sabato 15 novembre 2025

Sex And Zen 3D (2011)

 
Regia: Christopher Suen
Anno: 2011
Titolo originale: Sex And Zen 3D: Extreme Ecstasy
Voto e recensione: 3/10
Pagina di IMDB (4.2)
Pagina di I Check Movies
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Film:


Sex and Zen 3D è uno di quei film che arrivano con un’aura quasi leggendaria, come se fossero oggetti misteriosi provenienti da un universo parallelo dove il cinema erotico tenta la via dell’innovazione tecnologica. Nella realtà, però, si rivela per quello che è: un prodotto dozzinale, impacchettato come “esperienza sensoriale in tre dimensioni” ma che poi, quando ti siedi e lo guardi, ti ricorda più un gadget invecchiato male che una rivoluzione cinematografica.

Il racconto prova a infilare insieme erotismo, filosofia, romanticismo tormentato e persino una punta di dramma. In teoria potrebbe pure funzionare, ma nella pratica è una fiera del “vorrei ma non posso”, con personaggi che sembrano presi da una soap operina orientale e dialoghi che oscillano tra il sospetto di essere da commedia e la certezza di essere ridicoli. È un film che non capisce bene cosa vuole essere, e nel dubbio prova a essere tutto… senza riuscire in niente.

E poi c’è la chicca della versione italiana, che riesce nell’impresa titanica di peggiorare il già zoppicante risultato originale (così voglio immaginare non avendo visto la versione estesa). Tagli su tagli, come se il montatore avesse deciso di mettere alla dieta il film proprio nelle parti per cui esiste: le scene erotiche vengono smontate con una furia puritana che lascia solo ombre e mezze idee, mentre anche i momenti più crudi e violenti vengono alleggeriti, smussati o tolti. Alla fine rimane un film talmente ripulito che perdi perfino quel minimo di identità trash che lo poteva  rendere quantomeno “vedibile” in chiave ironica.

Il paradosso è che Sex and Zen 3D nella sua interezza punta tutto su un’esagerazione costante, su un’estetica barocca e su un erotismo spinto che dovrebbe shockare e divertire allo stesso tempo. Togli quello, cosa rimane? Un pastrocchio confuso, esteticamente pacchiano, narrativamente risibile e privo di qualsiasi spinta emotiva o sensoriale. Una specie di reliquia di un periodo in cui sembrava che mettere “3D” nel titolo bastasse a rendere tutto più interessante.

Alla fine il film può incuriosire solo se lo si affronta con la consapevolezza che si sta per entrare in un territorio borderline, dove il fascino nasce dal cattivo gusto e nonostante il cattivo gusto. E forse è proprio lì, in quella sua incapacità totale di essere ciò che promette, che Sex and Zen 3D trova il suo assurdo motivo d’esistere: un’esperienza talmente sbilenca da diventare un piccolo monumento al cinema erotico che tenta di essere epico… e finisce per sembrare solo goffo.

Edizione: bluray
Si tratta di una versione italiana (decisamente rara) in unico disco bluray sia in formato normale che in 3D. La versione è lunga 105 minuti, quindi ha numerosi tagli rispetto a quella originale, ma ha 15 minuti in più rispetto alla prima versione italiana. Mancano le scee più audaci che lo avrebbero reso probabilmente un porno e quelle più violente. La traccia italiana è in DTS HD MA e come extra soltanto:
  • Trailer 

mercoledì 12 novembre 2025

Gen V [Stagione 2]

 

Anno: 2025
Titolo originale: Gen V
Numero episodi: 8
Stagione: 2
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La seconda stagione di Gen V conferma che questo spin-off non è un semplice riempitivo nell’universo di The Boys, ma una serie capace di camminare sulle proprie gambe, anzi, di correre con una grinta e una cattiveria che non fanno rimpiangere la “madre” principale. Fin dalle prime puntate si capisce che i toni sono cambiati: l’atmosfera è più cupa, la tensione più alta, e la sensazione costante è quella di trovarsi davanti a un tassello indispensabile per capire dove andrà a parare l’ultima stagione di The Boys. È una di quelle stagioni che non si limita a intrattenere, ma spinge avanti la narrazione generale dell’universo Vought, mettendo carne al fuoco su temi, personaggi e connessioni che avranno conseguenze dirette nel capitolo finale.

