domenica 15 giugno 2025

Milazzo e Tindari

 


Dopo una notte di festeggiamenti degna di un film di Kusturica con regia siciliana, ci svegliamo tardi ma non troppo. L’aria è calda, il corpo stanco, ma la Sicilia chiama.
E quando chiama, si risponde.

Dedichiamo la giornata alla scoperta di Milazzo, che è molto più di un punto di partenza per le Eolie. È una città che sa di storia, di mare e di storie raccontate con accento stretto e occhi lucidi. Ci si perde nei vicoli che risalgono verso l’alto, tra case addossate e viste mozzafiato sul Tirreno.

Arriviamo al Castello di Milazzo, una delle fortificazioni più grandi della Sicilia, costruita in epoca normanna ma con tracce arabe, sveve, spagnole e borboniche incastonate nei suoi bastioni. Oggi è un sito museale, tra torri, bastioni e scorci teatrali sul golfo. Ma la vera sorpresa è l’incontro con Nino Pracanica, che scopriamo essere l’ultimo “kuntastorie”: voce, corpo e anima di una tradizione orale che resiste con orgoglio alla fine dei tempi.
Lo ascoltiamo rapiti, tra pupi, maschere, cunti e gesti, come bambini cresciuti che hanno finalmente trovato un nonno narratore.

Nel pomeriggio risaliamo in macchina direzione Tindari, e da lì prendiamo una barca per Punta Marinello, dove la natura si è divertita a disegnare lingue di sabbia, lagune mobili e acque trasparenti sotto una falesia spettacolare.
Sotto il sole implacabile ci abbrustoliamo come arancini lasciati al sole, facendo un bagno ogni due minuti per non scioglierci come granite al limone.

Ma la bellezza non è finita. Salendo al santuario di Tindari, visitiamo la basilica dedicata alla Madonna Nera, legata a leggende di pellegrini increduli e miracoli silenziosi. La statua bizantina della Madonna, scura come la notte africana, è uno di quei simboli che raccontano una Sicilia più antica del tempo e più potente delle parole.

Rientriamo a Milazzo con la pelle salata, i pensieri leggeri e le foto nella testa. Una doccia rigenerante, un aperitivo meritato e una cena in centro chiudono una giornata che sa di vacanza vera, anche se noi — ricordiamolo — siamo qui per lavoro.

Album fotografico Milazzo e Tindari 

Matrimonio del Sepio a Milazzo

 


La mattina inizia col giusto spirito: zero fretta e tanta spiaggia. Ci piazziamo sul litorale di Ponente, dove l’acqua è così limpida che ci si vede dentro anche la pigrizia, e i piccoli ciottoli fanno da idromassaggio naturale ai piedi stanchi del giorno prima.

Rilassati e abbronzati, ci dedichiamo a un pranzo sobrio solo nel nome, perché il mitico pane cunzato (con pomodoro, tonno , mozzarella , olio, capperi, cipolla e divinità locale) è un pasto che ti fa venir voglia di baciare la panettiera e chiederle di sposarti tu.

Ma il matrimonio vero è quello di Matteo ed Erika, che alle 16:30 iniziano la loro avventura a due, sotto il sole cocente e gli occhi lucidi di amici e parenti.
Auguri sinceri e affettuosi a loro: che la vita vi sia leggera e appassionata come questo pomeriggio d’estate.

Dopo la messa (già in modalità tropicale), ci caricano su una navetta diretta al Paradiso. Letteralmente: la location si chiama così, e il nome non mente.
Aperitivi a non finire, vino che scorre come le conversazioni, piatti raffinati, balli sfrenati, cori da stadio, brindisi e abbracci.

La notte si chiude con le scarpe in mano, il sorriso in faccia e il sudore nei vestiti. Felici, stanchi, un po’ ubriachi… ma in fondo, è per questo che si viene in Sicilia. Anche quando dici che è per lavoro.


Album fotografico Milazzo e matrimonio del Sepio 


venerdì 13 giugno 2025

Arrivo a Milazzo passando da Castelmola

 


Chiariamolo subito: questo non è un viaggio di piacere. È un impegno professionale. Un viaggio di lavoro. Di quelli seri, col vestito nel bagagliaio, la cravatta a portata di mano e l’obbligo morale di brindare almeno tre volte.
Motivo della missione? Il matrimonio del mio collega e amico Sepio, in Sicilia. Luogo scelto: Milazzo.
Compagno di trasferta: Wolf. Io, ovviamente, sono Puma.
Team rodato, macchina no.

