martedì 28 ottobre 2025

A Conspiracy Of Faith - Il Messaggio Nella Bottiglia (2016)

 
Regia: Hans Petter Moland
Anno: 2016
Titolo originale: Flaskepost Fra P
Voto e recensione: 5/10
Pagina di IMDB (7.0)
Pagina di I Check Movies 
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Con Il messaggio in bottiglia chiudo finalmente il cerchio del Dipartimento Q. E anche se ho pagato per vederlo su Prime Video, posso dire che ne è valsa la pena: completare la serie aveva ormai un senso quasi “rituale”. Detto questo, pur restando un thriller solido e ben girato, è quello che mi ha convinto meno tra i quattro.

La storia parte in modo intrigante, come sempre: una lettera scritta con sangue, ritrovata dentro una bottiglia dopo anni, arriva sulle scrivanie di Carl Mørck e Assad. L’indagine li trascina in un incubo che coinvolge sette religiose, bambini rapiti e famiglie che preferiscono tacere piuttosto che affrontare la verità. Il potenziale c’è tutto, ma questa volta la trama sembra faticare a trovare un equilibrio tra il mistero, la tensione e la credibilità.

Non è che manchi l’atmosfera – quella è sempre impeccabile: il grigiore danese, i silenzi carichi, il contrasto tra la freddezza visiva e la rabbia emotiva. Ma la costruzione del caso e il modo in cui si risolve mi sono sembrati un po’ troppo forzati, come se si volesse a tutti i costi spingere sull’emozione e sul dramma, perdendo però un po’ della solidità narrativa che aveva reso Battuta di caccia e Paziente 64 così incisivi.

Carl e Assad restano, come sempre, il cuore pulsante del film. Il loro rapporto è ormai maturo, fatto di sguardi e battute secche più che di parole. Ma anche loro, qui, sembrano intrappolati in una storia che li costringe a correre più del necessario, perdendo un po’ di quella profondità umana che li caratterizza.

Nonostante tutto, Il messaggio in bottiglia rimane un buon thriller, con momenti di vera tensione e un finale comunque d’effetto. Solo che, arrivati a questo punto, il confronto con gli altri capitoli diventa inevitabile: meno crudo di Battuta di caccia, meno potente di Paziente 64 e meno preciso del primo film.


lunedì 27 ottobre 2025

The Absent One - Battuta Di Caccia (2014)

 
Regia: Mikkel Norgaard
Anno: 2014
Titolo originale: Fasandræberne
Pagina di IMDB (7.1)
Pagina di I check Movies
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Terzo appuntamento (per me, in ordine sparso) con il Dipartimento Q, e terzo centro. Battuta di caccia conferma che questa saga danese ha qualcosa che manca a gran parte dei thriller contemporanei: sostanza. Qui non c’è solo il mistero da risolvere, ma un’umanità ferita, piena di zone grigie e di rancori che ribollono sotto la superficie.

Il film parte da un vecchio caso di omicidio archiviato: due ragazzi brutalmente assassinati negli anni ’90, con un colpevole già condannato. Ma come sempre Carl Mørck e Assad non si fidano delle versioni ufficiali, e scavando tirano fuori un verminaio di corruzione, privilegi e crudeltà. Quello che sembrava un semplice caso di violenza giovanile diventa un viaggio allucinato nel lato più oscuro dell’élite danese: scuole di un certo livello, giochi di potere, sadismo travestito da tradizione.

È un film che non risparmia niente e nessuno: crudo, violento, a tratti disturbante, ma mai gratuito. La regia di Mikkel Nørgaard gioca su contrasti forti – ambienti eleganti e atti bestiali, freddezza visiva e tensione emotiva – e il risultato è una pellicola che non lascia tregua.

Carl Mørck è sempre più un uomo spezzato, chiuso nella sua rabbia e nella sua ossessione, mentre Assad cerca di tenerlo a galla con la sua calma e la sua empatia. È la loro dinamica – lo scontro tra ombra e luce – a rendere tutto più credibile, e più umano. Anche quando la violenza esplode, quello che ti resta è la sensazione di avere assistito a una storia che parla del male reale, quello che nasce dall’arroganza e dall’impunità.