Il merito principale va a un villain davvero riuscito, di quelli che restano impressi. Thomas Godolkin, che entra in scena come un’ombra silenziosa, riesce a incarnare perfettamente il lato oscuro del potere, della manipolazione e dell’idea malata di superiorità. È un cattivo intelligente, subdolo, capace di far vacillare chiunque gli stia intorno, e il suo impatto sulla trama è devastante. In parallelo, la figura di Cipher, interpretato da Hamish Linklater, aggiunge un ulteriore livello di complessità e ambiguità morale: un antagonista apparente che si muove sul filo sottile tra follia e logica, riuscendo a reggere benissimo anche i momenti più lenti. È grazie a personaggi come questi che Gen V riesce a mantenere viva la curiosità e a far dimenticare che si tratta di uno spin-off, perché in più di un’occasione riesce persino a superare la serie madre in tensione e ritmo.

Certo, non tutto fila liscio. Alcune sottotrame sembrano arrancare, specialmente quelle legate ai personaggi secondari, che a volte scompaiono o vengono liquidati troppo in fretta. La mancanza di Andre Anderson si sente parecchio, e per quanto la scrittura provi a colmare il vuoto lasciato dall’attore scomparso, è evidente che l’equilibrio del gruppo ne risente. Inoltre, il finale, per quanto spettacolare e adrenalinico, rischia di strafare, con alcune scelte narrative un po’ troppo da manuale del blockbuster, dove l’urgenza di stupire prevale sulla coerenza. Ma anche questi eccessi fanno parte del DNA della serie: Gen V è sopra le righe, volutamente esagerata, e proprio in questo trova la sua forza.

Il bello è che, a differenza di tanti spin-off nati per sfruttare un marchio, qui si percepisce una direzione precisa. La stagione non chiude un cerchio, ma ne apre uno ancora più grande, tracciando un ponte diretto verso ciò che succederà in The Boys. Godolkin non è solo un cattivo isolato: rappresenta un’idea, un modo di intendere il potere e la selezione naturale che affonda le radici nella filosofia stessa di Vought. È il simbolo di una generazione di super che non ha più bisogno di nascondersi dietro la patina del marketing, ma che rivendica apertamente la propria “superiorità”. In questo senso, la seconda stagione di Gen V non è solo un capitolo intermedio, ma un passaggio obbligato per comprendere la rivoluzione che si sta preparando nel mondo dei Supes.

In definitiva, Gen V 2 è una stagione piena di ritmo, ironia nera e violenza ben dosata, che riesce a far convivere la follia visiva con un sottotesto politico e sociale sempre più interessante. È più matura, più cattiva e più consapevole di sé rispetto alla prima, e nonostante qualche inciampo riesce a mantenere alta la tensione fino alla fine. Si esce dall’ultimo episodio con la sensazione netta che l’universo di The Boys stia per esplodere del tutto, e che tutto quello che abbiamo visto qui sarà fondamentale per capire come e da dove partirà il gran finale.


lunedì 10 novembre 2025

Broken Flowers (2005)

 
Regia: Jim Jarmusch
Anno: 2005
Titolo originale: Broken Flowers
Voto e recensione: 4/10
Pagina di IMDB (7.1)
Pagina di I Check Movies
Acquista su Amazon 
 
Film:
 Broken Flowers (2005) di Jim Jarmusch è uno di quei film che dividono il pubblico: c’è chi lo può considerare una piccola gemma di introspezione (ha vinto premi internazionali e la quotazione è alta su IMDB) e chi, come me, lo trova piuttosto noioso e ripetitivo. E non è difficile capire perché. Jarmusch costruisce tutto su un ritmo lentissimo, fatto di silenzi, dissolvenze prolungate, inquadrature allo specchietto retrovisore e scene che si trascinano come un viaggio senza meta. Sembra voler dire molto con pochissimo, ma spesso il risultato è un esercizio di stile più che un racconto che coinvolge davvero.

Bill Murray interpreta Don Johnston, ex dongiovanni ormai in crisi, che riceve una lettera anonima da una vecchia fiamma: pare che da quella relazione sia nato un figlio, ora ventenne, in viaggio per incontrarlo. Spinto da un vicino invadente ma entusiasta, Don parte per rintracciare le sue ex e scoprire chi possa essere la misteriosa madre. Da qui in poi il film procede per tappe: ogni incontro è un frammento di passato che riemerge, ma senza mai trovare un vero punto di arrivo. E dopo un po’, la struttura ciclica — visita, imbarazzo, silenzio, ripartenza — inizia a pesare.

