Ho deciso che altri due giorni di mare, sudore, granelli di sabbia che si incollano ovunque, urla di bambini, famigliole sgocciolanti crema solare e carovane di ombrelloni piantati troppo vicini… potevano essere rimandati.
E quindi, per non diventare definitivamente un granchio bollito, ho infilato due magliette nello zaino, le scarpe da trekking (ben due) , borracce e coltellino svizzero che non userò, e sono tornato in quella che chiamo la mia seconda, terza o quarta casa: la Garfagnana.
Chi mi conosce sa che ho un debole per questo fazzoletto di mondo stretto tra le Apuane e l’Appennino. È un rifugio, un parco giochi, un posto dove puoi ancora trovare un sentiero che finisce nel nulla, un borgo dove il tempo si è addormentato e un silenzio talmente denso che fa un po’ impressione se sei abituato ai rumori di fondo delle nostre vite. E anche avere una decina di gradi percepiti in meno.
Ma soprattutto è un posto dove posso far finta di essere Jack London, seppur senza cani da slitta né orsi bianchi: io, la mia solitudine selettiva (ché sui social ci sono sempre, eh, mica sparisco davvero o blocco le persone) e qualche sfiga logistica che rende tutto più avventuroso.
Primo imprevisto: arrivo a Castelnuovo di Garfagnana e, ovviamente, strada chiusa.
Cartello giallo, deviazione chilometrica, giri della morte, GPS in sciopero. Una bellezza. Ma se uno parte preparato a non farsi rovinare la poesia da un po’ di asfalto sbagliato, allora va tutto bene. Al massimo, tiri fuori due smaremme creative, che aiutano a svuotare i polmoni, e vai avanti.
Secondo imprevisto: il sentiero dei Mulini di Careggine.
Era in programma. Lo avevo segnato sul quaderno dei “to do”, con tanto di asterisco motivazionale. Peccato che il sentiero sia ridotto a uno stato pietoso: frane, erba alta, rovi diabolici, alberi fortezza a ostruire, umidità, zanzare taglia elicottero. Cartello: “Sentiero interdetto”. Sì, ciao.
Ovviamente ho provato lo stesso. Dopo due curve, due tagli, sette punture e sassi spostati, ho capito che il piano B era già pronto da qualche parte nella mia testa. La regola dell’esploratore da strapazzo è questa: non attaccarti a un itinerario come un cagnolino alla ciabatta. Se un sentiero ti sputa fuori, inventane un altro e taglia o allunga.
Ed è così che, vagabondando a casaccio, ho rimesso insieme una piccola collezione di meraviglie: vedute sulle Apuane che non stancano mai, silenzi così profondi che senti il cuore fare toc toc, Careggine che si difende bene pure senza sentieri puliti, la famosa Panchina Gigante (che non capirò mai se è geniale o una scemenza, ma ci salgo lo stesso) e poi la Via delle Api.
A proposito di api: ci fosse un insetto che non mi ronza intorno quando decido di meditare guardando la valle. Non c’è. Ma pace, è la natura, baby.
Poi l’Oasi di Campocatino: se non ci siete mai stati, vi state perdendo uno dei pezzi più spettacolari di Garfagnana. Un pianoro dolomitico buttato lì sotto il Roccandagia che ti fissa dall’alto, fiero e massiccio come un vecchio nonno di pietra.
Ho fatto il percorso fino all’Eremo di San Viviano – un camminetto breve, ma suggestivo da morire, con quel senso di “mistico rurale” che non guasta mai. Ogni tanto ci vorrebbe una voce narrante in latino che ti accompagna, ma va bene anche il fruscio degli alberi.
Già che ero in zona, ho fatto pure un salto a Vagli Sotto. È quel paese famoso per il lago che ogni tanto (mai) svuotano, svelando i resti di un borgo fantasma. Un po’ post-apocalittico, un po’ instagrammabile. Oggi niente lago svuotato, ma l’atmosfera da fine mondo resta.
Non importa quante volte tu batta queste stradine, ci sarà sempre una curva che non hai fatto, un sentiero che non hai osato, un bosco di cui ti sei scordato.
Finché la Garfagnana resterà così – un po’ rude, un po’ burbera, mai del tutto comoda – io ci tornerò. E magari la prossima volta mi porto dietro qualcuno di voi, lettoruncoli tipo gettons. Così, giusto per farvi vedere che tra un selfie e un altro, c’è ancora un bel pezzo di mondo da camminare.
Alla prossima, che qui si esplora sul serio.
— Jack