Decolliamo da Pisa e atterriamo a Catania, dove ci aspetta un’auto noleggiata che sembra aver già visto l’Etna da troppo vicino. Ma va bene così: i freni rispondono, il motore c’è, le gomme… fischiano.
E io, da bravo Puma, gliele faccio fischiare volentieri mentre affrontiamo i tornanti che ci portano verso Castelmola, un borgo appollaiato sopra Taormina come un vecchio saggio con vista sul mare.

Castelmola è poesia urbana in salsa sicula: strade di pietra, terrazze panoramiche, silenzi che sanno di vento e limone. Ci fermiamo per un pranzo improvvisato: crostini con specialità locali che non distinguiamo bene, ma divoriamo con convinzione. Poi granita. O forse prima. L’ordine è stato un concetto flessibile.

Nota di colore: da questa tappa in poi abbiamo deciso di parlare in inglese. La cameriera inclusa, che ci guarda con un sorriso pieno di pietà e ci serve tutto lo stesso. L’idea è che almeno così evitiamo sorprese (spoiler: no).

Scendiamo poi verso Isola Bella, che bella lo è davvero, anche se di isola ha più il nome che la sostanza. Troviamo un posteggio solo dopo aver contrattato — senza successo — con un parcheggiatore non ufficiale apparso dal nulla, come una side quest mal riuscita in un videogioco open-world.

Ma finalmente spiaggia, sole e un po’ di meritato ozio.

Nel tardo pomeriggio ci rimettiamo in marcia verso Milazzo. Arriviamo giusto in tempo per sistemarci, cambiarci e concederci una passeggiata lungo il lungomare orientale, quello dove l’aria sa di salsedine e gelato.

Aperitivo al tramonto, cena ovviamente di pesce fresco (sennò che siamo venuti a fare?), poi incontro con lo sposo, che fingiamo di rassicurare mentre scherziamo sul giorno dopo, quello in cui tutto cambia, magari per il meglio.

Domani ci aspetta la cerimonia, ma per oggi… brindisi, mare e un’Italia che quando vuole, ti sistema l’anima con un piatto semplice e un panorama epico.

Album fotografico Da Castelmola a Milazzo 

giovedì 12 giugno 2025

Aggiornamento Oxygenos 14.0.0.1901 (EX01V80P01)

 

Aggiornamento OxygenOS V80P01 – Note sonore e segreti meglio custoditi

Installato oggi l’aggiornamento V80P01(BRB1GDPR) da 171 MB.
Nessun fuoco d’artificio, ma qualche aggiunta interessante che sembra fatta apposta per chi usa il telefono come archivio segreto e come diario personale con le orecchie.

Ecco le novità che meritano due righe (giuste):

Protezione dati privati

  • Ora puoi cercare i file dentro la Protezione dati privati.
    Tradotto: puoi finalmente trovare i tuoi segreti senza scavare come un archeologo digitale.

Note

  • Le tabelle ora supportano il Rich Text: grassetto, corsivo e altre finezze tipografiche da piccolo editore postmoderno.
  • Puoi trascinare file audio o video direttamente nella nota e cambiarne la posizione. Per chi scrive e ascolta sé stesso.
  • Puoi salvare file audio/video condividendoli direttamente con Note.
  • E puoi aggiungerli da Fotocamera, Galleria o archivio. In pratica: le Note diventano podcast minimalisti.

Sistema

  • Immancabile “Migliora la stabilità”. Ormai una presenza fissa. Non toglie, non aggiunge, ma ti fa sentire che il sistema è ancora in terapia di mantenimento.

Niente rivoluzioni, ma un altro passo nella direzione di un telefono che prende appunti anche coi suoni.
Forse il prossimo aggiornamento ci permetterà di disegnare odori o di archiviare sogni. Ma per ora va bene così.

Alla prossima build, sempre su VER.



mercoledì 11 giugno 2025

Poker Face (2022)

 
Regia: Russell Crowe
Anno: 2022
Titolo originale: Poker Face
Voto e recensione: 4/10
Pagina di IMDB (5.2)
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Ci sono film che provano a fare i furbi. Che mettono sul tavolo un cast importante, una location di lusso, un pizzico di tensione, e sperano che lo spettatore non si accorga che, alla fine, la mano che stanno giocando è vuota.

Poker Face è uno di quei film. Un bluff. Una partita truccata dove nessuno vince, nemmeno chi guarda.

Alla regia e nel ruolo del protagonista c’è Russell Crowe, che sembra uscito da un’altra epoca, più gonfio che intenso, che si ritaglia un personaggio da miliardario eccentrico, mezzo collezionista, mezzo hacker, mezzo filosofo.
Organizza una partita a poker con i suoi vecchi amici d’infanzia, dentro una villa blindata. E fin qui, poteva essere interessante: un thriller da camera con sotto una partita psicologica alla Slevin o Cena con delitto.
Ma Poker Face non sa che film vuole essere.