Jarmusch non vuole raccontare una storia in senso classico, ma mostrare un uomo che vaga tra i resti della sua vita, senza più capire dove sia finito il suo tempo e cosa gli resti da dire. È cinema contemplativo, che si nutre di dettagli, sguardi e assenze. Peccato che a volte sembri più interessato all’eleganza della forma che alla sostanza. Le dissolvenze e le odiose inquadrature riflesse nello specchietto diventano simboli insistiti, tanto da risultare quasi stucchevoli, come se il film si compiacesse della propria lentezza.

Qualche nota positiva però va detta, perché Broken Flowers ha anche motivi per essere apprezzato. Bill Murray, per esempio, regge tutto sulle spalle con la sua recitazione minimalista: comunica apatia, rimpianto e ironia con una semplice smorfia o uno sguardo perso nel vuoto. È un’interpretazione che in altre occasioni potrebbe essere definita magistrale, ed effettivamente riesce a dare spessore a un personaggio altrimenti piatto. Anche la fotografia, con i suoi toni desaturati e la calma delle inquadrature, ha una sua eleganza malinconica. E il film, nel suo insieme, conserva un messaggio sottile ma sincero: la ricerca di un senso, di un legame, di un contatto umano, anche quando sembra troppo tardi.

Alla fine però resta la sensazione che Broken Flowers sia più un esperimento che un’esperienza. È lento, volutamente distaccato e a tratti ripetitivo, ma dietro quella patina di minimalismo c’è comunque la voglia di raccontare l’umanità fragile e smarrita di chi si guarda indietro e non sa più dove sia finito il proprio presente. Forse sono stato un po’ duro, ma se da un film ti aspetti emozione e ritmo, qui trovi più distanza che calore. Chi invece ama i toni rarefatti e contemplativi di Jarmusch potrà trovarci poesia e malinconia. Io, sinceramente, più di qualche sbadiglio.

Edizione: bluray
Elegante versione della CG con traccia italiana in DTS HD MA 5.1 ed i seguenti extra:
  •  2 trailer
  • Dall'inizio alla fine (8 minuti)
  • La casa dei campi (4 minuti)
  • Le ragazze sull'autobus (2 minuti) 

domenica 9 novembre 2025

Eye On Juliet (2017)

 
Regia: Kim Nguyen
Anno: 2017
Titolo originale: Eye On Juliet
Voto  e recensione: 6/10
Pagina di IMDB (6.4)
Pagina di I Check Movies
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Film:
 Eye on Juliet (2017) di Kim Nguyen è uno di quei film piccoli, passati quasi inosservati, che però lasciano il segno se ci si ferma davvero ad ascoltarli. A prima vista sembra una storia d’amore impossibile, quasi fantascientifica, ma in realtà parla di connessione, empatia e speranza in un mondo sempre più distante. Ed è proprio questo il suo cuore: la possibilità che, anche dietro uno schermo o un drone, l’essere umano trovi un modo per tendere la mano all’altro.

La trama è semplice ma curiosa. Gordon (Joe Cole), un tecnico che lavora per una compagnia petrolifera, controlla da remoto dei droni a forma di ragno usati per sorvegliare un oleodotto nel Nord Africa. È un uomo solo, emotivamente svuotato, che vive un’esistenza piatta e alienante. Dall’altra parte dello schermo, però, la sua telecamera incrocia Ayusha (Lina El Arabi), una giovane donna promessa sposa contro la sua volontà. Inizia così una comunicazione surreale ma toccante tra due mondi divisi da migliaia di chilometri, da culture diverse e da una realtà che sembra destinata a tenerli separati.

Il film gioca costantemente su questa contraddizione: la distanza fisica e quella emotiva, la tecnologia fredda e il calore dei sentimenti. A tratti la storia sembra forzata, quasi incredibile nel modo in cui si sviluppa, ma è proprio lì che sta la sua forza: Eye on Juliet non vuole essere realistico, vuole essere possibile. È una favola moderna raccontata con strumenti contemporanei, dove la solitudine e la disillusione del protagonista si sciolgono grazie a un gesto di altruismo e a un legame che sfida ogni logica.

