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lunedì 8 settembre 2025

Il Pane Nudo (2005)

 
Regia: Rachid Benhadj
Anno: 2005
Titolo originale:  El Khoubz El Hafi
 Voto e recensione: 6/10
Pagina di IMDB (7.0)
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Non è un film semplice, né pensato per farci passare due ore di intrattenimento svagato. Il Pane Nudo – tratto dall’omonimo romanzo autobiografico di Mohamed Choukri – è un pugno allo stomaco, un viaggio nel Marocco più crudo e marginale, quello che non compare nelle cartoline patinate di Tangeri e Casablanca.

La storia segue l’infanzia e la giovinezza dello scrittore (anni quaranta e cinquanta), segnata da miseria, fame, violenza e ricerca disperata di dignità. Niente indulgenze, niente edulcorazioni: qui la povertà è nuda, appunto, e viene mostrata senza filtri.

Quello che colpisce è il realismo quasi documentaristico: la macchina da presa non cerca bellezza artificiale, ma verità. È un racconto che a tratti mette a disagio, perché obbliga a guardare dove normalmente distogliamo lo sguardo. Eppure, proprio in questa nudità c’è la sua forza: il film ci ricorda che l’arte non è sempre evasione, ma spesso testimonianza, memoria, denuncia.

Ho trovato Il Pane Nudo un’opera profonda, necessaria, che non si limita a raccontare una vita spezzata, ma diventa il ritratto universale di chi è costretto a sopravvivere in condizioni estreme. Un film che ti resta addosso, come la polvere di una strada che non puoi scrollarti dai vestiti logori con facilità.

Cinema così, raro e coraggioso, non ti fa uscire dalla sala con leggerezza, ma con la sensazione che ogni brandello di realtà narrata meriti di essere ricordato.


 

sabato 6 settembre 2025

Breathe - Fino All'Ultimo Respiro (2024)

 
 
Regia: Stefon Bristol
Anno_ 2024
Titolo originale: Breathe
Voto e recensione: 5/10
Pagina di IMDB (4.3)
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Non avendo troppo da dire, mi sono fatto aiutare da Viki. Allora: di solito sono decisamente più critico di così, e per questo mi sorprende quasi ammettere che Breathe – fino all’ultimo respiro (2024) non è disastroso — nonostante il budget ridotto e qualche tasto narrativo stonato. Però l’ho trovato interessante, e non male insomma.

Detto questo: non è piaciuto granché, né ai critici, né al pubblico. Su Rotten Tomatoes, il punteggio è glaciale: 14% — praticamente un cartellino rosso . E su IMDb la media è un misero 4.3/10 .

Gli utenti sono stati spietati. Qualcuno ha scritto di scena “tediosamente ripetitive”, con dialoghi e comportamenti “assolutamente stupidi”, e ha definito il montaggio una cosa da “Darwin Awards of survival” .

Altri hanno spiegato che, nonostante attori noti, l’esecuzione è poco credibile e “visivamente non particolarmente impressionante” . Qualcuno non ha avuto mezze misure:

“Una delle cose peggiori che abbia visto negli ultimi decenni.”

Ma hey, niente panico: ci sono sempre cose peggiori, e in una serata di zombie-couch puoi tranquillamente sopravvivere a questo. 😉


martedì 2 settembre 2025

Sleeping Dogs (2024)

 
Regia: Adam Cooper 
Anno: 2024
Titolo originale: Sleeping Cooper
Voto e recensione: 6/10
Pagina di IMDB
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All’inizio ho storto il naso: ritmo compassato, fotografia un po’ anonima, e quel senso di déjà-vu che ti fa pensare “ok, sarà l’ennesimo thriller da catalogo”. E invece, senza quasi accorgertene, "Sleeping Dogs" ingrana la marcia e comincia a tessere la sua ragnatela di misteri.

Russell Crowe, ormai in piena fase “orso burbero ma magnetico”, regge la scena con quella stanchezza vissuta che gli sta addosso come un guanto. Intorno a lui una regia che non osa mai troppo, ma che sa dosare bene silenzi e colpi di coda. Il risultato? Un thriller che si lascia guardare senza mai sbrodolare, con quell’atmosfera da “non fidarti di nessuno” che tiene viva la curiosità.

Sai che da qualche parte arriverà il colpo di scena – fa parte del gioco – ma il film riesce comunque a sorprendere, evitando la prevedibilità che temevo nei primi minuti. Non è un capolavoro, certo, ma alla fine ti lascia soddisfatto, con la sensazione di aver visto un prodotto solido, più elegante di quanto promettesse la partenza.

Promosso, quindi. Non gridiamo al miracolo, ma se ti piacciono i thriller che si accendono lentamente e non ti prendono per scemo, “Sleeping Dogs” fa la sua figura.


