lunedì 3 novembre 2025

Corto Maltese - Nonni E Fiabe

 


Con Nonni e Fiabe, Hugo Pratt ci porta in una dimensione dove la leggenda si intreccia con la realtà più concreta, e dove i racconti antichi servono non solo a spiegare il mondo, ma anche a sopravvivere ad esso. Corto Maltese si muove in un ambiente dove il confine tra magia e quotidianità è sottile, quasi impercettibile: ascolta, osserva, si fa interprete di un linguaggio fatto di simboli, tradizioni e dolori tramandati.

È una storia che parla di miti, certo, ma anche di fragilità umane. I “nonni” del titolo non sono solo custodi di un passato leggendario, ma rappresentano il legame con le radici, con le fiabe che tengono insieme comunità e famiglie, anche quando tutto il resto sembra crollare. Corto, come sempre, non giudica né interviene più del necessario: accompagna le persone che incontra, con quel suo modo disincantato e gentile di attraversare le storie altrui.

Sotto la superficie del racconto si nascondono temi profondi: la povertà, le disuguaglianze, il peso della memoria e la necessità di credere ancora in qualcosa, anche se non si sa più bene in cosa. Pratt riesce a far convivere tutto questo con la leggerezza di un sogno raccontato davanti al fuoco.

Nonni e Fiabe è un racconto sospeso tra mito e realtà, tra poesia e denuncia sociale. Corto resta il nostro testimone privilegiato: non un eroe, ma un compagno di viaggio che sa ascoltare il mondo e trasformarlo in racconto.

Annabelle 2: Creation (2017)

 
Regia: David F. Sandberg
Anno: 2017
Titolo originale: Annabelle: Creation
Voto e recensione: 5/10
Pagina di IMDB (6.5)
Pagina di I Check Movies
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Film:
 

Non posso dire che mi aspettassi grandi rivoluzioni, visto che il primo Annabelle non mi aveva lasciato particolari emozioni. Curiosità sì, interesse per l’universo The Conjuring anche, ma niente che mi avesse fatto davvero sussultare. Questo secondo capitolo, o meglio prequel, l’ho guardato con lo stesso spirito: senza troppe pretese, giusto per chiudere il cerchio e capire come diavolo fosse nata quella bambola dall’aria perennemente inquietante.

Il film si apre in maniera quasi tranquilla, con una coppia di artigiani, i Mullins, che perdono la figlia in un tragico incidente. Anni dopo, ormai isolati e segnati dal lutto, decidono di ospitare una suora e alcune orfanelle nella loro grande casa di campagna. Fin qui tutto bene, o quasi. Perché, come è facile intuire, quella casa nasconde più di un segreto, e tra le sue pareti si muove un male che ha preso forma proprio nella bambola Annabelle. Da quel momento in poi è un crescendo di presenze, ombre, rumori e momenti che oscillano tra il paranormale e il puro spavento fisico.

A differenza del primo film, Annabelle 2 ha il pregio di prendersi il suo tempo. Non parte subito con il solito carosello di urla e porte che sbattono, ma costruisce l’atmosfera con pazienza, facendo respirare i luoghi e i personaggi. La fotografia è curata, la casa sembra viva, e la regia di David F. Sandberg riesce a creare tensione senza dover per forza ricorrere ai soliti stratagemmi da luna park horror. C’è una certa eleganza nel modo in cui la paura cresce, sottile e inesorabile, anche se non mancano ovviamente i momenti da manuale con la bambola che si sposta o appare dove non dovrebbe.

Nonostante questo passo avanti sul piano tecnico, resta però quel senso di déjà-vu che accompagna un po’ tutto il film. I personaggi sono funzionali ma non indimenticabili, e l’idea del male che nasce dal dolore e dal rimorso è interessante ma trattata in modo un po’ superficiale. È come se tutto funzionasse al livello giusto per intrattenere, ma mai abbastanza per colpire davvero. Insomma, un film che si lascia guardare volentieri ma che non lascia il segno, soprattutto se non sei un appassionato del genere e cerchi più atmosfera che spaventi gratuiti.

