Non ricordo esattamente quando Awake è entrato nella mia collezione, ma so che è stato il secondo passo nel mondo Dream Theater, e che quel passo ha lasciato un’orma diversa da quella, più immediata e celebrativa, di Images and Words. Dove il primo sembrava un inno alla potenza virtuosa del prog metal, Awake mi è parso fin da subito più torbido, più introspettivo. Come se la band, pur mantenendo l’impianto tecnico da capogiro, avesse deciso di guardarsi dentro. E forse anche farsi un po' male.
E in effetti Awake è un disco nato sotto pressione: il successo enorme del disco precedente, i rapporti ormai incrinati con Kevin Moore, che lascerà la band poco dopo, e quella strana voglia di abbandonare i toni luminosi per infilarsi in qualcosa di più scuro, più crudo. Un suono che non a caso si avvicina molto di più all’heavy di inizio anni '90 che al metal neoclassico degli esordi.
Fin dalla prima traccia, “6:00”, la sensazione è chiara: si entra in un mondo più urbano, più graffiante, dove anche la voce di James LaBrie sembra avere un’urgenza nuova, più ruvida. Non c’è più il pathos etereo di “Surrounded” o l’epica di “Pull Me Under”: qui ci sono tastiere più asciutte, riff più secchi, e testi più ambigui, più esistenziali.
Kevin Moore, proprio lui, è l’anima tragica del disco. Il suo contributo alle atmosfere, ai testi, alla direzione “aliena” di certi pezzi è fondamentale. “Space-Dye Vest”, che chiude il disco, è tutta sua. Un addio, una confessione, un brano che sembra voler stare fuori dal resto dell’album e che invece lo completa in modo perfetto. Uno dei pezzi più emozionanti mai scritti dai DT. E anche uno dei più divisivi: c’è chi lo odia, io lo adoro.
Tra i picchi del disco, non posso non citare la trilogia oscura:
- “The Mirror” / “Lie” è un dittico potente, ruvido, quasi groove-metal in certi momenti.
- “Voices” è il cuore pulsante del disco: un viaggio psichedelico nella schizofrenia, nella perdita di identità, nella fede e nella follia.
La chitarra di Petrucci e la batteria di Portnoy sono sempre al limite del sovrumano, ma mai gratuite. Ogni passaggio, anche il più tecnico, è giustificato emotivamente. Awake è uno di quei dischi che non ti prende per mano, ma ti strattona dentro. Va ascoltato con attenzione, in un momento di veglia interiore. A occhi aperti, ma anche spalancati dentro.
Non è il mio album preferito dei Dream Theater, ma è probabilmente quello più necessario. Perché non cede al compiacimento, non rincorre il pubblico, non strizza l’occhio al prog tradizionale. È una frattura. Un disco che non vuole essere bello, ma vero.
Tracklist ufficiale (edizione standard):
- 6:00
- Caught in a Web
- Innocence Faded
- A Mind Beside Itself:
– I. Erotomania
– II. Voices
– III. The Silent Man - The Mirror
- Lie
- Lifting Shadows Off a Dream
- Scarred
- Space-Dye Vest
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