C'è il dramma esistenziale, c'è il mistero, c'è il thriller, c'è l'action, c'è persino una parentesi simil pandemica e una rapina in piena regia. Tanta, troppa carne al fuoco... per un piatto che sa di poco.
Ogni volta che sembra voler dire qualcosa – sul tempo, sulla vendetta, sull’amicizia tradita – cambia tono, cambia ritmo, cambia idea. E alla fine, come un giocatore insicuro, folda tutto.

I personaggi sono appena abbozzati, i dialoghi sembrano usciti da un B-movie che aspira alla profondità di un TED Talk, e la regia – pur elegante qua e là – si perde nel tentativo di sembrare più sofisticata di quanto sia.

Crowe sembra voler fare tutto: scrivere, dirigere, recitare e filosofeggiare. Ma forse avrebbe fatto meglio a scegliere una sola cosa e farla bene.

In sintesi: Poker Face è un film che si crede un asso, ma è solo un due di picche.
E quando alzi il piatto, scopri che sotto non c’era niente.



martedì 10 giugno 2025

The Accountant 2 (2025)

 
Regia: Gavin O'Connor
Anno: 2025
Titolo originale: The Accountant 2
Voto e recensione: 4/10
Pagina di IMDB (6.8)
Pagina di I Check Movies
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Il primo The Accountant, uscito nel 2016, era una sorpresa: un action asciutto, quasi autistico (in tutti i sensi), che mescolava contabilità, botte da orbi e matematica da thriller con una formula tanto assurda quanto funzionale. Un John Wick dal cuore nerd, col volto inespressivo e granitico di Ben Affleck. Funzionava proprio perché non si prendeva troppo sul serio. O forse sì, ma noi ridevamo lo stesso.

Nove anni dopo, arriva il sequel. Più rumoroso, più lungo, meno ispirato. Insomma, più di tutto ma con meno anima. Ma del resto... bisogna accountentarsi.
Sì, la battuta è tremenda, ma non peggio della sceneggiatura.

Affleck torna nei panni di Christian Wolff, il contabile/autistico/assassino/supereroe di bilancio. Questa volta si muove in un complotto più grosso, con più spari e più personaggi che sembrano usciti da una serie di Netflix annacquata.
Il problema? È tutto troppo posticcio: le dinamiche familiari sembrano infilate a forza, i villain sono di cartapesta e le scene d’azione, pur ben coreografate, non hanno la stessa secchezza chirurgica del primo film.

Certo, qualche momento funziona. Affleck fa ancora il suo dovere, Jon Bernthal regge bene il ruolo da fratello con i nervi scoperti, e qua e là il film prova a ragionare su temi come la diversità, la vendetta e la moralità grigia. Ma tutto resta in superficie, come se i conti non tornassero mai fino in fondo.

È un sequel che segue il manuale del “facciamo più grande ma non meglio”. Non è una tragedia, ma nemmeno un’operazione riuscita. Se il primo era un B-movie d’élite, questo è un C-movie con ambizioni da blockbuster.

Per gli amanti del personaggio, ci può anche stare. Per tutti gli altri, è un reminder: quando un film nasce dal nulla e funziona, forse conviene non chiedere troppo.
E in ogni caso, come dicevamo prima… bisogna accountentarsi.


lunedì 9 giugno 2025

CIE vs SPID

 

Negli ultimi anni lo SPID è stato il nostro lasciapassare digitale per tutto: prenotare una visita medica, accedere all’Agenzia delle Entrate, firmare documenti, controllare il fascicolo sanitario, e via dicendo. Per chi, come me, ha sempre usato quello gratuito delle Poste (comodo, veloce, legato al telefono e con app ben fatta), arriva però una notizia poco rassicurante: molti fornitori di SPID inizieranno presto a far pagare il servizio.

Niente di scandaloso, per carità — mantenere identità digitali costa. Ma intanto qualcuno ha già alzato il sopracciglio: “E io? Devo pagare anche per entrare sul sito dell’INPS a vedere quanto mi restano da campare?”. Spoiler: no, non devi pagare. Basta riscoprire un oggetto misterioso che già possiedi: la tua Carta d’Identità Elettronica. O richiederne una se già non la possiedi. 