Nel complesso, Annabelle 2 fa il suo dovere. È più solido e coerente del primo capitolo, meglio diretto e più curato nella messa in scena, ma rimane un prodotto pensato per un pubblico che vuole spaventarsi con regolarità e senza troppi pensieri. Io, che con l’horror mantengo sempre un certo distacco, l’ho trovato tutto sommato piacevole da guardare, anche se non ha cambiato la mia opinione generale sulla serie. Un prequel riuscito meglio dell’originale, con qualche brivido autentico e un’atmosfera ben costruita, ma che non riesce mai davvero a superare la barriera del “già visto”.

Edizione: bluray
Semplice versione in amaray con traccia italiana in DD 5.1, ma un comparto per gli extra abbastanza corposo:
  •  Commento audio
  • Deleted scenes featurette (12 minuti)
  • Directing Annabelle: Creation (42 minuti)
  • Attic Panic (cortometraggio)
  • Coffer (cortometraggio)

domenica 2 novembre 2025

Space Jam (1996)

 
Regia: Joe Pytka
Anno: 1996
Titolo originale: Space Jam
Voto e recensione: 6/10
Pagina di IMDb (6.5)
Pagina di I Check Movies
Acquista su Amazon 
 
Film:
Non so come ci sia riuscito, ma ho attraversato quasi trent’anni di cultura pop senza mai vedere Space Jam. Forse perché il basket non mi ha mai preso più di tanto – e sì, lo ammetto, nonostante il rispetto assoluto per Michael Jordan, non mi è mai venuta la curiosità di guardarlo palleggiare in mezzo ai Looney Tunes. Eppure eccoci qui, con un film che nel suo assurdo miscuglio tra live action e animazione è diventato un piccolo feticcio degli anni ’90, un simbolo generazionale che oggi, visto per la prima volta, fa quasi tenerezza.

La trama è semplice e fuori di testa: gli alieni vogliono rapire i Looney Tunes per trasformarli in attrazione del loro parco a tema intergalattico. Bugs Bunny, Daffy Duck & co. non ci stanno e sfidano i rapitori a basket. Solo che gli alieni rubano il talento ai campioni NBA, e allora serve un rinforzo d’eccezione: Michael Jordan, appena ritirato dal basket per provare (malamente) la carriera da giocatore di baseball. Ecco, già questa premessa meriterebbe un premio per la più improbabile idea di crossover mai scritta, ma incredibilmente funziona.

Il film è un gigantesco spot pubblicitario travestito da commedia sportiva – e non si fa nemmeno troppi scrupoli a nasconderlo. Tutto è brandizzato, scintillante, ipercinetico, costruito per il pubblico dei bambini che negli anni ’90 vivevano di merendine, videogiochi e cartoni Warner. Eppure, nonostante l’evidente natura commerciale, Space Jam ha un suo fascino. Forse per quella leggerezza disarmante, per la nostalgia che sprigiona ogni volta che appare Bugs Bunny con la sua faccia da “che succede amico?”, o per quella patina vintage che oggi fa tanto “film del pomeriggio su Italia 1”.

Michael Jordan, pur non essendo un attore, regge la scena con una naturalezza che sorprende: è carismatico anche quando parla con un coniglio disegnato. Non serve che reciti: basta che sia se stesso, l’icona perfetta che i Looney Tunes eleggono a loro eroe terreno. A proposito di “icone”, la colonna sonora è un concentrato di anni ’90, con “I Believe I Can Fly” di R. Kelly che – al netto di tutto ciò che è venuto dopo – resta ancora oggi una delle power ballad più epiche dell’epoca.

Certo, visto oggi, Space Jam è un film che mostra tutti i suoi anni: gli effetti speciali sono datati, la sceneggiatura è un pretesto e i momenti comici non sempre colpiscono nel segno. Ma riesce comunque a strappare sorrisi genuini, soprattutto se ci si lascia trascinare dal suo spirito giocoso e dall’assurdità delle situazioni. È un film che non ha mai voluto essere “grande cinema”, ma solo un gigantesco, coloratissimo divertissement.