 

venerdì 8 agosto 2025

Ares (2016)

 
Regia: Jean-Patrick Benes
Anno: 2016
Titolo originale: Ares
Voto e recensione: 6/10
Pagina di IMDB (6.2)
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Partivo senza aspettative, e forse è proprio questo il motivo per cui Ares mi ha sorpreso. Siamo in una Francia distopica, ma non quella tutta neon, metropoli verticali e auto volanti che ci aspettiamo dal cyberpunk più canonico. Qui il futuro ha il sapore stanco di un presente che è andato avanti di qualche decennio senza mai rinnovarsi davvero: palazzi grigi, strade sporche, manifestazioni di piazza, disperazione nelle periferie. Non serve chissà quale CGI per farlo sembrare credibile: basta guardarsi intorno oggi e immaginare cosa succede se tutto peggiora un po’.

La storia ruota attorno a Reda, ex campione di combattimenti clandestini, in un mondo dove le corporazioni farmaceutiche sono diventate padroni incontrastati e gli esperimenti sugli umani passano come fossero nuove mode sportive. Qui il doping non è uno scandalo: è un business regolamentato, venduto come spettacolo. Il film gioca sul confine tra etica e sopravvivenza, e riesce a rendere la sensazione di una società che si è arresa al cinismo, mantenendo però un nucleo di umanità nei suoi personaggi principali.

Quello che mi ha colpito è il tono: non c’è il classico barocchismo visivo del genere, ma un’ambientazione vissuta, quasi familiare, che rende la distopia più inquietante. Le scene d’azione sono secche, dirette, senza troppi fronzoli, e anche se la trama non inventa nulla di rivoluzionario, riesce a restare interessante fino alla fine.

In sintesi: Ares è un esempio di fantascienza “a basso costo” che non punta sulla spettacolarità, ma sull’atmosfera e su un’idea centrale ben sviluppata. Non il film che ti cambia la vita, ma uno che, se ami le distopie più sporche e credibili, ti farà pensare: “Ehi, ma questo mi è proprio piaciuto”.



giovedì 7 agosto 2025

Bussano Alla Porta (2023)

 
Regia: M. Night Shyamalan
Anno: 2023
Titolo originale: Knock At The Cabin
Voto  e recensione: 6/10
Pagina di IMDB (6.1)
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Diciamolo subito: Bussano alla porta non è uno di quei film che ti lasciano senza fiato. Non è Il sesto senso, non è neppure uno Shyamalan "vecchia scuola" pronto a spararti il twistone finale. Eppure... non mi è affatto dispiaciuto. Anzi, mi ha tenuto incollato con un’attenzione quasi morbosa. Sarà che l’idea alla base è affascinante: un’apocalisse in arrivo, una famiglia presa in ostaggio, e una scelta impossibile da fare—il tutto in una baita isolata nel bosco. Minchiazza, sembra quasi un film horror anni ’80, invece gira tutto sul piano psicologico e morale.

La tensione è costante, anche se ogni tanto viene diluita da flashback un po’ troppo lunghi, come se Shyamalan volesse ricordarci ogni dieci minuti che questa è anche una storia d’amore e genitorialità, non solo di morte imminente e profezie bibliche. Ok, messaggio recepito, ma si poteva stringere un po’.

I quattro “invasori” – interpretati bene, tra cui un sorprendente Dave Bautista in versione guru pacato – non sono i classici cattivi, anzi. Hanno una missione, e sono convinti che la salvezza del mondo dipenda da un sacrificio compiuto da quella famiglia. La cosa interessante è che il film non ci dice mai se hanno ragione o no... almeno non subito. E questo dubbio, questa ambiguità, funziona. Tiene acceso il cervello, e per chi come me non cerca solo jumpscare o botti digitali, è una bella boccata d’aria.

Certo, ci sono scelte narrative che fanno un po’ storcere il naso. Alcuni momenti sono telefonati, alcune dinamiche sembrano troppo impostate. Eppure, il film non si sfascia mai davvero. Resta in piedi, coerente nel suo tono e nel messaggio. Non cerca di piacere a tutti anche se manca violenza fisica visiva. Non fa il brillante. E forse è proprio questo che me l’ha fatto apprezzare.

In rete le reazioni sono state tiepide, ma con qualche nota positiva simile alla mia. Chi lo stronca dice che è prevedibile, che Shyamalan si è “ammorbidito”. Chi lo difende, come Cineforum, lo considera un film coerente, essenziale, che rinuncia allo stupore per costruire una tensione più cupa e morale. Io mi metto nel mezzo: non è un filmone, ma neanche uno da buttare. È una di quelle visioni che ti rimangono addosso, non per gli effetti speciali, ma per la domanda scomoda che ti lascia: tu, cosa saresti disposto a fare per salvare l’umanità?

Bella domanda. E bella visione. Magari non perfetta, ma centrata.


martedì 5 agosto 2025

War Of The Worlds (2025)

 
Regia: Rich Lee
Anno: 2025
Titolo originale: War Of The Worlds
Voto e recensione: 2/10
Pagina di IMDB (3.2)
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Mi sono immolato per la causa e ho portato a termine la visione del nuovo La Guerra dei Mondi con Ice Cube. E credetemi: è stata un’impresa.

