martedì 15 luglio 2025

Lansky (2021)

 
Regia: Eytan Rockaway
Anno: 2021
Titolo originale: Lansky
Voto e recensione: 5/10
Pagina di IMDB (6.2)
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Non brutto, ma di certo non memorabile. Lansky è uno di quei film che, finita la visione, non ti lascia un gran retrogusto. Magari lo guardi con una certa curiosità, anche perché la figura di Meyer Lansky — l’ebreo che ha fatto la storia della mafia americana senza mai diventare una macchietta — si presta a mille sfaccettature. Ma il film? Meh. Sembra più una lezione di storia raccontata da un nonno stanco, piuttosto che un racconto viscerale e potente come ci si aspetterebbe da un gangster movie.

Harvey Keitel fa quello che può con la versione anziana di Lansky, seduto su una sedia a raccontare la sua vita a uno scrittore squattrinato. La struttura narrativa è quella classica del flashback a intermittenza, con salti temporali tra un interrogatorio dell’FBI e un passato pieno di spari, sigari e abiti gessati. Ma il problema è che manca il fuoco, la tensione, il carisma che avevano i grandi titoli del genere.

Certo, non è un film fatto male: la regia è solida, la fotografia curata, la ricostruzione storica funziona. Però tutto puzza di già visto, già detto, già sentito. E forse è proprio questo il punto: oggi, raccontare storie di gangster non ha più quell’alone di romanticismo, perversione del potere o fascino del proibito. La mafia non incanta più, e le parabole criminali, se non hanno una chiave davvero originale, scivolano via come whisky annacquato.

In Lansky, manca il mito. Non c’è la follia di Scarface, l’eleganza tragica de Il Padrino, né il ritmo brutale di Quei bravi ragazzi. È più una lunga confessione con momenti interessanti ma senza una vera anima. Anche il montaggio alternato tra presente e passato, ormai abusato, qui serve più a stirare la durata che ad aggiungere spessore.

Un film da una volta e via. Per chi è curioso di sapere qualcosa in più su Lansky — magari prima di leggere la sua voce su Wikipedia — ma senza aspettarsi il colpo di pistola narrativo.


 

domenica 13 luglio 2025

Parco Archeominerario di San Silvestro

 


Oggi il cielo ha deciso di lavare via ogni velleità da spiaggia con una pioggia battente, quasi teatrale. Ma come spesso accade nei giorni “rovinati” dal meteo, spunta fuori l’inaspettato. Così, cappuccio in testa e scarpe nuove da testare già rassegnate all’umido, abbiamo fatto rotta verso Campiglia Marittima per visitare il Parco Archeominerario di San Silvestro.

Un posto che è un vero viaggio nel tempo, tra archeologia industriale, gallerie buie e storie di minatori che vivevano e sudavano in un mondo fatto di roccia e fatica. Si parte dalla Miniera del Temperino, scavata per secoli a colpi di piccone nella montagna metallifera. Il percorso è tutto sottoterra: si cammina tra vene di rame e pirite, antichi strumenti, graffiti e racconti di vita vissuta che sanno ancora di zolfo e polvere.

All’uscita, in condizioni normali, si prende il trenino minerario che porta alla Valle Lanzi e alla Rocca di San Silvestro, un villaggio medievale abbandonato abitato un tempo da minatori e fonditori. Ma oggi la normalità è andata a farsi benedire: il nostro trenino, forse infangato o forse nostalgico dei bei tempi andati, ha deragliato leggermente. Nessun danno eh, solo un fuori pista buffo che ha trasformato la gita in un’escursione imprevista a piedi, tra le pareti gocciolanti e le rocce scivolose.

Alla fine, è stato perfino meglio così. Il rientro a passo lento ci ha fatto godere della valle in silenzio, con l’odore di terra bagnata e la consapevolezza che, a volte, sono proprio le deviazioni impreviste a rendere un giorno speciale.

