venerdì 31 agosto 2012

Stefano Di Marino - Pietrafredda


Autore: Stefano Di Marino
Editore: Perdisa Pop
Titolo originale: Pietrafredda
Pagine: 128
Voto: 3/5
Pagina di Anobii
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Trama del libro:

In una Parigi livida, notturna, popolata da vecchi sbirri e malavitosi spietati, un uomo è in cerca dell'assassino della sua Lana. Il dolore gli ha indurito il cuore come una pietra fredda e il suo livore sembra inarrestabile. Intanto, per le vie della città, un killer leggendario è già sulle sue tracce.
Ambientato nella Parigi delle palestre di boxe e della Banlieu, un noir d'azione e d'atmosfera, imperdibile per chi segue la saga del Professionista come per chi è destinato a seguirla. 

Commento personale e recensione:

Stefano Di Marino lo abbiamo sempre conosciuto come Stephen Gunn per le avventure relative al Professionista. In questo breve romanzo, ha deciso di lasciare da parte lo pseudonimo, m non l'eleganza noir con cui ci proietta nella cattiva e spietata Parigi dei giorni d'oggi. La Parigi multietnica delle banlieu, pericolosa quanto misteriosa e pregna di avventura. Chance Renard lo abbiamo apprezzato giovanissimo e intraprendente, via via sempre più maturo sia come uomo che come personaggio ed oggi lo ritroviamo più anziano, ma non per questo più arrendevole. Anzi, Di Marino riesce a dare brio anche ad una storia che potrebbe odorare di già visto. La struttura, sebbene scritta come sempre in prima persona, differisce dal solito: non vengono inseriti i flashback ed i salti temporali a cui da anni siamo abituati. Con Pietrafredda si ha ad ogni modo la sensazione che Il Professionista sia qualcosa di più che un semplice personaggio da thriller: è la parte segreta e nascosta di ogni di noi, che vive le vite raccontate nei libri e le apprezza in tutta la loro totale libertà. Renard in maniera non propriamente conclusiva è sempre stato se stesso, tra rimpianti e fantasticherie poco ferme, continua a vivere nell'unico modo che conosce. E lo fa anche con diverse decadi sulle spalle, sentendo la fatica giusto per rendere più realistiche le parole scritte. Parole che scorrono alla velocità di un proiettile, nonostante descrivano traiettorie già usate e non troppo originali.

Il Corvo 2 (1996)


Regia: Tim Pope
Anno: 1996
Titolo originale: The Crow: City Of Angels
Voto: 4/10
Pagina di IMDB
Pagina di I Check Movies
 
Quando ti prendi la briga di sviluppare un sequel di un film cult, devi anche essere cosciente che questa operazione non faccia al caso tuo. Che sia magari più grossa di te non per mancanza di capacità, ma solo perché non esiste un senso alla creazione di un seguito del Corvo. Ok, cavalcare l'onda del successo, ma la storia avrebbe dovuto essere conclusa. Finita, senza ritorni e soprattutto senza ricalcare l'andamento del primo film. La trama infatti sembra una copia spudorata, ma soltanto delle scene meno importanti e più volte all'azione. Si perde moto del pathos originario e persino il protagonista (Vincent Perez) sembra scimmiottare il fu Brandon Lee. Scenografia e fotografia sono buone anche se tendono troppo all'esagerazione gotica: depravazione e devastazione ovunque, nella Los Angeles che fa ambientazione per il Corvo 2. Tutti richiami al passato però, sia nella struttura che nei personaggi. L'unico che si salva è Iggy Pop, decisamente a suo agio nella parte dello schizzato. Anche la colonna sonora non è male, forse pari se non addirittura superiore nei pezzi rispetto a quella precedente, il che è veramente una bella cosa. Ma davvero non ci siamo per un sequel anche troppo legato alla figura cui siamo abituati. Hanno pure cercato di metterci Sarah da grande, ma non funziona così. Lacrimuccia triste e malinconica. Ma capita quando si vede un prodotto che non abbai alcuna personalità.

App-Shop di Amazon

Ecco che anche per l'Italia è arrivato il nuovo Market per applicazioni Android targato Amazon. Ancora non si trova sul Play Store di Google, ma è facilmente reperibile dal sito di Amzon anche attraverso al scansione del barcode (lo trovate sulla destra della pagina linkata) o semplicemente accedendo qui con un dispositivo mobile (dotato di Android). Per poterlo installare dovrete aver abilitato la possibilità di scaricare apk da sorgenti sconosciute. Una volta lanciata l'applicazione dal nome non proprio originale, potrete loggarvi inserendo i dati del vostro account. Il noto negozio online pubblicizza già da oggi la possibilità di poter scaricare gratuitamente ogni giorno un'applicazione che normalmente sarebbe a pagamento: oggi è Plants vs. Zombies che sul Market di Google costa 2.84 euro. Ad ogni modo esistono anche applicazioni nativamente gratis. Non esiste una vera e propria categoria (tra le tante disponibili) per osservare le app free, ma queste sono ben visibili e soprattutto filtrabili, così che non ci siano dubbi su cosa si può acquistare o meno. Riguardo la grafica siamo decisamente sullo user friendly, riguardo ai contenuti ancora non saprei. Sembra ben fornito, ma non saprei fare un calcolo neanche approssimativo. Ogni prodotto è recensibile e valutabile, come ormai in ogni market che si rispetti. Non ho trovato al momento il sistema per acquistare direttamente da web e sincronizzare con lo smartphone. Riguardo ai prezzi se da concorrenza o meno ecco le prime 5 prove che ho eseguito (prezzo Amazon in euro Vs prezzo Google in euro):

- TuneIn Radio Pro (0.79 Vs 0.70)
- Shazam Encore ( 3.97 Vs 4.79)
- Smart Office (1.61 Vs 9.55)
- Akinator the Genie (1.59 Vs 1.59)
- GBA Plus (0.81 Vs 3.99)



La Stangata (1973)


Regia: George Roy Hill
Anno: 1973
Titolo originale: The Sting
Voto: 7/10
Pagina di IMDB
Pagina di I Check Movies
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Inizia che ti ritrovi subito a fischiettare The Entertainer di Scott Joplin, poco dopo entra in scena un certo Robert Redford ed in seguito arriva pure Paul Newman. Due mostri sacri del cinema. Un po' come quando oggi premiamo play ed arrivano sul solito schermo Brad Pitt e Johnny Depp, tanto per fare un esempio ai più giovani. Sette Oscar per un'avvincente storia ambientata a metà degli anni trenta durante le fasi finali della Depressione americana: due imbroglioni appartenenti al giro piccolo ideano la stangata per fregare un merlo (the mark) appartenente al giro grosso attraverso il trucco del telegramma, ormai in disuso da diversi anni, e per questo poco conosciuto. Un classico della storia del cinema, che se raccontato a chi ancora non lo ha visto, rischia di essere sciupato. Fotografia sensazionale che ancora oggi suscita apprezzamenti positivi ed una scenografia che seppure vecchia di quaranta anni, riesce ad immergere lo spettatore all'interno della storia. Costumi e trucchi degni dell'epoca descritta, con un cast che fa faville. Riesce a suo modo a presentarsi come una commedia vivace ed al tempo stesso uno spaccato storico con punte drammatiche ed un plot da thriller. La visione della pellicola è incalzante ed abbiamo un crescendo che si sviluppa da metà film in poi, dopo aver avuto una sorta di premesse, sapute sapientemente inserire dal regista. Oggi, visto che in molti (scrittori e sceneggiatori) hanno preso spunto da qui è quasi normale attendersi il finale in un certo modo: nel 1973 ci fu sicuramente un approccio differente da parte del pubblico, che di questi tempi invece si aspetta di tutto. Elegante quindi, ma non perfettamente pulito e brillante per colpa di una forzatura a lieto fine che, per restare in tema è "telegrammata". Un piccola chicca: riconoscete la voce del mitico Ferruccio Amendola? Quasi da brividi.

giovedì 30 agosto 2012

Torniamo in Champions... Contro i detentori della Coppa

Foto rubata dalla Gazzetta
I sorteggi per i gironi della Coppa Campioni, oggi conosciuta meglio come Champions League sono da poco terminati e la Juventus fa parte gruppo E.  Per quanto mi riguarda, oggettivamente (non da tifoso) ritengo che la Vecchia Signora sia decisamente all'altezza delle favorite, senza dover temere niente e nessuno. Ok, ci sono i mostri sacri tipo Barcellona e Real Madrid, ma il pallone è tondo. Berbatov non è venuto, lo hanno avvisato sull'Isola dei Famosi senza però riconoscerlo e nel frattempo si parla di Bendtner che sembra sia sicuro. Sempre se troveranno un soprannome da dargli tanto è impronunciabile quello ufficiale. Farà panchina o sviterà le lampadine. Per segnare ai detentori in carica del torneo potrebbero bastare i nostri centrocampisti o difensori. Male che vada c'è Buffon che manca all'appello delle segnature. Sulla carta il girone è semplice: Chelsea , Shakhtar , Juventus, Nordsjaelland. Speriamo di ritrovarci a Wembley.In casa ho ancora un'ottima bottiglia di spumante d'annata (dicembre 1996) vinto sul toro al Luna Park che promisi di aprirlo per vittoria in Coppa. Deve essere da sballo adesso.