Partiamo dal principio: già il titolo suona come una presa in giro. Sfruttare un nome storico e rispettato come quello del romanzo di H.G. Wells per appiccicarlo a un film che sembra più una diretta Instagram che un kolossal di fantascienza, è già un insulto di per sé. E infatti: montaggio a base di webcam, videochiamate e messaggini a schermo. Un linguaggio visivo che, dopo cinque minuti, ti fa venire voglia di cercare il telecomando per cambiare canale… o per spegnere tutto e leggere l’elenco del telefono, che almeno ha più tensione narrativa.

Gli effetti speciali? Diciamo che ne ho visti di migliori nei videoclip di metà anni ’90. La trama? Un’accozzaglia di banalità senza né capo né coda, tenuta insieme solo dal collante della noia. Ice Cube fa quel che può, ma sembra finito lì per sbaglio, tipo invitato a una cena e poi costretto a rimanere a lavare i piatti.

Lo ammetto: non ho mai amato neanche la versione di Spielberg del 2005 (scusa Steven), ma rispetto a questa roba pare Via col vento.

In sintesi: un film orribile, senza mordente, senza idee e soprattutto senza alcun rispetto per chi prova ancora ad amare la fantascienza. Se questa è la “guerra dei mondi”, spero che il nostro venga distrutto subito: almeno smettiamo di produrre certe cose.

domenica 3 agosto 2025

Subservience (2024)

 
Regia: S. K. Dale
Anno: 2024
Titolo originale: Subservience
Voto e recensione: 4/10
Pagina di IMDB (5.4)
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Ho visto Subservience e, diciamocelo senza troppi giri di parole: praticamente niente di nuovo. Non è un film che delude, ma semplicemente perché non c’erano aspettative da deludere.

La sensazione è quella di trovarsi davanti a una trama che avrei potuto scrivere anch’io in un pomeriggio di pioggia, con la consapevolezza che il risultato sarebbe stato poco interessante. Non per mancanza di capacità (almeno spero), ma perché il film stesso non sembra avere mai la reale ambizione di sorprendere o di lasciare un segno.

È tutto già visto: personaggi prevedibili, dinamiche telefonate, tensione che non decolla mai davvero. Non è un disastro, intendiamoci — scorre via senza fastidi, come un episodio qualunque di una serie che guardi solo perché non sai cos’altro mettere. Però quando scorrono i titoli di coda la domanda è inevitabile: “Ok, ma perché?”

In sintesi, Subservience è il classico film che si lascia guardare, purché tu non pretenda nulla. Un riempitivo, un accompagnamento tiepido a una serata in cui il cervello vuole starsene in stand-by.


 
 

venerdì 1 agosto 2025

The Limehouse Golem - Mistero Sul Tamigi (2016)

 
Regia: Juan Carlos Medina
Anno: 2016
Titolo originale: The Limehouse Golem
Voto e recensione: 5/10
Pagina di IMDB (6.3)
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Ci sono film che promettono atmosfere cupe e misteri avvolti nella nebbia londinese, e The Limehouse Golem – Mistero sul Tamigi (2016) rientra perfettamente in questa categoria. Ambientato nella Londra vittoriana, tra teatri di varietà e vicoli brumosi, si presenta come un thriller gotico pronto a catturarti con delitti efferati e una caccia al colpevole che richiama le atmosfere di Jack lo Squartatore.

La trama segue l’ispettore Kildare (Bill Nighy), incaricato di risolvere una serie di omicidi brutali che sembrano opera di una mente geniale quanto malata. In parallelo, si intreccia la storia di Lizzie Cree (Olivia Cooke), attrice di umili origini accusata dell’omicidio del marito. Le due linee narrative finiscono inevitabilmente per convergere, tra colpi di scena e confessioni.

Il film funziona come un buon thriller d’epoca, con un ritmo che tiene alta l’attenzione fino alla fine e qualche trovata scenica intrigante. La ricostruzione storica è curata, l’atmosfera è quella giusta, e le interpretazioni solide, soprattutto quelle di Nighy e Cooke.

Eppure, devo ammettere che non mi ha colpito più di tanto. Forse perché, nonostante l’impianto elegante e la buona mano registica, manca quel quid che lo renda davvero memorabile. L’indagine scorre bene, i twist ci sono, ma alla fine resta più la sensazione di aver visto un esercizio di stile che un racconto capace di lasciare il segno.

Insomma: gradevole, ben fatto, con un finale che chiude degnamente il cerchio. Ma per me non è entrato nella lista dei thriller imperdibili. Un film da serata tranquilla, senza aspettative troppo alte.


venerdì 25 luglio 2025

The Imitation Game (2014)

 
Regia: Morten Tyldum
Anno: 2014
Titolo originale: The Imitation Game
Voto e recensione: 7/10
Pagina di IMDB (8.0)
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Ci sono film che ti colpiscono per la storia che raccontano, e altri che ti colpiscono per come la raccontano. The Imitation Game riesce a fare entrambe le cose, e lo fa con una delicatezza e una potenza emotiva che non mi aspettavo.