Il Parco di San Silvestro? Super consigliato, anche con la pioggia. Anzi, soprattutto con la pioggia.

PS critico e polemico:
Voto 0 alla gestione dei rimborsi per i biglietti presi online (con quindi 1€ di prevendita). Per avere il rimborso bisogna pagare, in loco, un nuovo biglietto, in quanto quello via web, essendo cumulativo di più attrazioni, ci sarebbe stato riaccreditato per intero. Complimenti alla gestione da medioevo, nonostante le addette al desk che ovviamente non hanno colpe e non fanno loro le regole truffaldine.

Tramonto a Capo D'uomo

 

Dopo la mattinata passata a mollo, con sabbia tra le dita e sale sulla pelle, mi sono chiesto: perché fermarsi qui? La giornata è lunga, il sole ancora alto. E allora via, verso un luogo che ha il potere di riconnettermi col respiro della terra e l'incanto del mare.

Argentario. Di nuovo. E di nuovo Capo d’Uomo, la sua parete verticale, il sentiero che si arrampica senza troppe cortesie, e quell'affaccio che ogni volta ti rimette al tuo posto. In basso, il blu che toglie il fiato. Di fronte, l’Isola del Giglio come una sentinella solitaria. E tutt’intorno, il silenzio che sa di sacro.

Il sole inizia a chinarsi, si veste d’oro e regala uno degli spettacoli più intimi e potenti della natura. Non serve altro. Solo esserci. E venerare — senza troppi pensieri — quell’attimo perfetto in cui tutto sembra andare nel verso giusto.

Una giornata completa. Mare, terra, cuore.


sabato 12 luglio 2025

Rambo: Last Blood (2019)

 
 
Regia: Adrian Grunberg
Anno: 2019
 Titolo originale: Rambo: Last Blood
Voto e recensione: 4/10
Pagina di IMDB (6.1)
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Stavolta John Rambo combatte una guerra tutta sua. Ma invece di lasciare il segno, lascia perplessi.

Rambo: Last Blood” è un epilogo amarissimo per un personaggio iconico del cinema action, ma più che la vendetta personale, a colpire (male) è la sceneggiatura claudicante, che smarrisce sia la potenza drammatica dei primi capitoli, sia la spettacolarità grezza dei seguiti. Qui Rambo si trasforma in un mix tra Un tranquillo weekend di paura e Mamma ho perso l’aereo versione splatter.

La trama è tanto semplice quanto imbarazzante nella gestione: Rambo vive in Arizona, tormentato dai suoi demoni, e accudisce la giovane nipote adottiva (che in realtà sarebbe la figlia di un’amica, ma vabbè, passiamo oltre). La ragazza decide di andare in Messico a cercare il padre biologico – che ovviamente è uno stronzo – e finisce, come da manuale, nelle mani di un cartello di trafficanti di donne. Rambo varca il confine per salvarla e… beh, da lì inizia la sua personale guerra contro il mondo.

Peccato che tutto questo succeda con la delicatezza narrativa di un cingolato in una cristalleria: la ragazza viene ritrovata agonizzante (e già qui la sospensione dell’incredulità vacilla), poi muore nel pick-up durante il tragitto senza documenti, senza che nessuno li fermi al confine, senza che nessuno si faccia troppe domande. Un colpo di spugna alla logica e alla coerenza.

Da lì, Rambo si scatena e costruisce la sua trappola di morte nella fattoria, in una parte finale che cerca di imitare il climax di Skyfall o certi horror da home invasion, ma che risulta solo grottesca e satura di sangue eccessivo e gratuito. Sì, d’accordo, il gore fa parte del pacchetto, ma quando manca l’empatia per i personaggi, resta solo un esercizio sadico.

Il problema vero è che questo non è più il Rambo disilluso dei tempi di guerra o il reduce tormentato di First Blood. Qui Stallone pare quasi fuori parte, imbalsamato nel ruolo, con espressioni che oscillano tra la costipazione e l’indifferenza. E quando urla “ti strapperò il cuore”, lo fa con la stessa convinzione di uno che ha dimenticato il PIN del bancomat.

