
Siamo sempre nello stesso universo narrativo, ma il tono è cambiato. Non c’è più quella sensazione di essere catapultati dentro due film cuciti insieme, come accadeva nel primo. Qui si entra subito nella dimensione vampiresca e non se ne esce più. È un film che non gioca sull’effetto sorpresa, ma sull’esagerazione. È più crudo, più fisico, più cattivo, e a tratti anche più grezzo. Non ha la stessa eleganza narrativa di Rodriguez e Tarantino, ma sceglie di compensare con la quantità di sangue, morsi e corpi che volano in aria.
Il regista, Scott Spiegel, viene dal mondo dei B-movie e ha lavorato con Sam Raimi, e questa cosa si nota tantissimo: l’impronta è quella dello splatter anni ’80, con inquadrature assurde, ritmo serrato e quella voglia di trasformare ogni scena in un’esplosione di budella e denti affilati. Lo humor nero è ancora presente, ma meno fine. Dove il primo film giocava con l’intelligenza dello spettatore, il secondo si diverte a prenderlo a secchiate di sangue. E per chi ama questo tipo di cinema, è quasi una carezza affettuosa.
La trama è semplice, molto più essenziale del primo. Un gruppo di criminali si ritrova invischiato in una storia vampiresca al confine tra Stati Uniti e Messico. Non c’è la costruzione dei personaggi che avevamo con i fratelli Gecko, niente dialoghi memorabili, niente cambi di tono improvvisi. Qui si corre dritti verso l’azione, senza troppe esitazioni. In un certo senso è un film più “onesto”: ti promette vampiri e splatter e ti dà esattamente quello, senza fronzoli né ambizioni particolari.
Ovviamente il paragone con il primo capitolo è inevitabile e anche un po’ ingiusto. Dal tramonto all’alba 2 non ha la pretesa di essere un cult. Non cerca di stupire, non inventa nulla di nuovo. Ma allo stesso tempo non finge di essere altro. È una carneficina divertita e consapevole di esserlo. Un film per chi ama gli horror da videoteca, quelli da guardare a notte fonda con la luce spenta e una birra in mano. Non a caso è un prodotto pensato direttamente per il mercato home video: budget più basso, libertà maggiore e quella sfacciataggine tipica dei sequel che non devono dimostrare nulla a nessuno.
Riguardandolo oggi, la differenza con il primo è netta e quasi brutale: meno stile, più sangue. Meno cinema “grande”, più intrattenimento di genere. Ma non per questo è da buttare, anzi. Ha il pregio di non scimmiottare l’originale, di prendere la strada più semplice e diretta: dare ai fan dell’horror quello che vogliono. E lo fa con un’energia rozza ma efficace. Non è un film che ti resta addosso come il primo, ma ti diverte nel momento in cui lo guardi. Ed è probabilmente esattamente quello che voleva essere.
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