La vicenda di Alan Turing la conoscevo a grandi linee: il genio matematico che ha contribuito a decifrare Enigma, accelerando la fine della Seconda Guerra Mondiale. Ma il film riesce ad andare oltre la biografia e costruisce un ritratto intimo, quasi doloroso, di un uomo brillante e allo stesso tempo isolato, inadatto ai meccanismi sociali, ingabbiato in un’epoca che non era pronta per accettarlo.

Benedict Cumberbatch è strepitoso. Riesce a rendere Turing umano e spigoloso, vulnerabile e arrogante, a tratti tenero, a tratti insopportabile. Non è l’eroe hollywoodiano classico, e proprio per questo funziona: ci credi. Ti commuove. Ti arrabbia.

Il film è ben costruito, alterna le linee temporali con equilibrio, e tiene alta l’attenzione anche quando sai già come va a finire. E non parlo solo del codice Enigma, ma del destino tragico che tocca a Turing per il solo fatto di essere omosessuale. Quella parte colpisce duro. Il modo in cui viene trattato dallo Stato che lui stesso ha aiutato a salvare fa più rumore di mille esplosioni belliche. È un pugno nello stomaco. Ed è giusto che lo sia.

The Imitation Game non è solo un film biografico. È una riflessione amara sul genio, sulla diversità e sulla stupidità umana. Ma è anche un omaggio a chi ha fatto la differenza restando ai margini, combattendo battaglie invisibili. Un film che emoziona, senza essere ruffiano. E per me, questo, vale oro.



mercoledì 23 luglio 2025

The Master (2012)

 
Regia: Paul Thomas Anderson
Anno: 2012
Titolo originale: The Master
Voto e recensione: 6/10
Pagina di IMDB (7.1)
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Non è un film facile The Master. È un’opera che vive di suggestioni, silenzi, ambiguità, e più che raccontarti una storia ti trascina dentro a una dinamica psichica, disturbante e ipnotica, fatta di manipolazione, dipendenza, carisma e debolezza. Onestamente? Se non ci fossero stati loro – Joaquin Phoenix, Philip Seymour Hoffman e Amy Adams – probabilmente l’avrei trovato noioso. Ma il cast è talmente incredibile da sollevare tutto, a tratti fino al sublime.

Il personaggio interpretato da Hoffman, Lancaster Dodd, è un chiaro riferimento – anche se mai dichiarato esplicitamente – a L. Ron Hubbard, fondatore di Scientology. E la “Causa” che guida i suoi seguaci con vaghi riferimenti alla reincarnazione, al controllo mentale e alla purificazione del passato ricorda molto da vicino quella controversa setta mascherata da filosofia.

Il protagonista Freddie Quell (Phoenix), reduce di guerra e alcolizzato, è il perfetto recipiente da riempire. Una specie di esperimento umano per la setta, ma anche un bambino sperduto che cerca disperatamente una figura guida. La loro relazione è morbosa e straniante, a tratti perfino tenera, ma mai rassicurante. Come se dietro ogni abbraccio ci fosse una stretta al collo in agguato.

Un piccolo aneddoto personale: da adolescente, ignaro delle derive settarie, lessi con gran trasporto "Battaglia per la Terra" (sì, proprio di quel Hubbard). Mi piacque pure abbastanza, anche se ora mi viene da sorridere. Qualche tempo dopo, mio fratello trovò un altro libro di Hubbard in un mercatino e pensò bene di regalarmelo. Lo iniziai con estrema difficoltà. Dopo qualche pagina, un dubbio. Dopo qualche altra, lo sconforto. Era un "manuale" di Scientology. E non c’era nemmeno Google per togliersi subito lo sfizio di capire che roba fosse. Solo pagine e pagine di delirio.

Ecco, The Master fa venire un po’ quella stessa sensazione: ti seduce, ti incuriosisce, ma sotto sotto ti fa capire che c’è qualcosa di profondamente disturbante. E quando i titoli di coda scorrono, non sei sicuro di essere stato testimone di un’illuminazione o di un lavaggio del cervello ben confezionato.

Ma una cosa è certa: il cinema di Paul Thomas Anderson resta un’esperienza. E in questo caso, con un Phoenix completamente fuori controllo e un Hoffman ieratico, vale il viaggio anche solo per guardarli affrontarsi in quei dialoghi tirati come corde di violino.

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martedì 15 luglio 2025

Lansky (2021)

 
Regia: Eytan Rockaway
Anno: 2021
Titolo originale: Lansky
Voto e recensione: 5/10
Pagina di IMDB (6.2)
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Non brutto, ma di certo non memorabile. Lansky è uno di quei film che, finita la visione, non ti lascia un gran retrogusto. Magari lo guardi con una certa curiosità, anche perché la figura di Meyer Lansky — l’ebreo che ha fatto la storia della mafia americana senza mai diventare una macchietta — si presta a mille sfaccettature. Ma il film? Meh. Sembra più una lezione di storia raccontata da un nonno stanco, piuttosto che un racconto viscerale e potente come ci si aspetterebbe da un gangster movie.