Intrigante, cupo e diretto come un pugno, Battuta di caccia consolida la serie come una delle migliori saghe thriller europee degli ultimi anni. Non ha bisogno di effetti, né di twist forzati: bastano i volti, i silenzi e quella tensione costante che ti accompagna fino ai titoli di coda.

 

domenica 26 ottobre 2025

Ka Voi ed il castello di Lari

 

Gitarella semplice ma azzeccatissima oggi: siamo andati a pranzo da Ka Voi, un posto che definire “trash” è limitante. È volutamente sopra le righe, pieno di dettagli goliardici e di un’ironia che non si prende mai sul serio. E proprio per questo funziona: ti ritrovi a ridere, a guardarti intorno incuriosito, e alla fine ti godi davvero l’esperienza.

Ammetto che avevo un dubbio: temevo che tutta questa scenografia potesse servire solo a distrarre da un menù mediocre. Invece no. Il cibo, pur semplice e da trattoria verace, è risultato genuino, ben fatto e con prodotti buoni. Insomma, non è solo fumo e lucine demodè: ci si alza da tavola sazi e soddisfatti, con la sensazione di aver vissuto qualcosa di diverso.

Dopo pranzo, visto che eravamo in zona, abbiamo fatto una passeggiata fino a Lari, un borgo minuscolo ma incantevole, arrampicato su una collina e dominato dal Castello dei Vicari. È una fortezza medievale ben conservata, famosa anche per le sue prigioni e per la vista panoramica che spazia tra le colline pisane. Dentro, oltre alle sale visitabili, oggi c’era pure un piccolo spettacolo teatrale, che ha reso l’atmosfera ancora più viva e curiosa — un modo intelligente per tenere il castello “abitato” e non ridurlo a semplice museo.

Nel complesso una giornata leggera ma piena, tra risate, buon cibo e un pizzico di storia locale. Di quelle gite che ti fanno tornare a casa con il sorriso e la voglia di rifarle presto.

Album fotografico Pranzo da Ka Voi

Album fotografico Lari 


Carl Mørck - 87 Minuti Per Non Morire (2013)

 
Regia: Mikkel Norgaard
Anno: 2013
Titolo originale: Kvinden I Buret
Voto e recensione: 6/10
Pagina di IMDB (7.2)
Pagina di I Check Movies
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Dopo Paziente 64, non potevo non tornare alle origini. E così mi sono sparato Carl Mørck: 87 minuti per morire, primo capitolo della saga del Dipartimento Q, disponibile su Prime Video. Stessi personaggi, stessi attori (Nikolaj Lie Kaas e Fares Fares, coppia ormai rodata), ma qui tutto ha l’energia e la freschezza dell’inizio: la presentazione dei protagonisti, la nascita della loro collaborazione, il tono ancora più ruvido e meno “costruito”.

Il film parte da una premessa semplice, ma subito inquietante: una giovane donna scompare nel nulla, apparentemente suicida. Caso archiviato. Ma Carl Mørck, ispettore testardo e disilluso, non ci sta. Relegato in uno scantinato a gestire casi chiusi – il famigerato “Dipartimento Q” – comincia a scavare con l’aiuto di Assad, l’assistente che tutti sottovalutano ma che è la sua perfetta metà investigativa.

La storia si muove tra il poliziesco classico e il thriller psicologico, con un crescendo di tensione che non molla mai la presa. Il bello è che, pur seguendo certe dinamiche da “caccia all’uomo”, il film riesce a evitare la banalità grazie a una regia essenziale, ma precisa, e a una scrittura che non svende mai i personaggi al genere. Tutto resta credibile, realistico, e proprio per questo disturbante.

C’è un senso costante di claustrofobia, sia fisica che morale: i sotterranei, le stanze chiuse, le ossessioni dei protagonisti. Eppure, dentro quel buio, la coppia Mørck-Assad comincia a funzionare: due uomini diversissimi che imparano a fidarsi l’uno dell’altro, anche senza dirlo mai apertamente.

