
Un action che vorrebbe fare il furbo… ma inciampa nei suoi stessi trucchi.
Play Dirty è uno di quei film d’azione che all’inizio sembrano promettere fuoco e fiamme — ritmo alto, protagonista carismatico e tante sparatorie. Poi però, man mano che la trama si srotola, ci si accorge che qualcosa non gira proprio benissimo.
Il personaggio di Parker è innegabilmente la carta vincente: spigoloso, ironico, con quel fascino da antieroe che ti trascina dentro anche quando la storia fa acqua. Ed è proprio questo a salvare in parte il film: ti ritrovi a seguirlo quasi tuo malgrado, curioso di vedere fino a che punto si spingerà.
Il problema è che attorno a lui tutto il resto scricchiola. La pellicola dà la sensazione di essere un sequel mancato — probabilmente perché Parker nasce da una lunga serie di romanzi e qui ti sbattono in mezzo al suo mondo senza troppi preamboli. Non è che serva per forza un prologo epico, ma un minimo di contesto non avrebbe guastato.
Altra nota dolente: il tono. In certi momenti Play Dirty sembra quasi voler virare verso la commedia action, con battute tirate per i capelli e scene volutamente esagerate. Un pizzico di leggerezza va bene, ma qui si oltrepassa quel confine sottile in cui lo “scanzonato” diventa “stonato”.
E poi… la CGI. Le sequenze spettacolari ci sono — inseguimenti, incidenti, sparatorie coreografate — ma l’effetto è un po’ troppo “plasticoso”. Tutto troppo pulito, troppo artificiale, come se stessi guardando un videogioco invece di un film.
Punti a favore? Le morti improvvise. Alcuni personaggi escono di scena in maniera brutale e inaspettata, e questa imprevedibilità aggiunge un minimo di tensione che il resto della sceneggiatura non riesce a sostenere da sola. Play Dirty è un action che vorrebbe essere spavaldo e divertente, ma finisce per sembrare un patchwork di buone idee non ben cucite. Parker brilla, ma tutto il resto gli ruota attorno con poca convinzione.
📚 Nota finale: Parker non è un personaggio nato per il cinema: proviene da una fortunata serie di romanzi noir scritti da Donald E. Westlake sotto lo pseudonimo di Richard Stark, a partire dagli anni Sessanta. È un ladro professionista freddo, metodico e spietato, protagonista di oltre venti libri. Non stupisce quindi la sensazione, guardando Play Dirty, di entrare in una storia già iniziata molto prima dei titoli di testa.
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