Harvey Keitel fa quello che può con la versione anziana di Lansky, seduto su una sedia a raccontare la sua vita a uno scrittore squattrinato. La struttura narrativa è quella classica del flashback a intermittenza, con salti temporali tra un interrogatorio dell’FBI e un passato pieno di spari, sigari e abiti gessati. Ma il problema è che manca il fuoco, la tensione, il carisma che avevano i grandi titoli del genere.

Certo, non è un film fatto male: la regia è solida, la fotografia curata, la ricostruzione storica funziona. Però tutto puzza di già visto, già detto, già sentito. E forse è proprio questo il punto: oggi, raccontare storie di gangster non ha più quell’alone di romanticismo, perversione del potere o fascino del proibito. La mafia non incanta più, e le parabole criminali, se non hanno una chiave davvero originale, scivolano via come whisky annacquato.

In Lansky, manca il mito. Non c’è la follia di Scarface, l’eleganza tragica de Il Padrino, né il ritmo brutale di Quei bravi ragazzi. È più una lunga confessione con momenti interessanti ma senza una vera anima. Anche il montaggio alternato tra presente e passato, ormai abusato, qui serve più a stirare la durata che ad aggiungere spessore.

Un film da una volta e via. Per chi è curioso di sapere qualcosa in più su Lansky — magari prima di leggere la sua voce su Wikipedia — ma senza aspettarsi il colpo di pistola narrativo.


 

sabato 12 luglio 2025

Rambo: Last Blood (2019)

 
 
Regia: Adrian Grunberg
Anno: 2019
 Titolo originale: Rambo: Last Blood
Voto e recensione: 4/10
Pagina di IMDB (6.1)
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Stavolta John Rambo combatte una guerra tutta sua. Ma invece di lasciare il segno, lascia perplessi.

Rambo: Last Blood” è un epilogo amarissimo per un personaggio iconico del cinema action, ma più che la vendetta personale, a colpire (male) è la sceneggiatura claudicante, che smarrisce sia la potenza drammatica dei primi capitoli, sia la spettacolarità grezza dei seguiti. Qui Rambo si trasforma in un mix tra Un tranquillo weekend di paura e Mamma ho perso l’aereo versione splatter.

La trama è tanto semplice quanto imbarazzante nella gestione: Rambo vive in Arizona, tormentato dai suoi demoni, e accudisce la giovane nipote adottiva (che in realtà sarebbe la figlia di un’amica, ma vabbè, passiamo oltre). La ragazza decide di andare in Messico a cercare il padre biologico – che ovviamente è uno stronzo – e finisce, come da manuale, nelle mani di un cartello di trafficanti di donne. Rambo varca il confine per salvarla e… beh, da lì inizia la sua personale guerra contro il mondo.

Peccato che tutto questo succeda con la delicatezza narrativa di un cingolato in una cristalleria: la ragazza viene ritrovata agonizzante (e già qui la sospensione dell’incredulità vacilla), poi muore nel pick-up durante il tragitto senza documenti, senza che nessuno li fermi al confine, senza che nessuno si faccia troppe domande. Un colpo di spugna alla logica e alla coerenza.

Da lì, Rambo si scatena e costruisce la sua trappola di morte nella fattoria, in una parte finale che cerca di imitare il climax di Skyfall o certi horror da home invasion, ma che risulta solo grottesca e satura di sangue eccessivo e gratuito. Sì, d’accordo, il gore fa parte del pacchetto, ma quando manca l’empatia per i personaggi, resta solo un esercizio sadico.

Il problema vero è che questo non è più il Rambo disilluso dei tempi di guerra o il reduce tormentato di First Blood. Qui Stallone pare quasi fuori parte, imbalsamato nel ruolo, con espressioni che oscillano tra la costipazione e l’indifferenza. E quando urla “ti strapperò il cuore”, lo fa con la stessa convinzione di uno che ha dimenticato il PIN del bancomat.

Insomma: più che Last Blood, sembra Last Patience.

Una conclusione che poteva avere il respiro tragico di un eroe stanco e invece si riduce a un revenge movie stiracchiato, infarcito di luoghi comuni sul Messico, sparatorie caricaturali e un finale che – sarà anche definitivo – ma non lascia alcuna cicatrice emotiva.

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giovedì 10 luglio 2025

Damaged (2024)

 
Regia: Terry McDonough
Anno: 2024
Titolo originale: Damaged
Voto e recensione: 4/10
Pagina di IMDB (4.7)
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Non so nemmeno da dove iniziare, ma forse è già questo il problema: Damaged non ha un vero punto di partenza, né di arrivo. Lo guardi, vedi Samuel L. Jackson (che in genere è una garanzia persino quando recita la lista della spesa anche se appunto è più presente del prezzemolo), ti illudi che ci sia un thriller solido a reggere la baracca… e invece niente.

La storia (ammesso che la si possa chiamare così) è una sequela di cliché da manuale: serial killer tormentato? Presente. Detective incupito col passato oscuro? Ovviamente. Colpi di scena? Sì, ma talmente telefonati che ho fatto prima a rispondere io.