87 minuti per morire (titolo italiano un po’ fuorviante, perché non c’è un vero countdown) è il classico esempio di come si costruisce un thriller senza fronzoli, ma con un’anima. Ti prende, ti inquieta e alla fine ti lascia con la voglia di vedere il prossimo.


sabato 25 ottobre 2025

I Check Movies #2700

E' passato quasi un anno dall'ultimo riassuntone che avviene su VER ogni 100 film recensiti, quindi visti. Oltre all'ultimo abbiamo anche #2500, #2400, #2300, #2200, #2100, #2000, #1900 ,#1800, #1700, #1600 e #1500. Ecco quindi anche l'andamento degli awards e le statistiche:

 

Checked: 2700 (+100)
Rank: 4004  (- 100)
Awards: 39 (+3)
 
Bronzo (+3):
  1. Bronzo su ICheckMovies 's 2010s Top 100
  2. Bronzo su ICheckMovies 's 1990s Top 100 
  3. Bronzo su Taschen's 100 All-Time Favorite Movies 
  4. Bronzo su ASC's 100 Mileston Films in Cinematography of the 20th Century 
  5. Bronzo su BBC's The 21st Centuryst's 100 Greatest Films
  6. Bronzo su Time Out's The 100 Best Thrillers 
  7. Bronzo su Rotten Tomotaoes Top 100 
  8. Bronzo su 2010s 
  9. Bronzo su FOK! top 250 
  10. Bronzo su  Total The 100 Greatest Sci-Fi Movies 
  11. Bronzo su Top 250  
  12. Bronzo su AFI's 100 years... 100 thrills 
  13. Bronzo su 1970s 
  14. Bronzo su AFI's 100 years... 100 movies 
  15. Bronzo su Horror 
  16. Bronzo su A.V. Club's The Best Movies of the 2000s  
  17. Bronzo su Fantasy 
  18. Bronzo su Animation 
  19. Bronzo su Commedy 
  20. Bronzo su 1980s 
  21. Bronzo su Empire's the 500 Greatest Movies of All Time 
  22. Bronzo su Action   
  23. Bronzo su Family 
  24. Bronzo su BFI's 100 Science Fiction Films 
  25. Bronzo su Biography 
 Argento:  
  1. Argento su iCheckMovies - Most Checked
  2. Argento su MovieSense 101 
  3. Argento su 2000s 
  4. Argento su Independent 
  5. Argento su Reddit top 250 
  6. Argento su 1990s
  7. Argento su Crime 
  8. Argento su Adventure
  9. Argento su Thriller 
  10. Argento su Mystery  
  11. Argento su Empire's Greatest Sequels 
  12. Argento su Drama   
Oro:
  1. Oro su FilmTotaal top 100 
  2. Oro su Sci-Fi
     

Per ottenere le medaglie il funzionamento è il seguente
Bronzo: 50% dei titoli in una lista
Argento: 75% dei titoli in una lista
Oro: 90% dei titoli in una lista
Platino: 100% dei titoli in una lista
Ed è da considerare il fatto che i film inseriti nelle liste possono variare nel corso del tempo.

Paziente 64 - Il Giallo Dell'Isola Dimenticata (2018)

 
Regia: Christoffer Boe
Anno: 2018
Titolo originale: Journal 64
Voto e recensione: 6/10
Pagina di IMDB (7.4)
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A volte i thriller nordici riescono a fare quello che Hollywood, quando non ha budget elevati,  tenta e spesso fallisce: tenerti incollato non tanto per il colpo di scena, ma per il modo in cui ci arrivi. Paziente 64 è uno di quei casi. Ultimo (?) film della serie tratta dai romanzi di Jussi Adler-Olsen, dedicata ai casi del Dipartimento Q, è in realtà il primo che ho visto. E mi ha preso di brutto.

La trama si apre con un ritrovamento macabro: dietro un muro, vengono scoperti tre corpi mummificati seduti attorno a un tavolo, con un quarto posto vuoto. Un inizio da giallo classico, ma il film si sposta presto su terreni più scivolosi, toccando questioni sociali e morali che affondano le radici nella storia danese. Senza spoilerare troppo, diciamo solo che si parla di istituti per “donne difficili”, sterilizzazioni forzate e segreti che qualcuno vorrebbe tenere ben sepolti.