Insomma: più che Last Blood, sembra Last Patience.

Una conclusione che poteva avere il respiro tragico di un eroe stanco e invece si riduce a un revenge movie stiracchiato, infarcito di luoghi comuni sul Messico, sparatorie caricaturali e un finale che – sarà anche definitivo – ma non lascia alcuna cicatrice emotiva.

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venerdì 11 luglio 2025

Terry Miles - Rabbits

 

Autore: Terry Miles
Anno: 2021
Titolo originale: Rabbits 
Voto e recensione: 4/5
Pagine: 496
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Trama del libro e quarta di copertina:

È un normalissimo giorno lavorativo, uguale a tanti altri. Ti hanno assegnato un compito che ti ha assorbito completamente, e quando guardi l’orologio ti accorgi che sono le 4:44 del pomeriggio. Controlli le e-mail, e scopri che hai 44 messaggi non letti. Sorpreso, ti rendi conto che è il 4 aprile:4/4. E quando sali in macchina per tornare a casa il contachilometri segna 44.444. Una coincidenza? O hai appena visto l’ingresso della tana del coniglio?

Rabbits è un colossale Alternate Reality Game che usa il mondo intero come scenario. Da quando è nato, nel 1959, si sono tenute dieci iterazioni e sono stati decretati nove vincitori. Nessuno conosce la loro identità, e non si sa nemmeno in cosa consista esattamente il premio che hanno vinto: forse una favolosa somma di denaro, forse un ingaggio nella CIA, forse addirittura l’immortalità o la chiave per decifrare l’universo. L’unica cosa certa è che più ci si addentra nel gioco, più diventa pericoloso: in passato sono morte delle persone, e il numero di vittime sta crescendo. E ora sta per iniziare l’Undicesima iterazione. K, affascinato da questo mondo segreto, cerca da anni un modo per partecipare. L’occasione si presenta quando il ricchissimo Alan Scarpio, presunto vincitore di una delle passate edizioni, lo contatta per affidargli una missione disperata: c’è qualcosa che non va nel gioco, e K deve risolvere il problema prima che inizi la nuova iterazione, o il mondo intero ne pagherà le conseguenze. Cinque giorni dopo Scarpio viene dato per disperso. Due settimane più tardi, K manca la scadenza. Inizia l’Undicesima iterazione. E tutto a un tratto è in gioco il destino dell’intero universo

Commento personale e recensione:

Non so bene come iniziare questa recensione, perché Rabbits è una di quelle cose che mentre le leggi ti convinci che potresti anche finirci dentro. E forse un po’ è questo il segreto del suo fascino: una gigantesca caccia al tesoro cospirativa, un labirinto di indizi, citazioni, rimandi e teorie da forum notturno — roba da perdersi con piacere.

Di base, Rabbits di Terry Miles è una storia che parla di un gioco segreto che attraversa decenni, continenti e livelli di realtà. C’è chi dice sia un ARG (Alternate Reality Game), chi un culto, chi una trappola. Per i protagonisti è un’ossessione. Per il lettore pure.

Un retrogaming mentale

La cosa più godibile per me — e credo anche per molti lettori — è come Rabbits si nutra di cultura pop geek fino a scoppiare. Qui dentro c’è di tutto: cabinati polverosi in sale giochi anni ‘80, film cult da riguardare in VHS, glitch di vecchi videogiochi, poster consumati appesi dietro una porta. Non so te, ma a me ha fatto venir voglia di riaccendere il Commodore 64 — o di fare un giro su MAME cercando qualche Easter Egg impossibile.