CIE: la sconosciuta (fino a ieri)

Sì, quella carta rigida con il chip, che ti è arrivata per posta dopo un po' attesa in Comune e mille firme. La CIE (Carta d’Identità Elettronica) non è solo un documento, ma è anche una chiave digitale altrettanto valida dello SPID per accedere a tutti i servizi della pubblica amministrazione. E la cosa bella è che non la gestisce un fornitore privato, ma il Ministero dell’Interno. Quindi niente costi a sorpresa, niente app da scaricare da provider esterni (qui il link per avere quelle ufficiali per il proprio smartphone), niente scadenze annuali da ricordare.


Ma quindi… qual è la differenza tra SPID e CIE?

Ecco un mini-riassunto utile anche alla zia:

Caratteristica SPID (Poste o altri) CIE (Carta d’identità elettronica)
Come si usa Username + password + app/OTP App CieID + NFC + PIN
Chi la fornisce Provider privati (Poste, Aruba…) Ministero dell’Interno
Costo Gratis, ma diventerà a pagamento per alcuni Nessun costo extra
Sicurezza Alta, ma dipende dal livello scelto Altissima (chiave crittografica)
Comodità Molto semplice da usare Un po’ più macchinosa, ma sicura
Serve la carta fisica? No Sì (e il telefono deve avere NFC)

Ok, voglio usare la CIE: come si fa?

1. Controlla di avere i codici PIN e PUK

Quando hai richiesto la CIE, ti hanno dato due pezzi di carta: uno con i primi 4 numeri del PIN e uno con gli ultimi 4, insieme al codice PUK. Se li hai persi (ehi, capita!), basta andare in Comune con la CIE in mano e farsi ristampare gratuitamente i codici. Niente appuntamento, solo un po’ di pazienza.

2. Scarica l’app CieID

L’app ufficiale è disponibile per Android e iPhone. Serve per:

  • registrare la tua CIE sul telefono,
  • abilitare gli accessi ai siti pubblici (tipo INPS, Agenzia Entrate, fascicolo sanitario…),
  • gestire notifiche e sicurezza.

⚠️ Il tuo telefono deve avere il chip NFC attivo. Se non lo ha, puoi usare un lettore NFC esterno via USB sul computer.

3. Accedi ai portali pubblici

Vai su un sito della PA (es. www.inps.it, www.anpr.gov.it, ecc.) → clicca su “Accedi con CIE” → avvicina la carta al telefono → digita il PIN → sei dentro.

Se invece con la app si è registrato il proprio dispositivo come gestore della propria CIE non servirà averla fisicamente con s'. Basta generare un codice o consentire l'accesso tramite impronta digitale e funzionerà in maniera del tetto simile allo SPID 


Considerazioni finali (a metà tra lo sfogo e il consiglio)

Usare la CIE è leggermente più macchinoso dello SPID (non se registri il dispositivo con la tua carta elettronica), ma ha due enormi vantaggi:

  • è tua, personale, statale, senza fornitori terzi;
  • non rischia di diventare a pagamento, almeno per ora.

Per questo ho deciso di iniziare a usarla. Lo SPID lo tengo attivo finché regge, ma preferisco non dipendere da un’app che da un giorno all’altro ti chiede 12 euro l’anno solo per vedere la giacenza media sul sito del comune.


In sintesi:

La CIE è un’alternativa valida, sicura e gratuita allo SPID. Serve solo un po’ di pazienza per attivarla. Ma poi fa tutto, e non ti chiede niente in cambio (a parte non buttarla in lavatrice).

Se vuoi iniziare, scarica l’app CieID, recupera il PIN (se l’hai perso) e preparati a riappropriarti della tua identità digitale… statale.



domenica 8 giugno 2025

Fuori (2025)

 
Regia: Mario Martone
Anno: 2025
Titolo originale: Fuori
Voto e recensione: 3/10
Pagina di IMDB
Pagina di I Check Movies


Andare al cinema nel 2025 è un po’ come camminare scalzi su un pavimento di Lego: lo fai con la speranza che vada tutto bene, ma sai già che farai male. La domanda non è più "sarà bello?" ma piuttosto "quanto mi farà incazzare?".

Fuori, per quanto si sforzi di dire qualcosa, resta bloccato fuori dalla porta della buona narrazione. La trama – che parte già sfilacciata – viene ulteriormente sabotata da un montaggio caotico, infarcito di flashback improvvisi e confusionari, soprattutto nella prima mezz’ora, quando stai ancora cercando di capire chi è chi e perché ti dovrebbe interessare. Spoiler: non ci riesci.

Elodie, solitamente sinonimo di sensualità sul palco (quasi più che di voce), qui è inspiegabilmente castigata. Pure nella scena della doccia – che dovrebbe far salire almeno mezzo grado alla temperatura narrativa – ci si ritrova con una figurina Panini più che con un’attrice. Scelta registica? Censura preventiva? Budget per il vapore troppo alto? Chissà. Il risultato è un personaggio piatto, che non lascia traccia né cuore.

