Se c’è un modo per riavvicinarsi al pensiero cinematografico e civile di Pier Paolo Pasolini con occhi contemporanei, La rabbia di Pasolini (2008) è un punto di partenza quasi obbligato. Non un semplice documentario, ma un tentativo di restituire all’opera di Pasolini il volto che avrebbe voluto avere quasi mezzo secolo prima La rabbia di Pasolini inizia con la prima parte sottotitolata Ipotesi di ricostruzione della versione originale del film: è un lavoro curato da Giuseppe Bertolucci, realizzato con la collaborazione della Cineteca di Bologna, dell’Istituto Luce e di altri archivi cinematografici. L’idea di fondo era semplice ma ambiziosa: ricomporre e restituire al pubblico la parte di film che Pasolini aveva immaginato per il suo La rabbia (1963), prima dell’intervento produttivo che ne aveva snaturato la forma originale.
Non si tratta di un remake, ma di un rimontaggio critico e filologico: materiali d’archivio, le sceneggiature originali, testi e registrazioni sono stati ripensati per offrire una versione più vicina al progetto pasoliniano che alla versione mista uscita negli anni ’60. Il film del 2008 dura quasi un'ora e mezza e alterna introduzione, materiale inedito, il montaggio originale di Pasolini e appendici critiche, con letture di versi e commenti contemporanei.
Quello che emerge è un’opera che più che documentario sembra poema visivo e polemico: riflette sui vortici del Novecento – guerra fredda, consumismo, media, rivoluzioni e contraddizioni – attraverso immagini di repertorio e una voce fuori campo che tocca corde profonde (e spesso scomode) della nostra storia culturale e sociale.
L’originale del 1963: cos’era La rabbia?
Per capire il senso di questo restauro è utile tornare all’originale La rabbia del 1963, un progetto fortemente voluto da Pasolini ma finito, all’epoca, in una forma compromessa. Il regista voleva realizzare un film fatto quasi esclusivamente di materiale di repertorio (cinegiornali, immagini di attualità, fotografie) commentato con una voce personale e poetica, capace di incarnare la sua visione critica del mondo.
Il produttore, preoccupato dall’enfasi politica delle sue idee, decise però di affiancare alla parte di Pasolini (comunista) quella di un altro intellettuale allora celebre e nettamente all’opposto: Guareschi. Ne nacque un film in due blocchi – sinistra e destra, protesta e difesa dello status quo – che diluì la forza provocatoria del progetto pasoliniano. Pasolini stesso, pur irritato, accettò di tagliare parte del suo lavoro originale pur di far uscire il film. Non ho visto l'originale ci tengo a dirlo, quindi non saprei come il connubio delle due parti possa aver combinato il materiale a disposizione. Guardare oggi la prima parte resta comunque un esercizio critico sul nostro presente. Le tematiche che attraversano il film come la manipolazione dei media, il ruolo della cultura nella società, le tensioni tra individuo e potere risuonano con vigore nel nostro tempo. È un documento storico, certo, ma anche una sfida: ci invita a pensare con la testa di un autore che non si è mai arreso alla superficialità dei discorsi dominanti.Poi che io non sia riuscito a coglierne intimità, emozioni e e logica è un altro paio di maniche.