The Avengers (2012)


Regia: Joss Whedon
Anno: 2012
Titolo originale: The Avengers
Voto: 6/10
Pagina di IMDB
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Proprio mentre sto scrivendo questa recensione, The Avengers è al sesto posto nella classifica dei migliori film del decennio (2010), all'undicesimo per quanto riguarda la fantascienza, al diciottesimo nei film d'azione e cosa ancora più straordinaria è settantacinquesimo nella Top 250 di IMDB. Così, spinto anche io dal successo mediatico (e di botteghino: terzo posto assoluto per adesso) non ho fatto altro che attendere l'uscita del BD, prenotandolo addirittura su Amazon. Dopo Iron Man (1 e 2), L'Incredibile Hulk, Thor e Capitan America non potevo farne a meno. L'universo Marvel si stava collassando per creare il nocciolo duro di tante fatiche: i Vendicatori. Il cosiddetto cinecomic più atteso, più chiacchierato e più apprezzato di tutto il mondo è finalmente giunto a casa mia. Cosa ne penso io? Sono profondamente deluso. Lo dico senza vergogna ed a chiare lettere. Sappiamo tutti che il punto di forza di questi prodotti siano gli effetti speciali e l'azione, ma certe volte non bastano. D'accordo, Hulk è qualcosa di magnifico a vedersi, le quasi due ore di film sono un gradevole insieme di esplosioni, combattimenti, fughe ed immagini tecnologicamente godibili. Ma davvero basta questo per renderlo uno dei migliori film del millennio? La trama non è debolissima, ma neanche una storia di quelle che si fanno apprezzare, a prova di critiche. Vada per il cattivo Loki, ma poi gli altri extra terrestri che fanno? Che vogliono? Perché? Ci invadono, aiuto che paura. Per fortuna i nostri super eroi preferiti si trovano d'accordo e decidono di salvare il mondo. Eh già, perché pochi minuti prima si erano messi a bisticciare grazie al geniale piano di Loki. A prova di bomba insomma, così come l'idea di inserire il dio in un cilindro dalle pareti di vetro e minacciarlo. Ma è un dio!!! Ma dai. Ad ogni modo se riusciamo a chiudere gli occhi su tutto questo ed ingoiare la medicina di una trama messa su alla carlona, tappiamoci anche le orecchie per le continue battute di bassa lega che possono far ridere il ragazzetto americano di dodici anni, magari anche in maniera sguaiata. Ma che nell'economia della pellicola, sono piuttosto ridicole. Si perde il senso e le situazioni drammatiche risultano leggere, poco credibili. Addirittura fanno parlare Hulk per dire una cazzata senza senso. Giusto per far ridere il poppante di turno con i popcorn in bocca. A freddo ora fatevi un esame di coscienza: dopo aver speso i vostri dieci euro al cinema, aver scritto la vostra recensione esaltante, aver preso un bel respiro ed aver aspettato alcuni mesi, siete ancora convinti della magnificenza di tale prodotto? Se sì, siete veramente messi male, e la vostra cultura cinematografica è pari alla verve ed all'impatto che personaggi come Occhio di Falco e Vedova Nera possono avere sulla pellicola di fronte agli altri super eroi. Thor escluso, visto che è solamente una comparsa, una statua di cera presa e messa lì. Le scene interessanti sono monopolizzate da Stark (se non foss per quando apre bocca) e da Hulk, fin tanto che è verde. Quando ridiventa Mark Ruffalo (ieri era solo Edward Norton...) ecco che entra di nuovo nell'anonimato. Grazie al cielo abbiamo Samul L. Jackson, molto più attivo rispetto ai capitoli precedenti, la Scarlett Johansson che si integra bene nel gruppo e tutto sommato l'accozzaglia di prime donne interagisce bene. Logico che chi guarda il film, io in primis, si aspetta azione ed effetti speciali. Per questo molte nefandezze possono essere accettate: come detto, dall'inizio alla fine non ci si annoia quasi mai, apprezzando in particolar modo la fotografia esaltante. Whedon poi ha lavoro facile per quanto riguarda la gestione dei personaggi: sono già stati scolpiti e modellati nei capitoli precedenti, di conseguenza lui non deve far altro che inserirli in un contesto unico e farli lavorare insieme. Ognuno ha le proprie peculiarità e caratteristiche che vengono espresse in maniera salubre anche se frammentata. Gli scontri finali sono da applausi, ma non innovativi, strabilianti o unici. Cosa è stato aggiunto rispetto ai Transformers, Spiderman o Hulk? Forse qualche milione di dollari, ma non basta. I gusti son gusti, per fortuna. E se la Disney pompa qua e là con recensioni esorbitanti, è bene farlo notare. C'è anche chi, nella sua fantastica vita under 16, ha pensato che Occhio di Falco fosse un altro nome per indicare Legolas... Neanche capiscono le battute. Che Vergogna...

mercoledì 29 agosto 2012

50 E 50 (2011)


Regia: Jonthan Levine
Anno: 2011
Titolo originale: 50/50
Voto: 4/10
Pagina di IMDB
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Non posso davvero farci niente: i drammi di questo genere e di tale portata non li sopporto. Sto lontano il più possibile da dottori ed ospedali  preferisco andare a lavoro con la febbre piuttosto che stare in malattia a letto. E' più forte di me, non so se è una particolare fobia o meno, fatto sta che di riflesso i film che trattano malattie (in questo caso anche decisamente gravi) non fanno per me. 50 e 50, il titolo, si riferisce alle probabilità di guarigione dal cancro che affligge Adam (Joseph Gordon-Levitt), il protagonista della storia, sempre attento alla salute e dalla vita tranquilla e poco emozionante. Oltre che la sua situazione di malato, la pellicola diretta da Jonathan Levine, prende in esame i vari modi di porsi di fronte ad essa da parte di amici, colleghi, fidanzate e genitori. Lasciamo perdere i miei gusti personali riguardo alla malattia in generale: il film è davvero povero, tedioso e soprattutto colmo di clichè strappalacrime che abbiamo già rivisto innumerevoli volte. Adam fa da calamita per le sventure della vita e dovrebbe anche accalappiarsi la nostra simpatia, ma difficilmente può riuscire nell'intento. E' un personaggio apatico, acerbo, senza spina dorsale (ops), perdente in partenza. Ok questo dà una sterzata di realismo, ma non si spiega il perché una storia del genere debba essere raccontata. Se vogliamo poi una certa dose di ironia forzata all'interno del film risulta mal riuscita per poi divenire quasi irriverente ed irrispettosa nei confronti di coloro che malati lo sono per davvero. Il protagonista qui cosa fa? Lotta? Si arrende? Svolta? No, non fa nulla del genere. Neanche si compiange. Filmetto indipendente abbastanza inutile.

Warrior (2011)