Per fortuna c’è Matilda De Angelis, che salva quel che può nei dialoghi. Il problema è che spesso non si capiscono proprio bene le parole: che sia un mix audio raffazzonato o l’ennesima moda del sussurro à la serie Netflix, poco cambia. Se ti trovi a leggere le labbra più che ad ascoltare, forse stai guardando il film sbagliato.

Nel complesso, Fuori è uno di quei film che ti fa venire voglia di restare dentro casa, con un libro o un vecchio DVD. Un’esperienza più confusa che coinvolgente, con qualche spunto sprecato e troppe promesse non mantenute. La Golino dal canto suo riesce a dare spessore alla protagonista, ma è proprio il racconto della sua storia che secondo me non ci sta affatto.

sabato 7 giugno 2025

Kage Baker - L'Imperatrice Di Marte

L'imperatrice di Marte 
Autore: Kage Baker
Anno: 2003
Titolo originale: The Empress Of Mars
Pagine: 117 
Voto e recensione: 2/5
Acquista su Amazon 
 
Libro e quarta di copertina:
 Mary Griffith, con tre figlie e una vita personale piuttosto movimentata si trasferisce su Marte dove è stata assunta come biologa da una multinazionale. Purtroppo dopo cinque anni viene licenziata e si trova senza lavoro e senza il denaro per pagarsi il ritorno sulla Terra. Il pianeta è un luogo inospitale, ma mantiene diverse comunità di umani, tra le quali la Federazione Celtica che coltiva l'esigua porzione di suolo marziano bonificata. Sono loro a offrire una via d'uscita a Mary, dandole la materia prima perché la donna possa realizzare della birra e con essa aprire il locale "La Principessa di Marte" attorno al quale si raccolgono personaggi di vario genere che daranno a Mary la possibilità di sviluppare una vera e propria città, libera dai vincoli della multinazionale che controlla ogni attività del pianeta, nella quale avrà origine una società nuova e vitale.
 
Commento personale e recensione:
Ci sono libri che, pur essendo brevi, riescono a sembrare eterni. “L’Imperatrice di Marte” di Kage Baker rientra perfettamente nella categoria. Un romanzo (o meglio, una novella stiracchiata) che, nonostante le dimensioni contenute, mi ha fatto desiderare un’uscita d’emergenza su Marte, magari senza tuta pressurizzata.

Pubblicato nel 2007 grazie a Delos, ma con l’aria di qualcosa uscito da una fiera del libro del ’76, questo racconto è il classico esempio di “nonostante tutto… no”. Nonostante sia ambientato su Marte, con colonie, birrerie improvvisate e monache spaziali, non c’è nulla che riesca davvero a catturare. Nonostante voglia essere ironico, graffiante, pieno di personaggi sopra le righe, l’effetto è più simile a quello di una cena andata male: tutto ti rimane lì, indigesto.

La protagonista, Mary Griffith, ex dipendente della corporazione diventata ostessa marziana con annesso pub (che dovrebbe essere l’anima del racconto), è un personaggio che poteva essere carismatico. Poteva. Perché invece è immerso in descrizioni stanche, dialoghi scoloriti e un umorismo che arranca. Alcune scene sembrano scritte con l’idea che tanto i lettori capiscono la parodia, ma purtroppo non basta strizzare l’occhio per far ridere.

Nonostante il contesto sia dichiaratamente fantascientifico, lo stile e le dinamiche sembrano prese di peso da un western polveroso e impolverato, senza però la forza di un vero mash-up o la coerenza di un omaggio. Sembra di leggere una fan fiction di Firefly, ma senza il carisma della ciurma, senza i colpi di scena, senza… energia. E sì, senza il resto

Insomma, L’Imperatrice di Marte è uno di quei titoli che ti attraggono con la promessa di leggerezza intelligente e che invece ti mollano lì con l’ennesima battuta che non fa ridere e un mondo che non ti interessa. Un racconto che – paradossalmente – riesce a sembrare troppo breve e troppo lungo allo stesso tempo.

Se volete andare su Marte, fatelo pure. Ma portatevi un altro libro.


giovedì 5 giugno 2025

Kaefuys maschera da snorkeling

 
Dopo la grande CAMTOA che non è semplice da portare in viaggi lunghi (vedi Grecia in aereo) per via dello spazio, mi sono adoperato con una dalle dimensioni più contenute e la possibilità di non usare il boccaglio.

