Con La conga delle banane, Corto Maltese torna a muoversi in quella zona di confine tra avventura e intrigo politico che Hugo Pratt sapeva tratteggiare con una leggerezza invidiabile. Niente super tecnologie, niente inseguimenti spettacolari: qui lo spionaggio ha il sapore dei tempi andati, fatto di sguardi obliqui, mezze parole e personaggi che dicono la verità solo quando non serve a niente.
L’atmosfera è tropicale ma tesa, quasi sospesa, come se il vento caldo portasse con sé più segreti che profumi. Corto si muove tra doppi giochi e vecchie conoscenze, osservando il tutto con la sua solita ironia elegante e un filo di disincanto. Non ha bisogno di forzare la mano: capisce sempre più di quanto dica, e dice sempre meno di quanto sappia.
Quello che rende quest’avventura speciale è proprio il tono: Pratt non racconta un’epopea di eroi, ma una danza lenta tra interessi contrapposti, in cui ognuno balla al ritmo della propria convenienza. Corto, come sempre, è il testimone e il catalizzatore, mai il burattino.
La conga delle banane è così: una partita di spionaggio a ritmo di rumba, piena di doppi fondi, risate amare e quel tocco di mistero che sa di romanzo d’avventura classico. Ed è bello ritrovarlo lì, nel cuore del gioco, a fumare con calma mentre il mondo, intorno, trama.
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