Il risultato è un polpettone di dialoghi piatti, tensione sotto zero e scene d’azione messe lì più per far rumore che per dire qualcosa. Jackson ci prova a tirare su la baracca, ma sembra recitare con l’autopilota: ogni tanto sbotta, spara un’occhiataccia, ma poi si ricorda pure lui che la sceneggiatura è fiacca e molla il colpo.

Il finale? Vabbè. Svelare tutto con un twist che non sorprende nemmeno mia nonna dopo due bicchieri di Vin Santo.

Thriller? Sì, come no. Il vero brivido è arrivare svegli ai titoli di coda. Se volete un consiglio: c’è di meglio da fare. Tipo pulire la cappa della cucina.



domenica 22 giugno 2025

Zero Contact (2021)

 
Regia: Rick Dugdale
Anno: 2021
Titolo originale: Zero Contact
Voto e recensione: 3/10
Pagina di IMDB (4.2)
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C'è una nuova categoria di film, venuta fuori con la pandemia, che potremmo chiamare: Cinema da Webcam e Zero Contact è il tentativo maldestro di impacchettare una trama sci-fi con velleità filosofiche dentro un'interfaccia da videoconferenza. Risultato? Più che Matrix, sembra una riunione aziendale andata molto, molto male.

E attenzione: tra i partecipanti, c'è nientemeno che Anthony Hopkins, che si aggira tra riprese sfocate e monologhi criptici con l’aria di uno che ha firmato il contratto prima di chiedere “ma scusate, dove sono le telecamere vere?”. Un attore gigantesco, ridotto a ologramma da PowerPoint La storia gira attorno a un genio della tecnologia (Hopkins), morto ma forse non troppo, che lascia una eredità inquietante a cinque persone sparse per il mondo. Queste, durante una call mondiale, vengono coinvolte in un complotto che – sulla carta – dovrebbe fare il verso ai grandi dilemmi sull’intelligenza artificiale, il controllo dei dati e l’etica dell’innovazione. Ma nella realtà... si perde tutto in una melma di dialoghi pretenziosi, scenette da escape room e riprese amatoriali in stile “mi collego col cellulare dal salotto”.

Girato interamente durante il lockdown, e si vede. Letteralmente. Non c’è mai un’inquadratura degna del nome. Solo split screen, connessioni instabili, facce in controluce, e una regia che tenta disperatamente di sembrare innovativa mentre sembra solo una chiamata su Teams con filtro grunge.

E quel che è peggio: invece di fare di necessità virtù e giocare con i limiti, Zero Contact si prende sul serio. Troppo. Tra frasi a effetto sparate nel vuoto e tentativi di costruire tensione dove c’è solo confusione, si affossa nel ridicolo. Un film che prova a sembrare tenebroso ma cade nella trappola dell’incomprensibile.

Ma cosa ci fa Anthony Hopkins in mezzo a tutto questo? È la vera domanda del film. Ha bisogno di pagare l’abbonamento a Dropbox? Era curioso di testare OBS Studio? Nessuno lo sa. Di sicuro, la sua classe è sprecata in mezzo a questo tecnoblabla di quarta categoria.

sabato 21 giugno 2025

Il Gioco Dei Soldi (2010)

 
Regia: George Hickenlooper 
Anno: 2010
Titolo originale: Casino Jack
Voto e recensione: 5/10
Pagina di IMDB (6.2)
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Visto “Il Gioco dei soldi” (titolo originale Casino Jack) mi sono reso conto che il vero problema non è tanto il film… ma che io, di lobbying americana, capisco quanto un pesce rosso capisce di biliardo. Cioè: vedo che girano palline, ma non ho idea delle regole.

La pellicola segue le gesta (e le furbate) del lobbista Jack Abramoff, interpretato da un Kevin Spacey che fa il suo mestiere dignitosamente. Peccato che il film, girato tutto dal punto di vista del protagonista, sembri più un tentativo di giustificare il personaggio che di spiegare davvero cosa cavolo sia successo.

Ci si perde in una narrazione che strizza l’occhio alla commedia nera e al biopic ammiccante, ma che alla fine lascia con una sensazione fastidiosa: non ho imparato nulla, e nemmeno mi sono divertito granché. L’America dei giochi di potere resta lontana, fumosa e opaca. Anche perché il sistema delle lobby, lì, è una roba quasi legale e codificata. Da noi se provi solo a sussurrare “intermediazione opaca” ti arriva una denuncia prima ancora del caffè. Denuncia con un nulla di fatto, ma siamo già nel campo dell'illegalità,

Insomma, Il Gioco dei soldi tenta di essere uno sguardo cinico e affilato sul potere e la corruzione. Ma se non conosci bene le regole del gioco (io no), il risultato sembra più un riassunto confuso di un processo che avresti preferito vedere su Wikipedia, magari spiegato da Barbero.

Voto personale: 5 politico. O anche lobbistico.
Senza infamia, ma con molta nebbia.


mercoledì 18 giugno 2025

Strange Darling (2023)

 
Regia: JT Mollner
Anno: 2023
Titolo originale: Strange Darling
Voto e recensione: 6/10
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Strange Darling  di JT Mollner è una di quelle sorprese che arrivano senza far rumore e ti piazzano un bel ceffone sul muso. Uno di quei film che parti senza aspettative e finisci con un mezzo applauso da solo sul divano (o al cinema, se sei uno dei tre superstiti che ancora ci va).