Chi mi conosce sa che al mare non sto mai fermo: o scarpino per sentieri costieri o vado a vedere cosa si muove sotto o (e lo considero movimento) viaggio con la mente leggendo un libro E quest’anno mi sono regalato una nuova maschera da snorkeling, di quelle con snorkel a secco staccabile e vetro temperato rinforzato, sperando in un mix tra comodità e prestazioni. Ecco com’è andata.

Cose buone : – Il boccaglio è ergonomico e soprattutto asciutto: anche se ti immergi di colpo, l’acqua non entra come in quelle robe economiche che poi ti fanno tossire per mezz’ora. Inoltre si può non usare.
– Il silicone è morbido, davvero comodo sul viso, non segna, non dà fastidio neanche dopo un’ora e non ho avuto infiltrazioni nemmeno a fare l’idiota tra le onde.
– La visione a 180° è un bel plus: se sotto c’è un pesce, lo vedi. Se c’è un riccio, pure (evitato per miracolo). Nessuna distorsione, niente effetto occhiali da saldatore.
– Il vetro temperato fa il suo, dà una sensazione di solidità che in acqua fa piacere. Non si appanna facilmente e regge bene qualche urto accidentale. Inoltre so mezzo ciecato e avere tanto spazio di visione è comodo.

Cose migliorabili:
– Non è una maschera da apnea profonda o da immersioni tecniche: perfetta per snorkeling tranquillo e costiero, ma non pensare di affrontarci l’Isola dei Famosi.
– Occhio alle misure se hai una testa “importante”: per me vestiva bene, ma magari chi ha il viso più largo potrebbe dover regolare a lungo le fibbie (comunque comode).

Conclusione:
Per il prezzo che ha, è una gran bella compagna di avventure marine. Comoda, solida, asciutta. 

LINK per l'acquisto 

mercoledì 4 giugno 2025

Evanescence - Fallen



 Autore: Evanescence
Anno: 2003
Tracce: 11
Formato: CD 
Acquista su Amazon

Non è stato il mio primo incontro con il rock femminile, né il mio primo tuffo nelle acque del gothic mainstream. Ma Fallen degli Evanescence, ascoltato quando la scena metal/alternativa era un cocktail di nu-metal e derive post-grunge, è riuscito a distinguersi con un'eleganza tutta sua. Una specie di tragedia adolescenziale in abito da sera, con Amy Lee che declama il suo dolore in una cattedrale piena di eco digitale.

Di solito non mi faccio prendere troppo dal clamore mediatico, ma con Bring Me to Life, semplicemente non si poteva sfuggire. Era ovunque: radio, TV, soundtrack (ricordi Daredevil?). E a modo suo, funzionava: la combinazione tra la voce classica di Amy e il rap-rock alla Linkin Park sembrava strana, ma si incastrava. E poi il piano. Sempre quel piano, che rendeva tutto più drammatico, come se anche un “ciao” sussurrato potesse spezzarti l’anima.

Ma Fallen è molto più di una hit radiofonica. È pieno di brani che si appiccicano addosso: Going Under e Everybody’s Fool colpiscono con riff pesanti ma melodici, mentre My Immortal è quella ballata che puoi fingere di non amare… fino a quando non ti ritrovi a canticchiarla senza volerlo. Amy Lee qui fa tutto: canta, suona, dirige l’atmosfera. E va detto: la produzione, per quanto lucidissima, riesce a mantenere un'aura dark senza scivolare nel kitsch.

Certo, col senno di poi alcuni testi suonano fin troppo adolescenziali, e l’estetica gotica è quella che oggi definiremmo “mall goth” — ma sai cosa? Va bene così. Era il suo tempo, e lo ha rappresentato alla perfezione. E poi, se hai vent’anni e un cuore in frantumi, questo disco è la colonna sonora perfetta.

Io l’ho ascoltato parecchio più tardi rispetto al suo boom, con quell’approccio curioso di chi va a recuperare un classico pop-metal solo per capire “di cosa si trattasse davvero”. E l’ho capito. Non era solo marketing, c’era una voce sincera in mezzo a tanta scenografia. E oggi, mentre molti album dello stesso periodo sono invecchiati male, Fallen regge. Non dico che sia il capolavoro assoluto del genere, ma è sicuramente una delle sue pietre miliari più accessibili.


Tracklist (edizione standard CD):

  1. Going Under
  2. Bring Me to Life
  3. Everybody’s Fool
  4. My Immortal
  5. Haunted
  6. Tourniquet
  7. Imaginary
  8. Taking Over Me
  9. Hello
  10. My Last Breath
  11. Whisper

The Night Of - Cos'è Successo Quella Notte?

