunnel e serpentine. Stavolta però, con negli occhi le immagini della giornata, anche il paesaggio già visto sembra più vivo, come se il sole finale avesse colorato retroattivamente tutto il viaggio.


Album fotografico viaggio da Bergen verso i fiordi