Nguyen dirige con delicatezza, senza enfasi e senza moralismi, affidandosi più alle immagini che alle parole. Le inquadrature del deserto, i movimenti ipnotici dei droni e il contrasto con la vita grigia di Gordon in Occidente creano un dialogo visivo costante: due universi opposti che però condividono la stessa sete di libertà. Joe Cole è bravissimo nel dare corpo a un uomo che ritrova un senso solo quando smette di guardare il mondo attraverso uno schermo per cominciare a viverlo davvero.

Il finale, pur lasciando qualche incredulità, regala una sensazione limpida e positiva. È un messaggio di speranza, quasi utopico, ma sincero: anche quando tutto sembra disconnesso, anche quando la tecnologia sembra dividerci, resta la possibilità di capire e di aiutare. Eye on Juliet è un film che crede ancora nella bontà umana, nella comunicazione come salvezza, nell’amore come atto di coraggio.

Non sarà un capolavoro, né un film da grandi numeri, ma ha un’anima vera. E in tempi di cinismo dilagante, questo basta e avanza per farlo entrare tra quelli che vale la pena ricordare.

Edizione: bluray + DVD
Amaray bianca con all'interno doppio alloggiamento per il disco bluray e quello DVD. Traccia italiana in DTS HD MA 5.1 e come extra soltanto:
  • Trailer 
 

sabato 8 novembre 2025

Matinee (1993)

 
Regia: Joe Dante
Anno: 1993
Titolo originale: Matinee
Voto e recensione: 5/10
Pagina di IMDB (6.9)
Pagina di I Check Movies
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Film:
Matinee (1993) di Joe Dante è una piccola perla che riesce a unire l’amore per il cinema, la nostalgia per gli anni ’60 e la satira sul potere della paura. È un film che parla di film, ma soprattutto del modo in cui le storie — anche le più assurde — servono a esorcizzare i mostri veri. E in questo caso, il “mostro” non è una creatura radioattiva, ma la tensione della crisi dei missili di Cuba che incombe su un’America sospesa tra panico e popcorn.

Siamo nel 1962, a Key West, in Florida, dove tutto sembra calmo e soleggiato finché il mondo non si ritrova sull’orlo dell’apocalisse nucleare. Mentre i genitori si preoccupano per la guerra, i ragazzi pensano a vivere, sognare e – soprattutto – andare al cinema. È lì che arriva il leggendario Lawrence Woolsey (interpretato da un John Goodman strepitoso), un produttore di film horror di serie B che fa del “terrore come intrattenimento” la sua filosofia di vita. Vuole presentare il suo nuovo capolavoro, Mant! (mezzo uomo, mezza formica), e per farlo trasforma la proiezione in un’esperienza sensoriale folle, tra scosse elettriche finte, effetti in sala e pubblico terrorizzato.

Dante usa questa cornice per fare un doppio omaggio: da un lato al cinema di mostri degli anni ’50, quello ingenuo ma geniale dei drive-in e delle creature mutate dalle radiazioni; dall’altro ai registi-showman di quegli anni, che con le loro trovate spettacolari trasformavano la paura in un gioco collettivo. Ma sotto l’ironia e la passione cinefila si nasconde anche una riflessione più amara: la paura, che sia atomica o cinematografica, serve a unire le persone e a farle sentire vive, almeno per un paio d’ore.

La regia di Dante è piena di ritmo e affetto. Si sente la mano di chi ama davvero i personaggi che racconta: gli adolescenti con le loro prime cotte, gli adulti confusi, il mago del cinema che crede ancora nel potere della fantasia. Matinee non è solo una commedia nostalgica, ma una dichiarazione d’amore al cinema come rifugio e come antidoto al terrore del mondo reale. Tutto è costruito con una leggerezza intelligente, tra citazioni, risate e momenti di autentica poesia.

John Goodman è perfetto: il suo Woolsey è un sognatore senza scrupoli ma con un cuore enorme, un illusionista che usa l’arte della paura per regalare meraviglia. Il film nel film (Mant!) è una chicca irresistibile, con dialoghi volutamente esagerati e un’estetica da B-movie riprodotta con affetto maniacale.