Regia: Gavin O' Connor
Anno: 2011
Titolo originale: Warrior
Voto: 6/10
Pagina di IMDB
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Pronti attenti via e ti gasa subito. In maniera incredibile. Un film sulle arti marziali bello e profondo, come non si vedeva da un sacco di tempo. Mixed Martial Arts, la nuova frontiera del combattimento. Non è un film alla Van Damme solo calci e pugni, ma neanche qualcosa di studiato come The Million Dollar Baby. Diciamo che sta a metà strada tra la semplice pellicola di pura azione e quella drammatica con risvolti umani ed introspettivi. La trama è elegante, incuriosisce e ti tiene con il fiato sospeso per un bel po'. Molto a mio avviso lo si deve alla figura, decisamente misteriosa d Tommy Conlons (Tom Hardy), cattivo, spietato e rabbioso. Un po' meno allo sfortunato Brendan (Joel Edgerton) che fa il professore di fisica, lottatore a tempo perso e cerca di impietosirci con i guai finanziari pur volendo tenersi la villa con giardino. Tra i due sicuramente è il primo che monopolizza la mia attenzione e la mia simpatia. Nel mezzo c'è loro padre (Nick Nolte) ex alcolista, che ha rovinato il legame di tutta la famiglia: riesce a farci avere pietà, ma del resto non è un attorucolo da quattro soldi. Tutta la trama è studiata per appassionare con la voglia di riscatto e di rivalsa che impregna i due fratelli, pronti a partecipare al più importante torneo sulle MMA, Sparta. La linearità della storia lo rende abbastanza verosimile, ma solo fino ad un certo punto. Infatti la delusione maggiore deriva proprio da come si susseguono gli avvenimenti. Manca il cattivone di turno (Ivan Drago o Tong-Po), ma soprattutto manca il realismo nel finale del film. Magari esiste una versione alternativa, ma così non può finire. Scusate lo spoiler, ma il fratello Brendan che praticamente è la mammoletta della famiglia vince e batte Tommy. Questo è una macchina da guerra (in Iraq ha salvato dei soldati strappando il portellone di un tank, neanche fosse Hulk) schivo e con una rabbia dentro che farebbe paura anche a Chuck Norris. Non perde mai nessun incontro, che di solito fa durare meno di venti secondi. E' spietato, veloce, fortissimo: imbattibile. Ed il regista cosa fa? Lo fa perdere contro il fratello in finale nonostante nelle prime riprese lo abbia demolito dai colpi. Delusione immensa. Immaginatevi uno come Ken Shiro (il collo è il medesimo) che perde contro Daniel LaRusso. Oppure Undertaker che esce dalla bara tutto incazzato e si fa slogare la spalla durante una mossa a terra. Anche Casiraghi se la rimise in sesto e contimuò a giocare la partita. Tommy no, lui perde contro il fratello sfigato, che così può mantenersi la villa con giardino. Non è giusto. Voglio rapire O'Connor e costringerlo a cambiare il finale. Tommy deve staccare la testa al fratello con un solo calcio rotante e spedirla fuori campo. Ok, io tifavo per lui e penso di non averlo nascosto. Al di là questo vedo anche un Tom Hardy molto convincente nell'interpretare il suo personaggio, mentre Edgerton è più a suo agio con la vita da professore indebitato. I combattimenti però sono bene fatti ed è proprio Edgerton (l'altro vince con lo sguardo) a farci apprezzare questa nuova arte marziale. I colpi, almeno per come ci vengono mostrati, non sono solo accennati. Ed il bello è che all'interno del film non ci sono soltanto quelli. Tutto sommato, escludendo il voto basso che ho dato per rabbia ed orgoglio, è uno dei migliori film della categoria sport che abbia mai visto.

martedì 28 agosto 2012

Act Of Valor (2012)


Regia: Mike McCoy & Scott Waugh
Anno: 2012
Titolo originale: Act Of Valor
Voto: 5/10
Pagina di IMDB
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Ogni tanto ci vuol bel film di quelli americani che descrivono la guerra o le azioni militari. Non sono tra quelli che ignorano totalmente questo genere ed anzi, se ben fatti li applaudo. I cattivi sono i terroristi ed i trafficanti di droga, mentre i buoni ovviamente i ragazzi della Navy SEAL. Tutta la pellicola è abbastanza realistica, senza troppi intoppi dal punto di vista dell'azione, con tattiche di guerra moderne, tecnologia ed armi a volontà. Una sorta di Tom Clancy in tv insomma, con i nostri eroi che seguono anche un codice di valore morale. Che sia filo americano lo si evince fin dalle prime battute, ed è un bene che qualche volta vengano sottolineate le gesta di tali commandos che lottano contro il crimine. Bene, dategliele secche! Gli attori seguono bene la loro parte sembrando dei veri soldati e le telecamere a loro volta fanno capolino nelle più svariate situazioni belliche. Lo screenplay in alcune occasioni risulta un po' troppo simile ad alcuni videogame, ma non ci disturba. La fotografia è ottima e le immagini nitide e godibili in ogni tipo di ambiente, dalla foresta tropicale agli ambienti chiusi L'azione è determinante e costante, intervallata da alcune scene introspettive che vogliono cogliere l'umanità di questi seals quasi sempre imbattibili. Del resto un ruolo fondamentale lo giocano, il valore, la morale ed il legame che lega questi uomini gli uni agli altri. Esistono prodotti assai migliori senza dubbio, ed anche i dialoghi così come l'intreccio non sono particolarmente curati, facendo perdere un po' di genuinità alla pellicola.

Buried - Sepolto (2010)


Regia: Rodrigo Cortès
Anno: 2010
Titolo originale: Buried
Voto: 7/10
Pagina di IMDB
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Un unico attore (Ryan Reynolds), una sola ambientazione, grande quanto una bara, pochissima luce e movimenti quasi inesistenti. Sulla stessa scia di Frozen e 127 Ore, l'unico protagonista della storia è stato preso in ostaggio dagli iracheni e sepolto vivo. Difficile provare ad immaginarsi come la regia possa rendere interessante un film in una location così misera e senza alcuno sbocco. Cortes ci riesce invece alla grande, grazie anche alla credibilità di Reynolds nei panni di un trasportatore civile, caduto in un'imboscata. La tensione è sempre alta fin dai primi minuti, quando lo spettatore cerca di farsi un'idea sulla situazione, per proseguire in un finale mozzafiato. Alcuni intermezzi sono sapientemente studiati per tenere alta l'attenzione, come il serpente che entra nella cassa o il video riguardante l'esecuzione di un altro ostaggio. Sebbene gli spazi siano veramente ristretti e poco luminosi, la fotografia è godibile e non mancano riprese intelligenti, per mostrare il posto angusto e soffocante. Da claustrofobia solo a stare seduti sul divano. Il personaggio non si limita nè ad una fuga irrazionale, improbabile ed impossibile, nè ad un'apatia nei confronti della morte. La lente di ingrandimento si posiziona sulla sua situazione di vittima. Non soltanto in relazione ai terroristi che lo hanno catturato, ma anche nei confronti della più ampia società globale: basti pensare alla registrazione in cui viene licenziato dal gruppo per cui lavora (difficile pensare abbia una qualche valenza legale) o al fatto che i militari cerchino di non far diffondere la notizia attraverso i media. Solo ed abbandonato a se stesso. E' qui che si gioca la più grande asfissia, quella della consapevolezza di essere abbandonati. E quando tutto sembra potersi risolvere, la lotta contro il tempo risulta inefficace ed inutile. Coraggiosa, ma vincente, anche la scelta di non utilizzare nessun tipo di ambiente esterno, inquadrature sui presunti soccorsi, sui terroristi e nessun ricorso a flashback vari per aggiungere elementi alla storia. Inoltre Cortes non si ira indietro rendendo la trama realistica grazie all'utilizzo di un telefono cellulare: di solito in film del genere non hanno campo, sono scarichi o addirittura non esistono. Purtroppo questo è anche un punto debole: che senso ha dotarlo di un cellulare per i rapitori? Ad ogni modo la storia è avvincente e godibile fino all'ultimo secondo.

lunedì 27 agosto 2012

1408 (2007)


Regia: Mikael Håfström
Anno: 2007
Titolo originale: 1408
Voto: 6/10
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Fantasmi, spettri, case stregate, paranormale... Tutti ingredienti già assaggiati in varie ricette e che se mescolati male rischiano di avere un gusto soporifero e farci cadere tra le braccia di Orfeo, piuttosto che incuterci timore. 1408 sta a metà strada, non tanto per l'idea (ispirato da un romanzo di Stephen King) quanto per come si svolge e per la bravura di Cusack nei panni del protagonista, che grossomodo riesce a tenere tutta la pellicola sulle proprie spalle. Di poco conto e spessore invece l'apporto dato da Samuel L. Jackson che sì è enigmatico, ma non verrà certo ricordato per questa parte. L'opera è ben strutturata, con solo un intermezzo che lascia il tempo che trova, in un dilagare sempre più prepotente di mistero e  pazzia. Sebbene sia quasi interamente girato nell'ambiente chiuso di una camera d'albergo, la scenografia è molto riuscita così come i minimi effetti speciali sempre gradevoli all'occhio. Esperti o meno del brivido non possono che avere il battito accelerato in alcuni frangenti anche se a mio avviso la paura non regna sovrana. In un primo momento siamo tutti scettici e cinici come lo scrittore Mike Enslin, salvo poi ritrovarci a cercare di capire cosa sta succedendo, e se il Male è veramente presente in quella fatidica camera. Interessanti i riferimenti al numero 13, che nei paesi anglosassoni porta sfortuna (sfiga, merda): la stanza 8 è al tredicesimo piano che prende per il numero 14 per scaramanzia. Inoltre 1+4+0+8 fa 13. A parte queste inezie il film si fa guardare piacevolmente senza però strafare: credo sia difficile al giorno d'oggi riuscire a tirare fuori una trama elettrizzante che non ti faccia dormire la notte, se si ispira a storie di fantasmi o al soprannaturale. Più faciel forse con i serial killer o le depravazioni umane.