Il bello è che Paziente 64 non si limita alla tensione da thriller: costruisce un’atmosfera densa, fredda, quasi opprimente, in cui il duo investigativo Carl Mørck e Assad funziona perfettamente. Carl, burbero e ossessionato, e Assad, più umano e razionale, sono il cuore di tutto: due uomini feriti che cercano giustizia, ma anche un senso. E questa dimensione umana – molto più che i soliti cliché da giallo – è ciò che rende la pellicola più profonda di quanto sembri all’inizio.

Tecnicamente è girato con grande mestiere: fotografia cupa ma elegante, ritmo calibrato, colonna sonora che non invade mai ma accompagna con precisione chirurgica. Non c’è mai bisogno di effetti o forzature: il film ti porta dentro lentamente, ma con presa ferma, come una trappola che si chiude.

Ne esci con quella sensazione tipica dei migliori noir scandinavi: soddisfatto, ma anche un po’ scosso. Talmente soddisfatto che ora voglio assolutamente recuperare i film precedenti della saga  perché se il livello è anche solo vicino a questo, vale la maratona completa.

Un thriller che colpisce più per come è raccontato che per la storia in sé, ma quando le due cose si incontrano, il risultato è solido, maturo e decisamente appagante.


Deep Cover - Attori Sotto Copertura (2025)

 
Regia: Tom Kinglsey
Anno: 2025
Titolo originale: Deep Cover
Voto e recensione: 4/10
Pagina di IMDB (6.7)
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Ci sono cascato come un pollo. Stavo guardando un reel su Facebook — sì, uno di quei video infidi con le recensioni lampo — e mi sono fatto abbindolare dalla solita frase a effetto: “sembra una commedia leggera e stupida, ma è molto di più”.
Ebbene no. Non è “molto di più”. È esattamente quella cosa lì: una commediola con agenti sotto copertura, gag forzate e colpi di scena già visti mille volte, che si prende pure troppo sul serio per quello che offre.

Gli attori fanno il loro compitino, la regia è piatta come una puntata di metà stagione di una serie anni ’90, e il tono “finto cool” finisce per risultare solo stonato.
Insomma: se cercate un film di spionaggio o azione travestito da commedia intelligente, lasciate perdere.
Se invece volete spegnere il cervello e ridere (forse) di qualcosa di prevedibile, allora sì — è proprio il vostro film.


Amore Senza Confini (2003)

 
Regia: Martin Campbell
Anno: 2003
Titolo originale: Beyond Borders
Voto e recensione: 5/10
Pagina di IMDB (6.4)
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Film:

Non male, anche se non osa in maniera esagerata. Beyond Borders (2003) di Martin Campbell mette al centro ONG, aiuti umanitari e volontariato in condizioni estreme, mostrando allo stesso tempo le crepe del sistema: compromessi, corruzione, giochi politici e ipocrisie varie. È un film che vuole denunciare e commuovere, ma lo fa con un tocco un po’ troppo patinato per il tema che affronta.

Angelina Jolie interpreta la volontaria idealista che decide di seguire un medico ribelle (Clive Owen) nei luoghi più martoriati del pianeta: Etiopia, Cambogia, Cecenia. Sullo sfondo, il classico intreccio sentimentale tra due persone divise da visioni del mondo diverse, ma inevitabilmente attratte l’una dall’altra.

Il messaggio arriva, anche se con un certo didascalismo hollywoodiano. Non scava davvero nel lato oscuro dell’aiuto umanitario, ma ne offre comunque un assaggio realistico, soprattutto quando mostra la burocrazia, il cinismo dei finanziatori e la fatica di chi cerca di fare del bene in un contesto dove spesso il bene non basta.

In sintesi: un film onesto, più emozionale che politico, con qualche momento autentico e una bella fotografia. Peccato non affondi il colpo.

Nota finale: rivedendo il film oggi, si percepisce come la tematica sia ancora attuale — e quanto poco sia cambiato nei meccanismi dell’assistenza internazionale.