Alla fine, Matinee lascia addosso lo stesso sapore di un pomeriggio passato al cinema da ragazzini: un misto di emozione, risate e un po’ di malinconia per un mondo che non esiste più. Joe Dante, come sempre, riesce a parlare di infanzia, fantasia e mostri (reali e immaginari) con un tono unico, sospeso tra la commedia e la tenerezza. È un film che non fa rumore, ma resta nel cuore di chi ama davvero il cinema e crede ancora che, a volte, la paura sia la via più diretta per sentirsi vivi.

Edizione: DVD
Versione italiana in DVD con traccia in stereo ed i seguenti extra:
  • Trailer
  • Io faccio cinema (10 minuti) 

Compagni Di Scuola (1988)

 
Regia: Carlo Verdone
Anno: 1988
Titolo originale: Compagni Di Scuola
Voto e recensione: 6/10
Pagina di IMDB (7.2)
Pagina di I Check Movies
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Film:
 Compagni di scuola (1988) di Carlo Verdone è una di quelle pellicole che, anche se ambientate in un preciso momento storico, riescono a fotografare con ironia e malinconia un pezzo di vita che resta sempre attuale: il confronto con il tempo che passa, le illusioni giovanili che si sbriciolano, i sogni che non si sono mai realizzati davvero. È un film corale, pieno di volti, tic, caratteri e debolezze, in cui Verdone orchestra una sorta di tragicommedia di gruppo, quasi teatrale, che alterna momenti di comicità (spesso resistibile) a lampi di amarezza.

L’idea parte da un pretesto semplice ma potentissimo: una rimpatriata tra ex compagni di liceo, quidici (circa) anni dopo la maturità. Ognuno arriva con il proprio bagaglio di vite vissute, fallimenti, successi presunti e nevrosi reali. C’è chi vuole dimostrare di essere diventato qualcuno, chi non è mai cresciuto davvero, chi cerca vendetta o amore, chi semplicemente spera di non passare inosservato. Tutto si consuma in una sola notte, in una villa ai Castelli Romani, mentre piove fuori e i rancori si sciolgono (o si incendiano) tra un brindisi e l’altro.

Nel cast, una vera sfilata di nomi che hanno fatto la commedia italiana: Christian De Sica, Massimo Ghini, Eleonora Giorgi, Nancy Brilli, Angelo Bernabucci, Piero Natoli e ovviamente Verdone stesso, qui nel ruolo del professore Mario (detto er patata), goffo, insicuro, ma anche teneramente inadeguato. Ognuno porta sullo schermo un personaggio che sembra uscito da una foto ingiallita di classe, ma con le rughe del tempo e la disillusione della vita. L’alchimia tra loro è perfetta: le gag funzionano, ma sotto c’è sempre qualcosa di amaro, un retrogusto malinconico che si insinua piano piano fino a diventare quasi commozione, ma anche cattiveria. Il vestito è quello della commedia, ma l'abito non fa il monaco.

Verdone in questo film lascia da parte la comicità pura e il bozzetto romano per concentrarsi su un racconto più corale e malinconico, in equilibrio perfetto tra risata e riflessione. Vi è la malinconia di chi si accorge di non essere diventato la persona che sognava di essere. Il regista, che qui mostra una maturità narrativa notevole, riesce a dare ritmo anche se non con una piena credibilità a una storia che, pur girando tutta attorno a un’unica location, non annoia mai: i dialoghi sono taglienti, realistici, a tratti crudeli, e la macchina da presa cattura con attenzione le piccole ipocrisie e le fragilità dei personaggi.

“Compagni di scuola” è uno di quei film che invecchiano bene, forse perché parla proprio del tempo che passa e della vita che non va mai come ce l’eravamo immaginata. È una commedia dolceamara che racconta senza moralismi né pietà quel misto di nostalgia e fallimento che accompagna l’età adulta. Ci si ride, ma quando scorrono i titoli di coda resta addosso un piccolo nodo alla gola, come dopo una serata tra amici in cui hai riso fino alle lacrime ma sai che non sarà più come prima.

Un Verdone in stato di grazia, capace di mescolare malinconia e ironia come pochi altri registi italiani. E un film che, pur avendo più di trent’anni, continua a parlare a chiunque abbia mai pensato, almeno una volta: “Com’eravamo?”.

Edizione: DVD
 Semplice versione in DVD con sola traccia italiana in stereo ed i seguenti extra:
  • 4 interviste (55 minuti)
  • 3 schede testuali