Dune (1984)


Regia: David Lynch
Anno: 1984
Titolo originale: Dune
Voto: 6/10
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Difficile parlare del film di Lynch senza, per ovvie ragioni, citare il romanzo di Frank Herbert. Soprattutto se si considera che in assoluto è il mio libro preferito. Di conseguenza devo dire che il film non ha senso se non si legge Dune su carta e che è decisamente terra terra se abbiamo la sfrontatezza di fare un paragone. Non è tanto colpa di Lynch o del cast o degli anni ottanta... Loro credo ce l'abbiano messa tutta, anche se magari con l'appeal di Michael Bay ai giorni d'oggi ed un insieme di attori da botteghino si sarebbe potuto fare meglio. Forse. Già, perchè credo, e lo dico onestamente, che l'unica sceneggiatura che avrei approvato sarebbe stata la mia, con la mia regia, con i miei soggetti, la mia fotografia etc etc etc. Insomma, quando ami una cosa, chiunque ci metta le mani sopra la deturpa. Dune l'ho letto più volte, mi sembra quattro, e quando lo faccio mi sento esattamente come Bastian ne La Storia Infinita, per questo motivo sono troppo legato al mondo immaginato da Herbert per non fare caso anche alle piccolezze più assurde. La fantascienza poi è ardua da mettere sul grande schermo, perchè diciamo la verità, se lo si fa con la tecnologia disponibile nel 1984 rischiamo di fare dei buchi nell'acqua. Lynch credo abbia saputo sfruttare al meglio i dollari a disposizione per alcuni effetti speciali ed alcune ricostruzioni, che non si allontanano molto dal mio immaginario, ma che la prima volta che ho visto il film mi hanno durante messo alla prova. Al di là di questo è la struttura della trama ad essere impegnativa e composta su più basi, con lunghi monologhi personali, detti o frasi estratti da fonti diverse, spiegazioni prolisse su determinati avvenimenti: è quasi controproducente far sì che lo spettatore recepisca tutto quanto. Non è possibile apprezzare il film senza leggersi il libro: ma cosa capisce il comune ragazzo seduto sul divano di cosa siano Fremen, di quanto sia importante l'acqua della vita, del rapporto tra Duncan Idaho e Paul e della trama che sconvolgono l'Impero? Nel film si accenna a qualcosina, si ha una parvenza di spiegazione, un minimo di corrente logica viene applicata, ma finisce qui. La pellicola è destinata quindi ai fan lettori, non all'uomo comune. mi dispiace, ma statene alla larga. Anche se potrebbe piacervi, non sarete mai all'interno di Dune. Tralasciando questa piccola parentesi aperta solo per dimostrarvi quanto è bello essere fanboy, c'è da applaudire invece altre caratteristiche che rendono il film piacevole come ad esempio le musica (colonna sonora affidata a Brian Eno e i Toto) ed i costumi che ricordano nel migliore dei modi possibili le ambientazioni presenti nel romanzo. Anche gli attori (soprattutto se stanno fermi e zitti) hanno un bel peso per l'economia e la riuscita commerciale (c'è Sting nella parte del cattivo). Si dà quindi un sei complessivo per non risultare antipatico e troppo certosino, ma su questa scala il libro dovrebbe avere venti di voto. Poi ci sono alcune cose che non capisco: molti film non risultano copie identiche dei romanzi da cui sono ispirati, spesso alcune cose vengono cambiate per forza di cose e per arrangiamenti o adattamenti, ma qui che senso ha inventarsi l'arma sonora degli Atreides? Non c'èera già abbastanza carne al fuoco? Se aggiunta per togliere Fenring, il consigliere stronzo dell'Imperatore inizio a mordermi le mani. Da incappucciarsi poi per tutta la trama politica e religiosa che viene a mancare così come le parentele con Harkonnen e Keynes. Insomma si poteva fare molto di più, con una decina di ore a disposizione.

sabato 25 agosto 2012

Chi muore oggi, può farlo anche domani

Non è detto che chi muore oggi, non possa farlo anche domani. E' un dato di fatto. Del resto la morte è una cosa così strana che dà luogo a numerose credenze o peggio ancora frasi di un certo tenore. Magari accade come in Ubik e neanche ce ne rendiamo conto. Non è questione di fede o di più palpabile biologia, alle volte muori e non te ne rendi conto di preciso fino a quando non ti ricapita una seconda volta. E nel dubbio, se non muori te, muore tutto ciò che ti circonda. Vi immaginate Neo nel momento in cui scopre di essere dentro Matrix? Lui c'ha una vita pseudo normale o tranquilla, col computer, la rete ed i giochini da hacker. poi invece tutto quello che gli sembra vero è falso. Oppure il buon vecchio Deckard, che dà la caccia agli androidi giusto per rovinargli l'esistenza e poi sogna l'unicorno. Bastano piccoli indizi a stravolgerti il mondo. Indizi che segui con ostinazione per poi ritrovarti in un baratro e cadere giù. Ecco che muori e ti si apre un'altra strada. Tutta differente da prima, ma non sei immortale. Neanche se tu fossi Muad'Dib lo saresti: perchè Paul in un certo senso muore. E così te, che piano piano ti accorgi che qualcosa non torna, non quadra, c'è quella odiosa e maledetta matrice che fa le bizze. Il casino è che non siamo super eroi, siamo piuttosto i Kujan de I Soliti Sospetti, manipolati e fregati senza ombra di dubbio. A chi non sono girate le palle quando ha scoperto che Babbo Natale era tutta una mossa per fregarci? Ecco, quando uno viene fregato in quel modo non si tratta solo di uno schiaffo. E' peggio del bacio di Giuda. Ed allora sei lì come un Kujan dei poveri. Te ne stai con la sigaretta accesa che brilla nella notte, o con il tuo sambuchino troppo caldo per essere buttato giù, o semplicemente ti lanci a fari spenti nella notte per emulare Battisti. E mentre fai queste cose ripensi ad ogni indizio, ogni possibilità, ogni logica, ogni prova. Tutte le strade possibili portano ad un'unica poco attraente soluzione. Ti chiedi anche come mai la tua fiducia sia venuta meno, sia sparita di colpo e ti sei trasformato in un fottuto paranoico. Allora rivedi tutto a forza di flashback capendo che quanto era azzurro ieri, diventerà rosso domani. E' questione di pillole. Se il cucchiaio non esiste, viene da chiederti allora cosa sia quell'attrezzo con cui mangiavi la minestra fino a pochi minuti fa. Dal momento che sai, che prendi coscienza non puoi più tornare indietro. Nei film questo aspetto passa in secondo piano, ma nella realtà ti manda al manicomio. Ascoltavi certa musica, condividevi alcune passioni ed elogiavi i soliti attori, ma forse non era vero. Non erano veri neanche quelli, o gli incontri clandestini o le passeggiate a cala. Segui gli indizi del bianconiglio e decidi di fare una pausa. Ma il tasto play è rotto. Qualcuno dovrà aggiustarlo ed io sono sicuro di non esserne capace.

lunedì 20 agosto 2012

La Nona Porta (1999)


Regia: Roman Polanski
Anno: 1999
Titolo originale: The Ninth Gate
Voto: 6/10
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L'amore incondizionato di Roman Polanski per tutto ciò che è esoterico o ci si avvicina lo abbiamo già visto in special modo in Rosemary's Baby ed anche qui, con La Nona Porta (ispirato dal romanzo Il Club Dumas di Perez-Reverte) il thriller prende chiari connotati horror. La regia incentra il tutto in chiave religiosa e settaria, sottolineando questo aspetto più di ogni altro. Mette inoltre in guardia dal voler "giocare con il fuoco" o con il diavolo in questo caso. Il protagonista (Johnny Depp) è a suo modo distaccato, cinico, non credente e con il solo obiettivo di seguire il flusso di denaro più vantaggioso per se stesso, ma si ritrova suo malgrado attirato dall'ossessione per i tre libri e le tavole in essi contenute. L'adorazione del male, o la curiosità per il soprannaturale non si limita quindi ai collezionisti esoterici. Polanski è un maestro nel creare ambientazioni cupe e pericolose, situazioni di stallo e momenti di tensione. Purtroppo però non riesce a dare un'impronta significativa al finale, rendendolo frettoloso e se vogliamo inconcludente. Un po' come la presenza, strana ed inquietante della ragazza (Emmanuelle Seigner), spiritualmente non umana al pari del visionario Balkan (Frank Langella) che poteva essere meglio elaborata. L'avido Corso impersonato da uno splendido Johnny Depp tiene le fila agevolmente meritandosi tutto il successo che è in grado di monopolizzare in pellicole come questa. Nell'insieme non vengono deluse le aspettative, risultando incalzante e riflessivo nei momenti giusti. Mai noioso o scontato, sebbene il finale risulti tirato via.

domenica 19 agosto 2012

Halloween - La Notte Delle Streghe (1978)