Edizione: bluray
Versione in bluray non di facile reperibilità con titolo originale  e sottotitolo italiano in copertina. La traccia audio è in Dolby Digital TrueHD, curioso il titolo errato di un extra "dietro le quintO" che comunque sono:
  •  2 trailer
  • dietro le quinte (7 minuti)
  • Interviste (9 minuti) 

giovedì 23 ottobre 2025

Aggiornamento Oxygenos 14.0.0.1901 (EX01V120P02)

 

Ad esattamente un mese dall’ultimo update, OnePlus rilascia un nuovo aggiornamento per il suo 9 Pro, confermando la consueta attenzione nel mantenere i propri dispositivi costantemente aggiornati. La versione V120P02 (BRB1GDPR) introduce alcune migliorie legate alla protezione dei dati privati, consentendo ora di sbloccare più file contemporaneamente e di ritrovarli automaticamente nelle loro posizioni originali, semplificando la gestione dei contenuti personali.

Nulla di rivoluzionario, ma si tratta di un ulteriore passo nella direzione della cura del dettaglio e della stabilità del sistema, che viene ancora una volta migliorata.

Interessante il fatto che OnePlus continui a rilasciare update regolari anche su un modello non più di primo pelo come il 9 Pro: una buona notizia per chi considera la longevità del software un parametro importante nella scelta di uno smartphone.

In un periodo in cui molti brand si “dimenticano” dei loro vecchi top di gamma, OnePlus sembra voler ribadire il contrario: aggiornare spesso è ancora un segno di rispetto per l’utente.




mercoledì 22 ottobre 2025

Real Madrid 1 - Juventus 0

 
Perdere fa sempre male anche quando sai che l'avversario è più forte. Questo percorso in Champions non è certo iniziato bene con soli due punti in tre gare, e secondo me serve a poco esaltarsi per aver "tenuto botta" o esserci andati vicini. Al di là di alcune occasioni non concretizzate a dovere, ci siamo andati pure lontani! Sicuramente meglio di altre prestazioni, ma il risultato ci dà zero punti, che sono pochi per rientrare nei primi ventiquattro. Speriamo nelle prossime, se non possiamo sperare nel Real. 

Play Dirty - Triplo Gioco (2025)

 
Regia: Shane Black
Anno: 2025
Titolo originale: Play Dirty
Voto e recensione: 5/10
Pagina di IMDB (5.9)
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Un action che vorrebbe fare il furbo… ma inciampa nei suoi stessi trucchi.

Play Dirty è uno di quei film d’azione che all’inizio sembrano promettere fuoco e fiamme — ritmo alto, protagonista carismatico e tante sparatorie. Poi però, man mano che la trama si srotola, ci si accorge che qualcosa non gira proprio benissimo.

Il personaggio di Parker è innegabilmente la carta vincente: spigoloso, ironico, con quel fascino da antieroe che ti trascina dentro anche quando la storia fa acqua. Ed è proprio questo a salvare in parte il film: ti ritrovi a seguirlo quasi tuo malgrado, curioso di vedere fino a che punto si spingerà.

Il problema è che attorno a lui tutto il resto scricchiola. La pellicola dà la sensazione di essere un sequel mancato — probabilmente perché Parker nasce da una lunga serie di romanzi e qui ti sbattono in mezzo al suo mondo senza troppi preamboli. Non è che serva per forza un prologo epico, ma un minimo di contesto non avrebbe guastato.

Altra nota dolente: il tono. In certi momenti Play Dirty sembra quasi voler virare verso la commedia action, con battute tirate per i capelli e scene volutamente esagerate. Un pizzico di leggerezza va bene, ma qui si oltrepassa quel confine sottile in cui lo “scanzonato” diventa “stonato”.

E poi… la CGI. Le sequenze spettacolari ci sono — inseguimenti, incidenti, sparatorie coreografate — ma l’effetto è un po’ troppo “plasticoso”. Tutto troppo pulito, troppo artificiale, come se stessi guardando un videogioco invece di un film.

Punti a favore? Le morti improvvise. Alcuni personaggi escono di scena in maniera brutale e inaspettata, e questa imprevedibilità aggiunge un minimo di tensione che il resto della sceneggiatura non riesce a sostenere da sola. Play Dirty è un action che vorrebbe essere spavaldo e divertente, ma finisce per sembrare un patchwork di buone idee non ben cucite. Parker brilla, ma tutto il resto gli ruota attorno con poca convinzione.