La storia, apparentemente semplice – un inseguimento tra un uomo e una donna – si rivela invece un puzzle ben congegnato, montato in maniera volutamente non lineare. I capitoli saltano avanti e indietro nel tempo come un pulp più sobrio, e questo gioco temporale non è solo un vezzo stilistico: ti costringe a rimettere insieme i pezzi con attenzione, mentre i ruoli di vittima e carnefice si sfumano, si scambiano, si ribaltano.

Il regista, JT Mollner, dimostra una bella mano, con uno stile asciutto ma elegante, e soprattutto un grande rispetto per l’intelligenza dello spettatore. Non ti spiega tutto, non ti prende per mano, ma ti butta nella mischia e ti dice: "Ora arrangiati". E per una volta, è bello così.

La tensione regge, l’atmosfera è curata, la fotografia è praticamente un personaggio a sé: sporca, calda, un po’ alla True Detective, ma con meno filosofia da bar e più istinto. E quando pensi di aver capito tutto, arriva il colpo di scena che – se sei onesto – ti fa dire: ok, non l’avevo vista arrivare anche se potevo sospettarlo.

Strange Darling è un film che gioca con la percezione, con il tempo e con la narrazione. Ma lo fa bene. Senza strafare, senza voler essere “troppo indie” o troppo furbo. Una piccola perla che, in mezzo alla fuffa che gira, brilla con la giusta intensità.




mercoledì 11 giugno 2025

Poker Face (2022)

 
Regia: Russell Crowe
Anno: 2022
Titolo originale: Poker Face
Voto e recensione: 4/10
Pagina di IMDB (5.2)
Pagina di I Check Movies
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Ci sono film che provano a fare i furbi. Che mettono sul tavolo un cast importante, una location di lusso, un pizzico di tensione, e sperano che lo spettatore non si accorga che, alla fine, la mano che stanno giocando è vuota.

Poker Face è uno di quei film. Un bluff. Una partita truccata dove nessuno vince, nemmeno chi guarda.

Alla regia e nel ruolo del protagonista c’è Russell Crowe, che sembra uscito da un’altra epoca, più gonfio che intenso, che si ritaglia un personaggio da miliardario eccentrico, mezzo collezionista, mezzo hacker, mezzo filosofo.
Organizza una partita a poker con i suoi vecchi amici d’infanzia, dentro una villa blindata. E fin qui, poteva essere interessante: un thriller da camera con sotto una partita psicologica alla Slevin o Cena con delitto.
Ma Poker Face non sa che film vuole essere.

C'è il dramma esistenziale, c'è il mistero, c'è il thriller, c'è l'action, c'è persino una parentesi simil pandemica e una rapina in piena regia. Tanta, troppa carne al fuoco... per un piatto che sa di poco.
Ogni volta che sembra voler dire qualcosa – sul tempo, sulla vendetta, sull’amicizia tradita – cambia tono, cambia ritmo, cambia idea. E alla fine, come un giocatore insicuro, folda tutto.

I personaggi sono appena abbozzati, i dialoghi sembrano usciti da un B-movie che aspira alla profondità di un TED Talk, e la regia – pur elegante qua e là – si perde nel tentativo di sembrare più sofisticata di quanto sia.

Crowe sembra voler fare tutto: scrivere, dirigere, recitare e filosofeggiare. Ma forse avrebbe fatto meglio a scegliere una sola cosa e farla bene.

In sintesi: Poker Face è un film che si crede un asso, ma è solo un due di picche.
E quando alzi il piatto, scopri che sotto non c’era niente.



martedì 10 giugno 2025

The Accountant 2 (2025)

 
Regia: Gavin O'Connor
Anno: 2025
Titolo originale: The Accountant 2
Voto e recensione: 4/10
Pagina di IMDB (6.8)
Pagina di I Check Movies
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Il primo The Accountant, uscito nel 2016, era una sorpresa: un action asciutto, quasi autistico (in tutti i sensi), che mescolava contabilità, botte da orbi e matematica da thriller con una formula tanto assurda quanto funzionale. Un John Wick dal cuore nerd, col volto inespressivo e granitico di Ben Affleck. Funzionava proprio perché non si prendeva troppo sul serio. O forse sì, ma noi ridevamo lo stesso.

Nove anni dopo, arriva il sequel. Più rumoroso, più lungo, meno ispirato. Insomma, più di tutto ma con meno anima. Ma del resto... bisogna accountentarsi.
Sì, la battuta è tremenda, ma non peggio della sceneggiatura.

Affleck torna nei panni di Christian Wolff, il contabile/autistico/assassino/supereroe di bilancio. Questa volta si muove in un complotto più grosso, con più spari e più personaggi che sembrano usciti da una serie di Netflix annacquata.
Il problema? È tutto troppo posticcio: le dinamiche familiari sembrano infilate a forza, i villain sono di cartapesta e le scene d’azione, pur ben coreografate, non hanno la stessa secchezza chirurgica del primo film.