Regia: John Carpenter
Anno: 1978
Titolo originale: Halloween
Voto: 6/10
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Non è possibile parlare di horror se non si conosce Carpenter e non è possibile parlare di lui se non si conosce Halloween, primo capitolo di una lunghissima e fortunatissima serie. Considerando il fatto che è un film indipendente tirato su con un budget davvero scarso (poco oltre i 300 mila dollari) non esagero se dico che è il film horror più di successo (e copiato) della storia del cinema. Eppure, la trama e la recitazione, riviste oggi, ma non solo, non erano di quelle che ti tenevano forzatamente incollato al divano. Le scene violente vengono soltanto immaginate ed il sangue non scorre certo a fiumi. E' la tensione, supportata da un ottimo e calzante motivo musicale, che però riesce a riscuotere un certo successo in quanto Myers fugacemente appare e scompare nei momenti più opportuni. E lo fa quasi sempre (tranne che in una scena molto buia) indossando una maschera: altro must da non scordare. Lancia il genere slasher dedicando trama e titolo alla notte delle streghe (ovvero Halloween) già di per sè inquietante o almeno suggestiva per un racconto horror. Il male, l'ombra della strega, nella persona di Myers è angosciante in quanto non risulta possibile sconfiggerlo. Si rialza sempre e sempre continua la sua lotta contro tutti, con un finale che lascia il via libera al sequel. Come dicevo precedentemente, la trama non ha niente di sensazionale, anzi è semplice, forse addirittura anche troppo arrangiata, e pure il cast non fa grandi sforzi per risultare credibile. Jamie Lee Curtis sembra impaurita, ma è sempre impeccabile, neanche mai sudata o terrorizzata. Oltretutto stupida. Tutto questo però serve all'economia della pellicola che punta i riflettori sul serial killer piuttosto che sulle giovani vittime (moralmente naufragate negli anni settanta americani). Le scene a ritmi serrati non terrorizzano, ma riescono a dipingere l'assassino come una mente malata ed anche qualcosa di più: una reincarnazione del male. Prima o poi lo guarderà anche Funflus e dirà "ma ma ma... non fa paura".

Michael Crichton - Mangiatori Di Morte


Autore: Michael Crichton
Editore: Garzanti:
Titolo originale: Eaters Of The Dead
Pagine: 171
Voto: 2/5
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Trama del libro:

Il colto dignitario arabo Ibn Fadlan viene inviato in missione diplomatica dal suo califfo nella terra dei vichinghi. Siamo nel 922 dopo Cristo, ed egli annota nel suo diario di viaggio ciò di cui è testimone. Incontra gruppi di "barbari" che curano molto meno l'igiene di quanto non facciano con il cibo, l'alcol e il sesso. Assiste ai loro riti, alla violenza delle loro cerimonie, alle orge. Quello di Fadlan con l'Europa dell'epoca è un incontro scioccante, per lui che viene dal mondo sofisticato ed evoluto di Baghdad, la "Città della pace". Ma nonostante la sua diversità, viene accolto nel clan vichingo, gode della protezione del suo capo e seguirà il gruppo fino in Scandinavia, fino alla lotta finale contro le misteriose creature della nebbia.

Commento personale e recensione:

 E' forse tra i vecchi libri di Crichton quello che mi ha deluso maggiormente. La ricostruzione del falso storico è un arma a doppio taglio: in questo caso per renderlo verosimile l'autore lo ha anche reso noioso e non molto incalzante. per poi comunque arrivare a toccare l'impossibile. Risulta di un certo interesse solo nella parte finale, mentre tutto il resto è colmo di annotazioni, nomi personali e geografici, teorie religiose, accozzaglie lessicali etc che non fanno altro che rallentare la lettura. La trama è quindi spezzettata, quasi fosse una partita di calcio colma di falli e fischi arbitrali. Fortunatamente questo diario è breve (circa 170 pagine) ed il modo di scrivere in altri punti è scorrevole. Poi per chi ama i dettagli di certi usi e costumi può anche risultare più interessante del dovuto. La lettura serve a mio avviso per i fan dell'autore (me compreso) che vogliono portarsi avanti nella lettura dei suoi libri.

Mezzanotte Nel Giardino Del Bene E Del Male (1997)


Regia: Clint Eastwood
Anno: 1997
Titolo originale: Midnight In The Garden Of Good And Evil
Voto: 5/10
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Se credevo di conoscere un minimo la regia di Clint Eastwood, questo suo lavoro mi ha un po' spiazzato. Una lunga introduzione per porre le basi di una storia lineare nella struttura, ma che cambia di volta in volta il punto di vista. E' proprio qui il fulcro: la prospettiva varia e muta a seconda dell'osservatore e dell'evolversi degli eventi. Possiamo infatti cogliere la frase "La verità è come l’arte: sta nell’occhio di chi guarda" e farla nostra per capire le intenzioni della regia nel raccontare questa storia, che vede tra i protagonisti Spacey, Cusack e l'allora poco noto Jude Law. Siamo a Savannah agli inizi degli anni ottanta, tra ricchi collezionisti gay e personaggi un po' strambi, con uno scrittore giornalista inviato per scrivere un mondano pezzo per una rivista. Nel mezzo un omicidio ed un processo legale. Mentre si pensa alla colpevolezza o meno di Spacey, viene messa tanta di quella carne al fioco da faticare a capire l'andazzo del film. Drammatico? A volte ironico? Commedia nera? La parte esoterica e spiritualista è decisamente da cestinare, nonostante dia proprio il titolo alla pellicola e le varie gag che vengono a crearsi sono forse troppo esaltate per essere in Georgia negli anni ottanta. Il sorprendente cambio di visuale che intercorre tra i due protagonisti è ben fatto: da prima fiducia ed amicizia, in seguito una calma e sostenuta distanza. Non è tra i più riusciti secondo me, vuoi per la lunghezza che rende alcune parti estremamente noiose e slegate dal contesto, vuoi per quel senso di lavoro non concluso che traspare al termine.

sabato 18 agosto 2012

Il Padrino - Parte III (1990)


Regia: Francis Ford Coppola
Anno: 1990
Titolo originale: The Godfather: Part III
Voto: 7/10
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Essendo il terzo ed ultimo capitolo della trilogia de Il Padrino sarebbe abbastanza semplice bollarlo come infruttuoso e non all'altezza dei precedenti. Lo sappiamo già che è così, e questa consapevolezza la avevamo anche prima di guardarlo. Un sequel ad oltre quindici anni dal duetto iniziale ha sicuramente delle divergenze di un certo spessore. Saltiamo per un attimo la trama in sè e concentriamoci sulla figura di Michael Corleone: adesso è divenuto lui stesso il potere (che logora anche chi lo ha) visto nel primo capitolo grazie a Marlon Brando. Adesso è un Al Pacino esperto, irraggiungibile e affermatissimo che chiude il cerchio, iniziato anni prima. Al suo fianco vi è Andy Garcia, che nonostante tutto, non raggiungerà mai nè Brando nè De Niro. Anche per colpa del personaggio che interpreta, sicuramente più leggero rispetto agli altri. L'opera è grandiosa, ma risente del fatto che la conclusione poteva essere quella del Padrino - Parte II , mentre qui abbiamo una sorta di forzatura nel proseguire il racconto. Inoltre, la fine degli anni settanta, rappresenta un periodo molto difficile da raccontare dal punto di vista mafioso. Coppola per di più inserisce temi abbastanza forti e delicati, impregnando tutta la pellicola di richiami alla religione ed al Vaticano. Non è certo semplice fare determinate supposizioni o creare avvenimenti che richiamino alla realtà. Lo stile mafioso è quindi anche più vicino a ciò che abbiamo visto e vissuto sulla nostra pelle, rendendocelo meno "simpatico". La mafia è male, e le vicende degli uomini di potere, anche se raccontate con maestria, perdono un po' di quel senso di onore e dovere visto nei capitoli precedenti. Ottime però ancora le musiche, onnipresenti per tutto il film, i dialoghi e gli intermezzi. Troppo fuori luogo invece è Sofia Coppola adulta, che non riesce secondo me a rappresentare la figlia di Michael. Anche il Antony, con una parte meno di spessore però, è un po' un buco nell'acqua. Nel complesso resta un ottimo film, sebbene non all'altezza degli altri due.

venerdì 17 agosto 2012

Frozen (2010)


Regia: Adam Green
Anno: 2010
Titolo originale: Frozen
Voto: 6/10
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Se volete guardare un horror non troppo terrorizzante, ma che riesce a mettere un po' a disagio senza utilizzare mostri, vampiri o serial killer, Frozen fa al caso vostro. La trama segue la falsariga di 127 Ore , senza però utilizzare un grande Danny Boyle e senza poter contare su James Franco in uno spolvero da maestro. Anzichè nel deserto, i personaggi del film si ritrovano bloccati su di una seggiovia, senza possibilità di scendere. Niente di preoccupante? Peccato che nessuno sappia di loro, che la pista riaprirà tra cinque giorni, che ci sia un freddo di quelli insidiosi e che siano sospesi ad una ventina di metri dal suolo, senza cibo o acqua. La morte si avvicina, tra dialoghi in parte isterici, in parte dettati da una fifa che novanta. La pellicola non rimarrà impressa nè negli annali cinematografici nè all'interno dei vostri incubi, ma la tensione sarà palpabile come anche il senso di impotenza dei personaggi. Buona la musica ed alcune situazioni che vengono a crearsi, con inquadrature che lasciano allo spettatore l'idea di ciò che avverrà in seguito.Il tutto è abbastanza calzante, sebbene alcune volte possa risultare leggermente lento e ripetitivo. Il dramma si svolge e si sviluppa quasi tutto su di una panchina della seggiovia, facendoci avere (visto il titolo) qualche brivido, ma senza straziarci. La psicologia dei personaggi non è molto curata, se non per Dan, forse il più interessante, ma non è un male in quanto la situazione non richiede di affezionarci in maniera indelebile al terzetto. Non un capolavoro, ma da vedere incollati al divano.