📚 Nota finale: Parker non è un personaggio nato per il cinema: proviene da una fortunata serie di romanzi noir scritti da Donald E. Westlake sotto lo pseudonimo di Richard Stark, a partire dagli anni Sessanta. È un ladro professionista freddo, metodico e spietato, protagonista di oltre venti libri. Non stupisce quindi la sensazione, guardando Play Dirty, di entrare in una storia già iniziata molto prima dei titoli di testa.


 

lunedì 20 ottobre 2025

Dal Tramonto All'Alba 3 - La Figlia Del Boia (1999)

 
Regia: P.J. Pesce
Anno: 1999
Titolo originale: From Dusk Till Dawn 3: The Hangman's Daughter 
Voto e recensione: 3/10
Pagina di IMDB (4.8)
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Film:
 Dal tramonto all’alba 3 – The Hangman’s Daughter è esattamente quello che temevo: un prequel stanco e senz’anima che cerca disperatamente di aggrapparsi all’eredità dell’originale, ma non riesce mai a trovarne lo spirito. Se il secondo capitolo almeno aveva avuto la decenza di buttarsi a capofitto nello splatter ignorante e di farlo con una certa energia, questo terzo film fa un passo indietro su tutta la linea. Ambientato nel Far West, prova a dare un’origine mitologica al locale Titty Twister e ai vampiri, ma lo fa senza passione, senza ritmo e — cosa ancora più grave — senza divertimento.

L’idea di spostare l’azione nell’Ottocento poteva anche essere interessante: un horror-western non è di per sé un’eresia, anzi, ha un suo fascino. Il problema è che qui non funziona nulla. I dialoghi sono piatti, scolastici, recitati senza convinzione. L’ambientazione è sfruttata male, ridotta a qualche scenografia polverosa e cavalli buttati lì per ricordarti che sei nel passato. Non c’è tensione, non c’è ironia, non c’è quella brillantezza pulp che aveva reso il primo film un piccolo gioiello anarchico. Qui tutto è prevedibile fin dall’inizio, e quel colpo di scena che dovrebbe far esplodere la parte vampiresca arriva come una formalità burocratica: ti aspetti che succeda, succede, e ti lascia assolutamente indifferente.

Anche la struttura è una copia sbiadita dell’originale: prima parte più “realistica”, seconda parte con i vampiri. Solo che, se nel ’96 quell’idea era un colpo di scena geniale e dirompente, ormai qui è solo una barzelletta raccontata per la terza volta, senza verve e senza la minima sorpresa. L’effetto “wow” si è perso per strada già dal secondo film, e questo terzo non fa altro che scavare la fossa un po’ più profonda. Persino i vampiri sembrano svogliati: non c’è sangue, non c’è splatter, non c’è cattiveria. Sono quasi decorativi, come se dovessero esserci per contratto.

Il film si prende pure sul serio, e questa è forse la cosa più fastidiosa. Dove il primo giocava con l’assurdo e il secondo almeno si divertiva a esagerare, questo terzo prova a darsi un tono da “storia d’origine”, ma senza avere né la scrittura né l’atmosfera per sostenerlo. Ne esce un western spento con qualche mostriciattolo buttato lì a metà. E quando mancano sia i dialoghi intelligenti sia le scene truculente, resta davvero poco da salvare.

Non c’è ironia, non c’è coraggio, non c’è personalità. Dal tramonto all’alba 3 è uno di quei sequel-prequel che si dimenticano già durante i titoli di coda. Un esercizio pigro di riempimento per tenere in vita un marchio, ma senza il minimo amore per il materiale originale. Un film che vorrebbe spiegarti da dove viene tutto, ma finisce solo per farti rimpiangere di aver voluto saperlo.