Il libro è un gigantesco mashup, una lista di citazioni sparate a raffica: da Tron a  Matrix, passando per Ready Player One (a cui Rabbits deve qualcosa, anche se qui il tono è meno pop-corn e più cospirativo). Ma c’è pure l’eco di Lost, di The OA, di Dark, di tutto quel filone in cui ogni dettaglio potrebbe contenere la chiave per spiegare il mistero… o farti sprofondare ancora più giù.

Una scrittura che funziona… quasi fino in fondo

Personalmente, mi ha preso tantissimo. Forse perché è scritto come se fosse una conversazione tra nerd di mezzanotte davanti a una bacheca piena di appunti, linee rosse e ritagli di giornale. Funziona bene: ritmo serrato, personaggi bizzarri, teorie folli.
Se devo trovargli un difetto (e qui il mio io pignolo si sfrega le mani) è proprio nel finale: un po’ troppo asciutto, tirato via quasi, come se Miles a un certo punto avesse spento la PlayStation e fosse andato a dormire. Avrei voluto più spiegazioni, più nodi sciolti, più payoff per tutto quel benedetto casino di coincidenze e indizi disseminati per pagine e pagine.

E forse è pure il bello di Rabbits: il mistero non si risolve, si moltiplica. Ma un pizzico di chiarezza in più non mi avrebbe fatto schifo.

Indizi, glitch e la voglia di giocare

Il vero colpo di genio è la struttura a “indizi incrociati”: leggi, metti insieme pezzi, vai a googlare nomi, codici, date. Sembra di tornare a quando si infilavano monetine nei cabinati sperando di trovare qualche bug che ti regalasse una vita extra. In giro ho letto recensioni che lo definiscono “un ARG da salotto” o “una droga per complottisti”. Non hanno tutti i torti.

Anche perché, come nei migliori ARG veri (ti ricordi Cicada 3301? O Polybius?), Rabbits ti mette in testa il tarlo che ci sia davvero qualcosa, là fuori, che puoi cercare pure tu. E quando finisci, la voglia di leggere forum e teorie dei fan è pari solo alla voglia di urlare: “Sì, ma spiegatemelo bene, maledizione!”

In sintesi? Vale la corsa

Se ti piacciono i misteri aperti, i videogiochi vintage, i film dove la realtà si sfalda e i protagonisti paranoici che vedono pattern ovunque, Rabbits è da leggere. Poi magari sbufferai all’ultima pagina perché volevi più risposte — ma scommetto che passerai la notte a cercare connessioni online.

E questo, in fondo, è il miglior complimento per un libro del genere.



giovedì 10 luglio 2025

Damaged (2024)

 
Regia: Terry McDonough
Anno: 2024
Titolo originale: Damaged
Voto e recensione: 4/10
Pagina di IMDB (4.7)
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Non so nemmeno da dove iniziare, ma forse è già questo il problema: Damaged non ha un vero punto di partenza, né di arrivo. Lo guardi, vedi Samuel L. Jackson (che in genere è una garanzia persino quando recita la lista della spesa anche se appunto è più presente del prezzemolo), ti illudi che ci sia un thriller solido a reggere la baracca… e invece niente.

La storia (ammesso che la si possa chiamare così) è una sequela di cliché da manuale: serial killer tormentato? Presente. Detective incupito col passato oscuro? Ovviamente. Colpi di scena? Sì, ma talmente telefonati che ho fatto prima a rispondere io.

Il risultato è un polpettone di dialoghi piatti, tensione sotto zero e scene d’azione messe lì più per far rumore che per dire qualcosa. Jackson ci prova a tirare su la baracca, ma sembra recitare con l’autopilota: ogni tanto sbotta, spara un’occhiataccia, ma poi si ricorda pure lui che la sceneggiatura è fiacca e molla il colpo.

Il finale? Vabbè. Svelare tutto con un twist che non sorprende nemmeno mia nonna dopo due bicchieri di Vin Santo.

Thriller? Sì, come no. Il vero brivido è arrivare svegli ai titoli di coda. Se volete un consiglio: c’è di meglio da fare. Tipo pulire la cappa della cucina.