Provare a vedere come vivono il Palio

Foto di @simonefarmeschi
Dicono che il Palio è vita, che lo si vive 365 giorni all'anno e che è qualcosa di alieno per tutti coloro che vengono da fuori. E' vero. Verissimo. Il Palio per capirlo bisogna viverlo, o almeno cercare di entrare nell'ottica del senese in generale, o più in particolare del contradaiolo. Non è semplice, addirittura lo ritengo impossibile. Possiamo erroneamente pensare al tifo, come avviene per lo sport o addirittura per la politica, ma le contrade non si tifano. Si appartiene ad esse, ne si fa parte ogni giorno, che sia il 2 luglio, il 16 agosto o uno qualsiasi durante l'anno. Consapevoli di tali premesse abbiamo cercato di vivere la giornata di ieri, assaporando i momenti più particolari e salienti. Io come blogger per VER e TimeWalk come fotografo, cercando di catturare gli aspetti simbolo di una festa che è tra le più belle e partecipate d'Italia. Per questo ringraziamo il nostro amico Simone che ci ha letteralmente condotto per mano, colmando quando possibile le nostre curiosità. Partiamo alle 6:15 del mattino da Piombino con lo scooter, attraverso la bruma ed il sole che rende dorato il paesaggio, per giungere in Piazza del Campo pronti per la "messa del fantino" e la  "provaccia" (video della partenza), la cosiddetta prova generale della corsa. Nonostante le ore piccole della sera prima, il pubblico risponde numeroso, ma riusciamo ugualmente ad accaparrarci ottimi posti. E' l'ora della colazione, e come tipici senesi andiamo a rifocillarci all'osteria Il Grattacielo dove in compagnia di importanti personaggi riconducibili alla vita da Palio, mangiamo un panino con acciughe ed un bicchiere di vino. Una bella carica per non essere giunti neanche alle 10:00 del mattino. Le spiegazioni, gli aneddoti ed i chiarimenti si susseguono velocemente, ma non ancora sazi cerchiamo di apprendere il più possibile: l'ignoranza è il peggiore dei mali, ed abbatterla ti fa vedere con un occhio grandangolare numerosi fatti prima passati inosservati. Il tour della prima parte della giornata termina con la decisione di cucinarci i pici all'aglione. Brava quindi anche la nostra paziente cuoca Superciccionissima, che si è destreggiata al meglio tra i fornelli riuscendo a non rendere pesante un piatto dal nome assai imponente. Eccoci quindi pronti per la benedizione del cavallo in chiesa. Assisteremo così a quello della Giraffa con Nicolas (video 1 e 2) che dovrà "andare e tornare vincitore". Questa parte a mio avviso è importantissima in quanto spiega alla perfezione il forte legame che il palio ha con la religione cattolica e la Madonna. Non mi ritengo assolutamente all'altezza nè di poter capire appieno i moti che governano questa manifestazione, nè di poterli spiegare in poche righe su di un blog, ma consiglio a chi è minimamente interessato, di cercare di comprendere il tutto a 360°, perchè il Palio è tutto tranne che una corsa di cavalli. Giriamo quindi per la città, verso il Duomo prima e tra le vie dove si svolge la sfilata storica il corteo storico (video 1, 2, 3 e 4) anch'esso con un fine e preciso significato rappresentativo. Il momento clou della giornata lo viviamo durante l'attesa della partenza: nervi tesi e brontolii di stomaco anche per noi in quanto la tensione è contagiosa, proprio come la gioia e la rabbia nei momenti di collettività emotiva. Il nostro azzardo consiste nel non essere presenti in piazza ad assistere alla corsa in sè, ma di sfruttare una (passatemi il gergo informatico) backdoor che viene ad aprirsi dal momento che il "mossiere" abbandona la sua postazione. Ed allora via come il vento, cento metri di corsa spinti da quella fantastica droga che prende il nome di adrenalina, con il cuore che batte a duemila e le gambe che, un attimo prima molli per la tensione, rispondono automaticamente ai tuoi comandi. Sembrano secoli che non correvo, ma mi sono sentito Bolt, per arrivare davanti al traguardo a pochi secondi dall'arrivo. E poi è bolgia, e poi è festa, e poi si prende il palio, e poi è ancora degenero. E poi il fantino, e poi il cavallo, e poi ancora festa, e poi pianti e poi risa, e poi giubilo e poi di nuovo urla. Per emozioni che solo in parte potremo capire e solo in parte potremo condividere. Il palio lo vince il Montone, Dopo 22 anni, quindi ancora una pettata su fino al Duomo, ancora festeggiando nella chiesa più bella del mondo, tra cori e canti, esaltando anche il cavallo Lo Specialista. Tutta una festa, per il palio che è vita.

mercoledì 15 agosto 2012

Originale Ferragosto all'Amiata

I bei vecchi tempi delle spiaggiate a Perelli o al Quagliodromo per me povero vecchietto sono ormai finiti. Niente più falò, sangria, generatore, fiaccole, barrettino improvvisato, zombie vaganti sulla spiaggia, sacco a pelo, asciugamano in bocca, costole rotte, bagno di mezzanotte per i sopravvissuti. Così la testa fumante di TimeWalk propone l'originale e ben vista idea di fare i tipi alternativi e lanciarci al fresco, sul Monte Amiata. Lontani dalle code, dall'ammassamento di corpi sudati e briachi, dal caldo torrido, dai gavettoni e dalla fatica. Un giorno di festa all'insegna del relax. L'idea in fase beta prevedeva l'utilizzo degli scooter, per raggiungere la vetta, ma dopo un'approfondita analisi, il mio Skyliner non è risultato idoneo all'impresa. Quindi tutti su, con il "cassonetto", immatricolato in Montenegro, ma che dava del filo da torcere ad Audi e BMW. Colonna sonora della nostra giornata è Imagine del fu John Lennon, calma e riflessiva. Appena superato Castel del Piano, però iniziamo a fare i conti con la realtà: le buone idee spesso si diffondono come virus su Windows, ed ecco quindi che tutta la popolazione del centro Italia sembra aver preferito il fresco clima di montagna alla sabbia che scotta. Contiamo anche un discreto numero di Piombinesi, avvistati e salutati in diverse occasioni. Lasciato da parte il panico iniziale per la ricerca di un parcheggio o un qualsiasi buco dove poter abbandonare il mezzo, inizia la nostra avventura. un po' di buon cibo per rifocillarci, un mini break per riposarci e poi ci catapultiamo sulla vetta. Pendenze da capogiro, salite spacca polmoni, e pendenze da arrampicatori non ci fanno nessuna paura: usiamo la seggiovia (video). La discesa invece è fattibile a piedi, immersi nella natura, tra il sole caldo che picchia come un ossesso ed il venticello fresco che ti avvolge nelle zone d'ombra. Non mancano momenti di sport estremo come le arrampicate sui tronchi e neanche quelli canori, con canti da hooligans delle Prealpi. Finito il pascolo e la discesa, grazie agli utilissimi bastoni, è già ora di tornare a casa. Il mio smartphone ha usato solo 13% della batteria in tutta la giornata: quegli schifi della Tre non coprono il monte. Niente check-in, niente FB, niente twittate. Proprio immersi nella natura, da capo a piedi.