Edizione: DVD
Normalissima versione con traccia italiana in DD multicanale rimasterizzata, e nessun extra 

domenica 19 ottobre 2025

Jack Vance - Fuga Da Tschai

Fuga da Tschai 
Autore: Jack Vance
Anno: 1970
Titolo originale: The Pnume 
Voto e recensione: 4/5
Pagine:  144
Acquista su Amazon 
 

Trama del libro e quarta di copertina:

Se la superficie di Tschai pullula di razze e civiltà diversissime, il vero enigma del pianeta sta nel sottosuolo. Adam Reith, che ha percorso in lungo e in largo continenti e oceani, che ha superato, con la forza o con l'astuzia, tutti i pericoli concepibili, e che si crede ormai vicinissimo all'astronave della salvezza definitiva, s'accorge d'essere stato troppo ottimista. I suoi viaggi, le sue imprese, sono stati seguiti fin dal primo giorno da osservatori silenziosi e persistenti: e proprio quando la libertà gli sembra a portata di mano, precipiterà nel loro regno d'ombre, nel loro antichissimo, sussurrante labirinto di talpe, dove il tempo non si calcola a ore o a secoli, ma a centinaia di millenni. L'ultimo nemico di Adam Reith sarà il gelo immobile e indifferente di un immenso museo. 

Commento personale e recensione:

Quarto e ultimo volume della tetralogia di Tschai, Fuga da Tschai (The Pnume, 1970) è, sorprendentemente, il più riuscito della serie. Dopo l’altalena narrativa dei libri precedenti, questo capitolo riesce a coinvolgere pienamente, immergendo il lettore nelle profondità del pianeta e nella società sotterranea dei misteriosi Pnume.

Le descrizioni sociali e culturali sono tra le più affascinanti ideate da Vance: bizzarre, sì, ma non tanto distanti da certe rigidità e abitudini umane che diamo per scontate. Questo rovesciamento di prospettiva è uno dei punti di forza del romanzo, capace di mescolare meraviglia e sottile ironia antropologica.

Pur rimanendo un’opera più fantastica che scientifica — Vance non si è mai interessato a costruire un futuro tecnologicamente credibile — il libro è ricco di ritmo e avventura, con una narrazione che scorre veloce e tiene alta l’attenzione. Il finale arriva forse un po’ troppo in fretta, ma non ne sminuisce l’effetto complessivo.

Un lavoro sorprendente per coerenza interna e potenza immaginativa: chiudere il ciclo di Tschai con i Pnume significa entrare finalmente nel cuore più enigmatico di questo mondo alieno, e uscirne con la sensazione di aver assistito a un grande viaggio.


sabato 18 ottobre 2025

Madeira #8: ultimo saluto dai Miradouro

 

Ultima mattina a Madeira, con quella luce gentile che sa già di saluto. Prima di raggiungere il piccolo aeroporto Cristiano Ronaldo, faccio qualche deviazione per fermarmi ai miradouros sparsi lungo la costa. Sono balconi naturali sull’oceano, dove lo sguardo corre libero tra scogliere, altipiani e onde che si frangono lente. È un modo perfetto per chiudere il cerchio: nessuna corsa, solo il piacere di guardare e respirare ancora un po’ quest’isola che mi ha conquistato.

L’aeroporto è intitolato al suo figlio più celebre, Cristiano Ronaldo, ed è famoso anche per la sua pista spettacolare, costruita in parte su pilastri sopra l’oceano. È uno degli scali più particolari d’Europa, piccolo ma funzionale, e regala già dal terminal panorami che sembrano cartoline.

Ripenso ai giorni appena trascorsi: Madeira è stata un concentrato di trekking, paesaggi estremi e natura potente. Ho camminato tra levadas immerse nel verde, crinali avvolti nella nebbia, picchi al sorgere del sole e coste scoscese che sembrano scolpite a colpi di vento. Ogni giorno è stato diverso dal precedente, eppure coerente: sempre la natura al centro, sempre io con le scarpe infangate e il sorriso addosso.

Questa gita mi è piaciuta un sacco, forse proprio per la sua semplicità: solo io, i sentieri, e un’isola che si lascia scoprire passo dopo passo. Madeira è un paradiso per chi ama camminare — e io, qui, ci ho camminato benissimo. Obrigado. 

Album fotografico Madeira #8: ultimo saluto dai Miradouro 


venerdì 17 ottobre 2025

Madeira #7: Fanal, Banana Route e Funchal

 

La sveglia suona presto, troppo presto per i ritmi rilassati dell’isola, ma oggi la giornata chiama e io rispondo. Fuori è ancora buio, piove forte e una nebbia densa avvolge tutto come una coperta. La salita verso Fanal sembra non finire mai, chilometri di tracciati senza tornanti, dritti per dritti, e pendenze affrontate praticamente in prima e seconda. Ma questa è Madeira: un’isola verticale, dove ogni spostamento è una piccola avventura.