Certo, qualche momento funziona. Affleck fa ancora il suo dovere, Jon Bernthal regge bene il ruolo da fratello con i nervi scoperti, e qua e là il film prova a ragionare su temi come la diversità, la vendetta e la moralità grigia. Ma tutto resta in superficie, come se i conti non tornassero mai fino in fondo.

È un sequel che segue il manuale del “facciamo più grande ma non meglio”. Non è una tragedia, ma nemmeno un’operazione riuscita. Se il primo era un B-movie d’élite, questo è un C-movie con ambizioni da blockbuster.

Per gli amanti del personaggio, ci può anche stare. Per tutti gli altri, è un reminder: quando un film nasce dal nulla e funziona, forse conviene non chiedere troppo.
E in ogni caso, come dicevamo prima… bisogna accountentarsi.


giovedì 5 giugno 2025

Kaefuys maschera da snorkeling

 
Dopo la grande CAMTOA che non è semplice da portare in viaggi lunghi (vedi Grecia in aereo) per via dello spazio, mi sono adoperato con una dalle dimensioni più contenute e la possibilità di non usare il boccaglio.

Chi mi conosce sa che al mare non sto mai fermo: o scarpino per sentieri costieri o vado a vedere cosa si muove sotto o (e lo considero movimento) viaggio con la mente leggendo un libro E quest’anno mi sono regalato una nuova maschera da snorkeling, di quelle con snorkel a secco staccabile e vetro temperato rinforzato, sperando in un mix tra comodità e prestazioni. Ecco com’è andata.

Cose buone : – Il boccaglio è ergonomico e soprattutto asciutto: anche se ti immergi di colpo, l’acqua non entra come in quelle robe economiche che poi ti fanno tossire per mezz’ora. Inoltre si può non usare.
– Il silicone è morbido, davvero comodo sul viso, non segna, non dà fastidio neanche dopo un’ora e non ho avuto infiltrazioni nemmeno a fare l’idiota tra le onde.
– La visione a 180° è un bel plus: se sotto c’è un pesce, lo vedi. Se c’è un riccio, pure (evitato per miracolo). Nessuna distorsione, niente effetto occhiali da saldatore.
– Il vetro temperato fa il suo, dà una sensazione di solidità che in acqua fa piacere. Non si appanna facilmente e regge bene qualche urto accidentale. Inoltre so mezzo ciecato e avere tanto spazio di visione è comodo.

Cose migliorabili:
– Non è una maschera da apnea profonda o da immersioni tecniche: perfetta per snorkeling tranquillo e costiero, ma non pensare di affrontarci l’Isola dei Famosi.
– Occhio alle misure se hai una testa “importante”: per me vestiva bene, ma magari chi ha il viso più largo potrebbe dover regolare a lungo le fibbie (comunque comode).

Conclusione:
Per il prezzo che ha, è una gran bella compagna di avventure marine. Comoda, solida, asciutta. 

LINK per l'acquisto 

sabato 10 maggio 2025

Mindcage - Mente Criminale (2022)

 
 
Regia: Mauro Borrelli
Anno: 2022
Titolo originale: Mindcage
Voto e recensione: 4/10
Pagina di IMDB (4.6)
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Quando leggo che alla regia c’è un certo Mauro Borrelli, italiano con un passato da concept artist in produzioni hollywoodiane, un filo di curiosità mi viene. Poi guardo Mindcage, e capisco che a Hollywood forse gli hanno fatto solo fare i bozzetti. E nemmeno i migliori.

Mindcage è un thriller che sembra confezionato su un manuale di sceneggiatura copiato a metà. Prendi Il Silenzio degli Innocenti, aggiungi un pizzico di Seven, qualche elemento visivo da giallo gotico (chiese, crocifissi, simboli esoterici) e metti tutto in un mixer a bassa velocità. Ne esce un prodotto corretto, patinato, ma con l’anima di un plastico del crimine. Bello da vedere? Forse. Emozionante? No.

Il cast fa il suo compitino: Martin Lawrence prova a togliersi di dosso i panni del comico e ci riesce… a metà. Melissa Roxburgh è la giovane detective che dovrebbe portare freschezza, ma ha la profondità psicologica di una figurina Panini. E poi c’è John Malkovich, che qui sembra aver accettato il ruolo giusto per pagarsi una nuova serra per le piante grasse: sguardo assente, tono monocorde, e l’aria di uno che sa che il film finirà presto, per fortuna.

Il guaio vero, però, è la totale mancanza di tensione. Il killer “The Artist” parla per enigmi, ma più che inquietare, annoia. Le svolte narrative? Le vedi arrivare da così lontano che potresti mandargli una cartolina. Il finale, che vorrebbe essere shockante, sembra più una scivolata sul tappeto.

Non c’è niente che faccia davvero schifo, intendiamoci. Ma è proprio l’assenza di qualcosa di memorabile a condannare Mindcage al dimenticatoio. Un film che si guarda, si finisce, si spegne. E poi si dimentica. Anche troppo in fretta.