Johnny Mnemonic (1995)


Regia: Robert Longo
Anno: 1995
Titolo originale: Johnny Mnemonic
Voto: 6/10
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Il cyberpunk è tra i sottogeneri che mi gasa di più. Forse perchè secondo me è molto realistico ed attuale, forse perchè prima di leggere Gibson mi sono innamorato della serie Nathan Never che ha scolpito la mia fase adolescenziale. Fatto sta che Johnny Mnemonic (ripreso da un racconto presente in La notte che bruciammo Chrome) è per me un buon prodotto cinematografico, forse anche troppo sottovalutato. Non è certo il primo film del genere, ma è forse quello che in assoluto lancia il cyberpunk puro sul grande schermo. Tutta la trama, i personaggi, lo svolgersi delle azioni ricalcano fedelmente gli elementi comuni del filone fantascientifico. Multinazionali spietate, la globalizzazione assetata di denaro, le corporation alleate con mafia e yakuza, l'antieroe di stampo noir, l'iper tecnologia divagante, la rete onnicomprensiva e così via. La regia di Longo inoltre riesce a seguire senza alcun distacco l'evolversi della storia, inserendo qua e là scene di computer grafica decisamente colorate ed innovative, in un contesto buio e caotico, dove il disagio regna sovrano. Se dal racconto di Gibson si poteva trarre qualcosa su pellicola, con questo lavoro ci avviciniamo molto al successo. Questo in teoria, perchè in pratica, la sceneggiatura e le ambientazioni sebbene molto curate a mio modo di vedere, risultano abbastanza scontate e prive di originalità o immaginazione. Anche per chi non avesse letto Gibson lo svolgersi del thriller fantascientifico può sembrare un po' telefonato, con un'eterna rincorsa che giunge ad un lieto fine. Oggi tecnologicamente parlando sono passati secoli da quando l'idea di Johnny Mnemonic è stata messa nero su bianco, eppure il cyber spazio all'interno della pellicola è ben curato e potrebbe anche avvicinarsi per alcuni versi alla rete nostrana, colma di hackers e soprattutto releasers. Del cast fa parte Keanu Reeves, forse lanciato grazie a questo film per la parte principale in Matrix , che nonostante sia un sex symbol è una faccia adatta al personaggio che interpreta (al contrario di Tom Cruise in Minority Report). Alcune note negative vanno ai personaggi secondari, soprattutto ai cattivi: non si capisce bene quanto siano spietati, e chi sia quello veramente più malvagio. Non incarnano bene nè la multinazionale nè la mafia. El'idea dell'intelligenza artificiale se volevano inserirla dovevano svilupparla in un modo migliore, invece così sembra apparire giusto per fare numero. Nel complesso resta un cult da studiare, anche se non in maniera morbosa.

martedì 14 agosto 2012

Terminator: The Sarah Connor Chronicles [Stagione 1]


Anno: 2008
Stagione: 1
Titolo originale:  Terminator: The Sarah Connor Chronicles
Numero episodi: 9

La saga di Terminator è una delle mie preferite e sebbene la serie tv si discosti palesemente sia dalla trilogia originale, sia da Salvation devo dire che è ben fatta. Non parlo solo degli effetti speciali, che possono essere decisamente più scarni rispetto ai film per il cinema, ma della trama in sè, che aggiunge particolari davvero interessanti sulla vita della famiglia Connor (e non solo) prima del temuto olocausto nucleare. John non è il personaggio principale, oscurato spesso dalla madre (non a caso il titolo della serie è dedicato a lei), ma non è neanche il ragazzetto spaurito e sprovveduto del terzo film. A loro due si aggiungono due nuovi personaggi altrettanto interessanti: la cyborg buona Cameron e Derek Reese fratello di Kyle e quindi zio di John. Il tutto parte dagli avvenimenti successivi al Giorno del Giudizio per proseguire tra sbalzi temporali che ignorano completamente un olocausto già avvenuto. I paradossi sono molteplici e nelle ultime puntate fa battere forte il cuoricino [cit.] l'incontro tra John adolescente e suo padre ancora bambino di cinque anni. Al di là di questo abbiamo una caccia ossessiva nei confronti delle macchina e soprattutto di Skynet e di come si è evoluto. Aneddoti troppo interessanti per non essere menzionati come l'intelligenza artificiale evoluta per il gioco degli scacchi o quella per il controllo del traffico di Los Angeles. Tutte chicche piacevoli che si amalgamano bene con la storia, sebbene in alcuni casi non si sa dove la regia voglia andare a parare. Una serie da seguire e spulciare con attenzioni se si è amanti di Terminator.

lunedì 13 agosto 2012

Hostel: Part III (2011)


Regia: Scott Spiegel
Anno: 2011
Titolo originale. Hostel: Part III
Voto: 4/10
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Intano mi scuso per la copertina: solitamente prendo l'immagine da Wikipedia inglese, am questa volta mancava ed ho quindi dovuto prenderla da una in lingua a me sconosciuta. Penso russo, forse greco. Non voglio indagare. Eccoci ad un altro ambitissimo titolo presente su Sky On Demand  che non potevo fare a meno di mettere a registrare.Quando arrivi a questo punto sai già cosa ti trovi di fronte e sai già che non sarà mai il film più bello dell'anno. E ci indovini. Ad ogni modo però lo ritengo superiore al secondo sebbene decisamente slegato dalla storia originale. Se era quasi plausibile un horror basato su dei ragazzi che viaggiando nell'Europa dell'Est incappano in gruppo di sadici, lo è un po' meno che questo avvenga a Las Vegas. Senza ostelli per di più. Però di piacevole che che Spiegel almeno prova a renderlo interessante, con alcuni colpi di scena al cardiopalma. (Ho sempre sognato di scriverlo, quindi accettatelo anche se non si avvicina alla realtà). Anche gli attori ed il contorno sono nella media, ma la trama è davvero ridicola e non ha niente di credibile. Però mi domando: se guardate un porno non è che state attenti ai dialoghi, e così se guardate un horror tendente allo splatter che ve ne frega della storiellina ricamata attorno? Quasi niente... Peccato che le scene di sesso violenza estrema siano veramente risicate. Ormai ci si mette davanti allo schermo, con i popcorn e si spera di vedere schizzi di sangue ovunque. Capita raramente e la crudeltà non è ai livelli del primo Hostel. Che almeno era una novità. Piacevolmente ridicolo.


domenica 12 agosto 2012

Philip K. Dick - I Giorni Di Perky Pat E Altre Storie


Autore: Philip K. Dick
Editore: Fanucci
Pagine: 256
Voto: 2/5
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Commento personale e recensione:

 Un'altra raccolta di racconti, in questo caso otto, scritti tra il 1953 ed il 1967. A mio avviso non sono i migliori e non sono neanche tra i meglio sviluppati, nonostante la "title track" (passatemi il termine) I Giorni di Perky Pat abbia dato spunto per un capolavoro quale Le Tre Stimmate di Palmer Eldritch . Forse sono troppo vecchi, o magari essendo il mio libro numero diciannove di Philip Dick trovo anche i temi trattati, già letti ed obsoleti. I racconti brevi in genere poi non è che mi prendano molto ed in questo caso specifico non si respira molto del Dick che mi piace maggiormente: quello con idee geniali ed originali, paranoiche e confusionarie. Positivamente parlando abbiamo un crescendo nella disposizione dei racconti, infatti i primi sono i peggiori della raccolta, mentre gli altri (forse per abitudine nella lettura) sembrano un tantino meglio. Nessun capolavoro però. Se è il vostro primo di Dick partite con altro materiale, non so Ubik, oppure anche altre raccolte. E' possibile che questo sia tra i peggiori per farsi un'idea dell'autore. Ad ogni mod sono presenti i seguenti titoli:
- I giorni di Perky Pat
- La macchina salvamusica
- Piccola città
- La cosa-padre
- Foster, sei morto
- Oh, essere un blobel!
- La fede dei nostri padri
- Quel che dicono i morti


Pamphlet sul sudiciume dei tifosi

Perelli, ore 14:05 di sabato 11 agosto. Con finta noncuranza ci avviciniamo al barrettino in pineta dell'Orizzonte per prendere una crema di caffè e posizionarci casualmente di fronte alla tv che trasmette la finale di Super Coppa Italia. Tutti i posti a sedere sono ovviamente già occupati ed il riflesso sullo schermo è di quelli fastidiosi, che in condizioni normali ti farebbe andare via. Perdere una novantina di minuti in pineta invece di essere in spiaggia può starci... Il mare lo vediamo 365 giorni all'anno e comunque fa caldo. Si sta bene in pineta. I tifosi napoletani non sembrano esserci, o comunque sono in minima parte, a Perelli se ne vedono pochi, stanno tutti in Piazza Bovio o ai Macelli a becerare. Bene. La possiamo guardare in santa pace. Peccato la tv sia sintonizzata su Tele Vesuvio (ci prendono per coglioni chiedendoci i soldi del canone questi farabutti) ed ogni commento sia a favore dei partenopei che lottano come disperati e fanno un calcio difensivo, ma cinico. Nella realtà picchiano come degli assassini e sfruttano con culo due nostri errori segnando e portandosi avanti in due occasioni. La cosa più allarmante però non è nella telecronaca vergognosamente di parte: un buon 50% degli spettatori al barrino è composto da tipici volatili notturni, detti gufi. Invidiosi pezzi di merda, sudici come pochi, che rinunciano ad una giornata di mare per guardarsi una partita che coinvolge altre squadre. Al mio fianco sento la odiosa parlata fiorentina di Fucecchio (cittadina media del vacanziere medio) "icchellè rigore icquello là peddavero? Un lè là nean'he tocca'o lè...". Poi è la volta del bergamasco che tifa Milan: " ma daiiiii, balubaaaa, santa pulendaaaaaa, dai teruuun, forza, a lavuurrr Juve merdaaaa". Passi per tre bimbetti sui dodici anni che tifano Inter della prima fila, che tristi e mogi cercano di inneggiare Cavani & Co vista la loro giovane età non capiscono una sega di calcio e di sport, passi per il quindicenne cerebroleso che prova a cantare con quella voce da checca di Firenze una bestemmia per la Strage dell'Heysel: con la mamma tegame ed il babbo buco, non mi aspettavo niente di meglio. Ma il problema sono l'omini di mezza età e quelli sui trenta, che li vedi lì a sperare e sparlare a vanvera. Ridicoli fino all'ultimo secondo, tronfi ed arroganti, consapevoli di essere senza Ibra, Thiago Silva ed altri sei giocatori, ma hanno pure la faccia tosta di commentare ad alta voce. Intanto proseguono pedate e piagnucolii da primedonne degli uomini di Mazzarri, e la Juve crea, gioca, va avanti. Tutti zitti, sudici, tutti zitti monnezzai, state in silenzio stampa come fa la vostra squadra del momento. Come De Laurentis che per la prima volta nella storia, non fa presenziare i giocatori alla premiazione. Sudicio, come i fiorentini e tutti gli anti. Tifosi, e non sportivi che perdono due ore per seguire due squadre che non tifano. Tifosi con il tifo.