 
Anno: 2016
Titolo originale: The Night Of
Numero episodi: 8
Stagione: 1

Mi sono approcciato a The Night Of con una certa curiosità ma senza aspettative esagerate anche se ci sono capitato dopo aver visto un reel entusiasta di uno sconosciuto. Lo ammetto: pensavo fosse l’ennesima miniserie HBO ben confezionata, con il classico impianto crime in stile americano – avvocati brillanti, indagini zoppicanti, e qualche colpo di scena prevedibile. E invece, sorpresa: questa serie mi ha fregato. In senso buono.

Al centro c’è il giovane Nasir "Naz" Khan, interpretato con notevole intensità da Riz Ahmed, un ragazzo pakistano-americano che si ritrova invischiato in un omicidio che sembra uscito da un incubo. La serie ci porta in un’odissea giudiziaria e umana in cui la presunzione d’innocenza viene accartocciata e buttata nel cestino, in nome di una verità da costruire a tavolino. Ma il vero colpo da maestro? John Turturro.

Sì, lui. L’avvocato John Stone, scalcagnato, allergico al mondo (letteralmente: soffre di eczema ai piedi), che si trascina tra le aule di tribunale e i marciapiedi di New York come un Don Chisciotte del codice penale. È l’anima della serie. Il suo personaggio, scritto e recitato con una malinconia e un’ironia quasi dolorosa, riesce a rubare la scena in ogni inquadratura, anche quando parla con un gatto. Anzi, soprattutto quando parla con un gatto.

La narrazione è lenta ma non noiosa, chirurgica nel costruire tensione e disagio. Ogni episodio scava più a fondo nel sistema giudiziario, nella psiche dei protagonisti e nella zona grigia della verità. The Night Of non ti dà risposte facili. Ti fa dubitare, ti fa arrabbiare, ti fa guardare il mondo con quel sospetto che solo una buona serie può insinuarti addosso.

Ci sono momenti in cui sembra quasi voler diventare una riflessione sociopolitica (razza, classe, giustizia), ma riesce a non diventare mai didascalica. Resta prima di tutto un noir urbano: sporco, opprimente, quasi claustrofobico. Anche quando sei fuori dal carcere, l’aria non è mai davvero pulita.

Conclusione? The Night Of è una miniserie che ti prende alla gola senza bisogno di urlare. Il ritmo è più da romanzo che da serie binge-friendly, ma proprio per questo resta impressa. Un piccolo gioiello nel mare magnum delle crime-series, in cui ogni dettaglio (persino una camicia sbagliata) può farti crollare.



lunedì 2 giugno 2025

San Leo, Pennabilli e ancora San Marino

 


 


Oggi la sveglia è stata più umana. Il programma era meno fisico ma decisamente più denso di storia, magia e poesia. Prima tappa: San Leo, che già dal nome sa di cavallo bianco e cronache medievali. Un borgo incastonato su un enorme sperone di roccia calcarea, che domina la Valmarecchia come un’aquila in posa. Arrivarci è un po’ come fare ingresso in un dipinto del Romanticismo: strade strette, silenzio irreale, e la fortezza lassù, che ti guarda da secoli come se stesse valutando se lasciarti entrare.

Ed è proprio quella fortezza, oggi museo, a custodire una delle storie più affascinanti e inquietanti d’Italia: la prigionia e la morte del Conte di Cagliostro. Alchimista, truffatore, guaritore, iniziato e massone – ma aveva anche dei difetti – fu imprigionato qui nel 1791 per volere dell’Inquisizione. Morì quattro anni dopo, consumato dall’isolamento e, forse, dai suoi stessi segreti. La sua cella, il famoso “pozzetto”, è ancora lì: claustrofobica, gelida, muta. Ma non priva di una certa inquietudine vibrante. E tu, mentre sbirci dentro, ti chiedi se stia ancora recitando l’ultima formula.

Lasciata San Leo con le ossa ancora tiepide di sole, mi sono diretto a Pennabilli, piccolo gioiello appenninico e terra adottiva di Tonino Guerra. Il poeta, sceneggiatore e artista ha disseminato il borgo di installazioni, frasi, spazi sospesi e un vero e proprio museo a cielo aperto  che si esplora come una caccia al tesoro dell’anima.

Tra l’orto dei frutti dimenticati, la meridiana dell’incontro, l’angelo coi baffi e i luoghi dell’anima, Pennabilli ti obbliga a rallentare. A guardare le cose con occhi diversi. A fermarti davanti a una pietra su cui è scritto “Gianni, l'ottimismo è il profumo della vita”. E capire che non serve molto altro. In realtà non c'è quella frase da nessuna parte, ma sarebbe stato ganzo visto che è stata ideata da lui. 