In fondo, lo scopo è quello: intrattenere, mescolare sport e fantasia, e far sognare una generazione che ha imparato da Bugs Bunny e Jordan che, con un po’ di immaginazione, puoi davvero volare.

Anche se l’ho visto con trent’anni di ritardo, mi ha ricordato che a volte il cinema non ha bisogno di logica o profondità: basta solo un canestro impossibile e un coniglio parlante.

Edizione: bluray
Classico amaray senza fronzoli con audio italiano in DD 5.1 ed i seguenti extra:
  •  Commento audio
  •  Seal's like an eagle (video musicale)
  • Monstars anthem hit 'em high (video musicale)
  • Jammin' with Bugs Bunny and Michael Jordan (23 minuti)
  • Trailer 

sabato 1 novembre 2025

Cremonese 1 - Juventus 2

 

Due rondini non fanno primavera, specie se sono spelacchiate. Però abbiamo fatto sei punti  dal momento che è cambiato allenatore. Spalletti ovviamente era il nome che maggiormente mi piaceva meno, proprio per niente ad essere sinceri. Soprattutto per la sua proverbiale antipatia ed il lato umano da pistolettate sulle ginocchia. Almeno però come esperienza può sempre dire la sua, e speriamo che lavori bene, valorizzando la rosa, che sappiamo essere scarsa, il più possibile. Ad ogni modo, oggi, anche se l'avversario non è certo tra i più temibili si è visto qualcosa di buono. Anche qualcosa di orribile in realtà, ma a quello purtroppo ci siamo talmente abituati che non fa più notizia. Quindi mi concentrerei sulla buona prestazione di Cambiaso, su Dusan che con qualcuno accanto (Anche se è Openda) gioca meglio e su Kop che non fa le cappellate. La lotta per il quarto posto resta ad ogni modo difficile, ma speriamo che con questo nuovo reset si possa crederci senza rimanerci male.

 

Winnie-the-Pooh - Tutto Sangue E Niente Miele (2024)

An angry humanoid Winnie-the-Pooh wields a chainsaw engulfed in flames in the middle of a forest. 
Regia: Rhys Frake.Waterfield
Anno: 2024
Titolo originale: Winnie-the-Pooh: Blood And Honey 2
Voto e recensione: 4/10
Pagina di IMDB (4.6)
Pagina di I Check Movies
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Eh sì, ci hanno riprovato. Dopo l’improbabile e sanguinolento esordio del nostro caro orsetto assassino, arriva anche il sequel, e a questo punto viene da chiedersi perché no? Se l’idea di trasformare Winnie Pooh in un horror splatter era già talmente assurda da rasentare la genialità involontaria, tanto vale cavalcare l’onda fino in fondo.

Questa volta la produzione sembra avere un minimo di budget in più, e in effetti qualche miglioramento tecnico si nota: luci, costumi e sangue (tanto sangue) sono meno amatoriali, e almeno si riesce a capire cosa succede sullo schermo. La trama, però, pur decisamente più elaborata resta la solita scusa per accumulare omicidi creativi in mezzo al bosco dei cento acri, ormai diventato una specie di parco giochi per maniaci in maschera.

Di buono c’è che non è peggiore dell’originale — e per un film del genere è quasi un complimento. Di male c’è che, come il primo, non sa mai se prendersi sul serio o ridere di sé stesso, finendo nel limbo dei “trash che non sanno di esserlo abbastanza”. I fan del cinema horror potranno apprezzare qualche omaggio (voluto o meno) agli slasher anni ’80, ma chi cerca anche solo un minimo di coerenza narrativa farebbe meglio a guardare altro.

Alla fine lo si guarda più per curiosità morbosa che per reale interesse, un po’ come si farebbe con un incidente visto di sfuggita: distogliere lo sguardo sarebbe la scelta giusta, ma si resta comunque lì, un po’ disgustati e un po’ curiosi. Non peggiora, non migliora chissà di quanto, ma continua a essere quella follia inspiegabile che ormai fa parte del folklore horror contemporaneo.