sabato 11 agosto 2012

Moon (2009)


Regia: Duncan Jones
Anno: 2009
Titolo originale: Moon
Voto: 6/10
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Mentre sto scrivendo la recensione Moon è al 36° posto nella classifica Sci-Fi dell'Internet Movie Database e devo dire che è stato il motivo principale per cui ho deciso di guadarlo. Da amante della fantascienza devo dire che tre anni fa, quando uscì neanche me ne resi conti, per cui ho deciso di rimediare. Il film è bello ok, ma senza un coinvolgimento dettato dalla trama che ti faccia stare sulle spine. La clonazione, il riversamento della memoria digitale, l'intelligenza artificiale, tutti bei temi interessanti e che mi piacciono un casino, ma sento che manca qualcosa. In alcuni casi vedo addirittura uno scopiazzamento (oggi per si dice "omaggio") a 2001: Odissea nello Spazio non solo per l'Intelligenza Artificiale GERTY (nell'edizione italiana abbiamo perso Kevin Spacey che gli dà la voce) che vuole assomigliare ad Alper9000 (salvo puoi divenire inutilmente buono), ma anche per l'ambientazione asettica, candida, propriamente anni settanta. Questo non è un male, anzi: la scenggiatura riesce ad arricchirla di particolari piccoli, ma intensi che rendono la vita all'interno della stazione sicuramente più umana. Abbiamo inoltre un cast ridosso all'osso, con un unico straordinario Sam Rockwell che interpreta se stesso ed il proprio clone, interagendo in maniera fantastica. Nonostante tutto questo,  e considerando anche una certa originalità dell'opera, pathos ed azione vengono a mancare: i due Sam sono addirittura troppo arrendevoli, troppo diversi tra loro e troppo buoni. Avrei preferito vedere un sorta di lotta per la sopravvivenza. Non si quelle violenti dal punto di vista fisico, ma almeno mentale: un clone che cerca di fregare l'altro. Invece si vogliono bene... Manca davvero di cattiveria e realismo.Per la trama intendo. Se guardiamo però alle atmosfere, sia quelle della base che quelle lunari, queste risultano più che credibili. Ad ogni modo, un film da vedere, psicologico ed introspettivo e soprattutto non solo per gli amanti della fantascienza. Un po' meno simpatico, per i più cinici.

giovedì 9 agosto 2012

Alien³ (1992)


Regia: David Fincher
Anno: 1992
Titolo originale: Alien³
Voto: 6/10
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Rispetto ai precedenti lavori (recensioni qui e qua) è quello senza dubbio più debole. Per forza di cose: il terzo capitolo non può vantare una certa continuità con gli altri, sebbene il suo inizio sia legato con il repentino finale del secondo. C'è da dire che Alien ha per ora sempre vantato regie di successo (Ridley Scott, James Cameron ed adesso David Fincher) che hanno saputo dare (o continuare) un'impronta riconoscibilissima alle pellicole. La Weaver, ormai in avanti con gli anni, lascia meno il segno, ma il suo utilizzo nel cast è stato a dir poco fondamentale. Senza di lei, non sarebbe stata assolutamente la solita cosa. Manca però della rabbia pungente che la caratterizzava negli anni a cavallo tra i settanta e gli ottanta. Il suo nuovo look la rende ad ogni modo interessante, forse più dell'alieno che fa sporadiche apparizioni sullo schermo. Se prima potevamo pensare ad un mordi e fuggi dettato dai limiti del comparto effetti speciali, oggi (nel 1992) nonostante al creatura dimostri di essere spaventosamente ben fatta, non ama molto le telecamere.  Ad ogni modo la struttura è una delle migliori, soprattutto in alcuni primi piani con la bava che gocciola e quella simpatica fiatella che colpisce i volti terrorizzati dei malcapitati. Gli elementi di fantascienza gotica, visti nel primo Alien, sono molto accentuati e danno quel senso di claustrofobia e cupezza quasi medievale che l'ambiente impone. Liberi rispetto ad una navicella spaziale, ma pur sempre in trappola con un abuso di ambienti chiusi, porte a chiusura stagna, corridoi stretti. La versione del 2003 è decisamente più corposa, con numerose scene tagliate, che aprono gli occhi su determinati argomenti quali la nascita dell'alieno, le discussioni tra i membri della comunità, le paure di Ripley. Tutti elementi forti ed aggiuntivi, di cui le tinte però risultano leggermente più sbiadite rispetto al solito. Sarà che ci siamo abituati? Riguardo alla versione bluray vi rimando all'articolo (ovviamente ancora non scritto) su tutto il cofanetto di Alien Anthology. La qualità video in generale, paradossalmente è inferiore ai lavori precedenti, come se le debolezze della trama e del film si rispecchiassero su tutto il resto. La versione estesa ha inoltre dei passaggi tra scene cinematografiche e quelle nuove dove l'audio delle voci è più basso e forse scadente. L'esperienza sonora in generale è invece molto buona. Oltre al sistema MUTHUR per la navigazione interattiva abbiamo sia la versione cinematografica del 1992 che quella estesa (consigliata) del 2003 con commenti audio da attivare o meno. Segnalo inoltre l'indice delle scene tagliate e modificate e la colonna sonora nella versione cinematografica.

mercoledì 8 agosto 2012

Stephen King - Christine. La Macchina Infernale


Autore: Stephen King
Editore: Sperling & Kupfer
Titolo originale:  Christine
Pagine: 634
Voto: 3/5
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Trama del libro:

Tre amici vivono la loro adolescenza in una tranquilla cittadina di provincia. Le novità sono poche, finché non compare Christine, un'auto - una Playmouth del 1958 - che Arnie, uno dei ragazzi, vuole a ogni costo rimettere a nuovo. Un'impresa disperata, che per lui si trasforma in un'ossessione, mentre la macchina inizia a manifestare un'inquietante vita propria. E nelle buie strade del paese la gente comincia a morire. 

Commento personale e recensione:

Ormai mi sono trasformato in un fan di Stephen King. In passato neanche lo gradivo tanto, ma adesso non riesco più a farne a meno. In tutta sincerità però Christine non mi ha entusiasmato più di tanto. E' un malloppone di oltre seicento pagine, che senza ombra di dubbio poteva benissimo essere un racconto breve. Certo è che come allunga il brodo lui non riesce a farlo quasi nessuno. Da una trama debole e per di più senza un apparente realismo è riuscito a tirar fuori un bel best seller, piacevole e molto scorrevole. Diviso in tre parti, di cui la prima e l'ultima in prima persona, riesce a coinvolgerti anche nelle più insignificanti descrizioni di particolari inutili. Davvero, e questa secondo me è una grande arte. Divagamenti, rimaneggiamenti, passaggi continui sulle medesime questioni e quasi neanche ci fai caso. Il tema base è l'ossessione per un oggetto (in questo caso un'automobile "infernale") da parte di un tipico nerd a fine anni settanta, ed il fatto che quella macchina è un qualcosa di vivente e malvagio. Realisticamente parlando siamo a zero, ma d'altra parte se accettiamo elfi, uomini che diventano giganti verdi e viaggi spaziali alla velocità della luce, possiamo anche affrontare il fatto che Christine esista. O che meglio possa esistere una Christine per tutti noi. Di certo non è il miglior romanzo del Re, ma è uno di quelli da tenere in libreria e leggere.