
La trama è semplice ma funzionale: un terrorista infettato da un virus letale si imbarca su un treno europeo diretto in Svezia. I passeggeri, ignari, si trasformano in potenziali bombe biologiche su rotaia. Le autorità militari decidono di contenere il contagio non con soluzioni mediche o umanitarie, ma deviando il convoglio verso un ponte fatiscente, il famigerato “Cassandra Crossing”, con la chiara intenzione di sacrificare tutti i viaggiatori pur di eliminare il rischio di un’epidemia fuori controllo.
Rivisto oggi, il film ha inevitabilmente un che di vetusto: i ritmi sono dilatati, gli effetti speciali datati e certe soluzioni narrative un po’ forzate. Ma Cassandra Crossing conserva un fascino particolare, sia per l’ambientazione claustrofobica del treno lanciato senza sosta, sia per l’attualità sorprendente del tema. L’idea di “contenere il contagio” con misure sproporzionate, quasi più politiche che sanitarie, ci ha riportato alla memoria le derive reali della pandemia di Covid, quando l’emergenza ha giustificato scelte radicali e spesso discutibili.
Dal punto di vista cinefilo, Cosmatos costruisce un film che risente fortemente della moda catastrofica degli anni ’70, sulla scia di titoli come L’inferno di cristallo. Il montaggio alterna primi piani dei protagonisti (a tratti ingessati, ma sempre magnetici) a inquadrature che cercano di restituire la scala epica della vicenda, anche se la produzione europea non aveva gli stessi mezzi hollywoodiani. La fotografia di Ennio Guarnieri, pur non memorabile, riesce a dare al treno un’atmosfera cupa e asfissiante, mentre le musiche di Jerry Goldsmith aggiungono tensione con la loro inconfondibile impronta orchestrale.
Il film non è un capolavoro, ma resta un solido pezzo di cinema catastrofico anni ’70, dove il confine tra intrattenimento e allegoria politica è sottile. Se da un lato diverte con la sua tensione, dall’altro fa riflettere sul rapporto tra potere, paura e vite umane sacrificate sull’altare della sicurezza. In questo senso, Cassandra Crossing non ha perso del tutto la sua forza, anzi: col senno di poi, suona quasi profetico.
Un viaggio lungo i binari del thriller, con fermate obbligate nella paranoia collettiva.
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