Il caldo bestiale di questi giorni non ha fatto sconti, ma oggi almeno c’era vento. E per chi cammina (o si perde tra i pensieri), fa tutta la differenza del mondo. Tra le tante piccole cose fatte a Pennabilli, ho anche suonato la campana tibetana gigante, detta Campana Chasa . Un gesto simbolico che secondo alcuni porta bene, secondo altri fa semplicemente vibrare qualcosa dentro. In ogni caso, l’ho fatto. E ho espresso che nella mia prossima avventura io possa incontrare uno stegosauro. Non so dove, né come, ma non ha importanza.

Il pomeriggio è stato lungo e polveroso, ma la serata l’ho dedicata di nuovo a San Marino, approfittando delle ore più fresche e del fascino notturno che il borgo regala con generosità. Un ritorno, sì, ma con uno sguardo diverso. Come spesso accade: quando torni in un posto dopo averlo vissuto davvero, non lo guardi più con gli stessi occhi.

E anche oggi, tra storia, vento e poesia, ho fatto il pieno di stimoli. E un po’ di magia.


domenica 1 giugno 2025

Grande Anello di San Marino

 

Penultimo giorno del weekend e, come da programma, si parte all’alba (quasi) per il trekking più completo che sono riuscito a scovare su Wikiloc. Venti chilometri, oltre mille metri di dislivello positivo, e un circuito che incrocia diversi tratti del Cammino del Titano (o Cammino di San Marino, a seconda delle fonti), in particolare i sentieri 1 e 2, con deviazioni benedette anche da qualche cartello della Via di San Francesco.

Partenza da Acquaviva, zona tranquilla e ancora addormentata. Pronti-via e mi trovo subito davanti al Sacello del Santo Marino, una piccola cappella incastonata nella roccia che segna, secondo tradizione, il luogo in cui tutto è cominciato. C’è anche la targa a ricordare quella famosa data – 301 d.C., sì, mitica quanto simbolica – in cui San Marino fondò la comunità che avrebbe poi dato origine alla Repubblica più longeva del mondo. Un inizio suggestivo, intimo, quasi spirituale. Ma poi la salita chiama, e tocca rispondere.

Lungo il percorso, complice la voglia di esplorare, apporto qualche modifica alla traccia originale e scelgo di passare per due vecchie gallerie pedonali, che un tempo erano parte del tracciato ferroviario Rimini–San Marino, attivo fino al 1944. Dopo i bombardamenti della guerra, la linea non è mai stata riaperta, ma le gallerie sono state recuperate e oggi si attraversano a piedi con un certo gusto retrò.

Arrivo sorprendentemente presto in centro, quando San Marino è ancora semi deserta, i bar ancora chiusi, i vicoli avvolti da un silenzio irreale. Alle 8:15 sono già davanti alla Prima Torre, e mi viene quasi da ridere: mi aspettavo di metterci molto di più. Così rallento. Faccio colazione con vista, mi godo l’attesa dell’apertura e decido di cominciare dalla Seconda Torre (Cesta), che domina ancora più in alto, dove il vento non scherza mai.

Con il biglietto cumulativo visito più spot, mi concedo un po’ di sana contemplazione turistica e poi – zaino in spalla – riprendo l’anello, che fino a quel momento avevo sottovalutato.

Da lì in poi il percorso si fa tosto e variegato: salite, discese, tratti attrezzati con corde e cavi, niente di difficile con il terreno asciutto, ma chiaro che con la pioggia servirebbero eccome. Passo per il Sentiero della Rupe, spettacolare e a tratti a strapiombo, poi la grotta-santuario della Tanaccia, luogo di culto scavato nella pietra, che ha quel misto di mistero e misticismo che ti spinge a rallentare.

Attraverso due fossi da guadare – il Mazzucchetto e il Montecchio – l’acqua è poca, ma comunque dà gusto. Seguo il Sentiero dei Mulini Canepa, tra vecchi ruderi e fresche radure, e chiudo il cerchio attraversando alcuni campi assolati, dove ogni passo sembra prosciugarti la schiena.

Arrivo a fine anello sudato, cotto, ma soddisfatto. Un trekking completo, più duro del previsto per 40 gradi percepiti , ma con paesaggi sorprendenti, una varietà di ambienti continua e un senso di libertà assoluta. San Marino non è solo torri, targhe e souvenir: è anche boschi, creste, storia viva che si intreccia con i sentieri.

Ed è proprio questa miscela – tra leggenda, roccia e gambe che faticano – che rende tutto memorabile.


Album fotografico Grande Anello di San Marino