Palazzo Blu, Pisa - Belle Epoque

 


Oggi giornata da “classico Jack in trasferta culturale”. Quando a Pisa spunta una mostra degna di nota (o anche no) , io prendo il treno e vado. Oggi nella bruma, insieme a tanti cosplayer che andavano al Lucca Comics. Non importa se il tema mi appassiona o meno: l’arte è arte, e ogni tanto fa bene lasciarsi sorprendere anche da ciò che non rientra nelle proprie ossessioni personali. Questa volta toccava a La Belle Époque a Palazzo Blu — quella stagione elegante, scintillante e un po’ vanesia che, tra il 1870 e il 1914, fece di Parigi il centro del mondo e del buonumore borghese.

Appena entrato, la prima impressione è stata quella di un viaggio in un universo sospeso tra ottimismo e autocelebrazione. L'esposizione racconta bene lo spirito del tempo: un’Europa in fermento dopo il 1870, che scopre la scienza, la moda, la pubblicità, i teatri e perfino l’idea del benessere diffuso. Insomma, il trionfo della borghesia che sognava il progresso infinito e la felicità universale — prima che la Storia decidesse di svegliarla con uno schiaffone nel 1914.

L’allestimento è curato nei minimi dettagli, come sempre a Palazzo Blu: luci morbide, ambienti che alternano scene quotidiane e ritratti, un percorso che scorre tra pittura, affiches, eleganza e voglia di vivere. Nonostante non sia tra le mie correnti preferite (confesso che preferisco epoche più cupe e tormentate), ho apprezzato la leggerezza e l’equilibrio con cui la mostra racconta quegli anni. C’è un’aria di vitalità contagiosa, quasi una promessa di felicità che, se non altro, fa piacere respirare per quasi un paio d’ore.

Il testo di apertura la definisce “un’era felice, caratterizzata da un’estesa libertà di pensiero e da prodigiose scoperte scientifiche”, con Parigi che si prepara a diventare “la capitale del XIX secolo”. E in effetti tutto sembra ruotare attorno a questa voglia di rinascita, di modernità, di glamour. Boldini e De Nittis — due italiani trapiantati nella Ville Lumière — diventano i protagonisti di questa scena, interpretando la “joie de vivre” francese con pennellate veloci, eleganti, quasi teatrali. Le loro tele raccontano un mondo in movimento, in cui tutto sembra nuovo, profumato, luccicante.

Girando tra le sale, ho provato quella sensazione curiosa che a volte mi dà l’arte: essere attratto da qualcosa che so non mi appartiene del tutto. I salotti mondani, i cappelli a tesa larga, i boulevard pieni di carrozze non sono certo il mio habitat naturale — eppure mi sono ritrovato a sorridere davanti a certe scene di vita borghese, forse perché in fondo raccontano un’umanità che si illude di essere eterna, e che proprio per questo diventa affascinante.

C’è anche una parte più riflessiva, quasi malinconica, sotto quella superficie dorata. La Belle Époque era sì un’epoca di sogni e progresso, ma anche di disuguaglianze e illusioni fragili. Forse è proprio per questo che, oggi, guardarla da lontano fa un certo effetto: è un po’ come vedere un vecchio film a colori pastello sapendo già che finirà in bianco e nero.

Uscendo, mi sono fermato qualche minuto davanti all’Arno. Pisa sonnecchiava tranquilla sotto un sole spento di novembre, ma gentile. Ho pensato che in fondo la joie de vivre di quei pittori non era poi così diversa dal piacere semplice di una gita in treno, una passeggiata tra le sale di Palazzo Blu e un caffè preso senza fretta. Forse la felicità borghese, in piccolo, è anche questa: il lusso di dedicare tempo alla bellezza, anche quando non ci appartiene del tutto.


Album fotografico Palazzo Blu - Belle Epoque