Arrivo al parcheggio quando l’alba è ancora un’idea lontana, e intorno a me ci sono solo pochi altri escursionisti infreddoliti che indossano l'antipioggia come fosse un talismano. Niente luce spettacolare oggi: la nebbia ha deciso di essere protagonista assoluta. E va bene così, perché Fanal nella nebbia è un luogo magico, quasi ultraterreno. Gli alberi centenari, i famosi “alberi spettrali”, emergono come figure antiche dal bianco ovattato, creando un paesaggio che sembra uscito da una fiaba gotica. 

La maggior parte dei visitatori si ferma qui, per qualche foto suggestiva e un breve giro, ma io continuo oltre e imbocco il PR14 – Levada dos Cedros, uno dei sentieri più belli e meno affollati dell’isola. Questo percorso segue in parte un’antica levada e attraversa una delle zone meglio conservate della foresta laurissilva, che giusto per ricordare a Funflus è Patrimonio Mondiale UNESCO. Il terreno è bagnato  e fangoso, la vegetazione grondante pioggia sembra quasi più viva, e il bosco — fitto, umido e profumato — mi avvolge completamente, proteggendomi persino dalla pioggia più battente.

La levada corre silenziosa, l’acqua scorre placida e il rumore della pioggia si mescola a quello del bosco. Il sentiero non è particolarmente impegnativo, ma ha un’atmosfera intensa: radici contorte, rami coperti di muschio, tronchi piegati dal tempo e nuvole basse che entrano ed escono come fumo. Ogni passo sembra portare più lontano dalla realtà e più vicino a qualcosa di antico.

Terminato il trekking, rimetto in moto e scendo verso la costa sud. Qui succede la magia di Madeira: in meno di un’ora passo dalla nebbia fitta e la pioggia a un cielo limpido e a un sole caldo, quasi estivo. Cambio d’atmosfera radicale, quasi fosse un altro giorno, un’altra isola.

La seconda passeggiata è molto diversa dalla prima: il Banana Route, un sentiero breve ma particolarissimo che attraversa le piantagioni di banane, una delle colture simbolo di Madeira. Basta prendere un piatto di pesce sciabola e te le ritrovi non solo come accompagnamento, ma come ingrediente principale. Le piante crescono fitte, verdi e rigogliose, e camminare in mezzo a questi bananeti è quasi ipnotico. Si passa tra viottoli, muretti a secco e terrazze agricole che raccontano un pezzo importante della storia contadina dell’isola.

L’odore delle foglie bagnate si mescola al sole che finalmente scalda, e questa piccola deviazione ha qualcosa di spensierato e leggero. È il perfetto contrappunto alla malinconica e mistica bellezza di Fanal.

Due trekking in un solo giorno, due climi completamente diversi, due volti opposti della stessa isola. È questa la magia di Madeira: può regalarti nebbia e foreste incantate la mattina, e un’estate tropicale nel pomeriggio. Pomeriggio diverso dal solito però visto che la sveglia presto mi ha permesso di avere un sacco di tempo a disposizione: un salto nel tempo al Museo della Fotografia – Atelier Vicente’s di Funchal. Nel cuore del centro storico, questo edificio conserva uno degli studi fotografici più antichi del Portogallo, attivo fin dal 1848.

Tra fondali dipinti, macchine d’epoca e un archivio sterminato di ritratti e paesaggi, si attraversano quasi due secoli di memoria visiva dell’isola. È incredibile vedere come Madeira sia stata raccontata prima ancora che arrivassero i turisti con gli smartphone.

La visita è breve ma intensa: un luogo perfetto per rallentare e scoprire un volto più intimo e storico di quest’isola. Un pomeriggio silenzioso, pieno di sguardi e storie congelate in un clic.

Ormai uomo del posto, integrato a Madeira, vado pure a farmi la barba. La tradizione continua. 

Album fotografico Madeira #7: Fanal, Banana Route e Funchal 


giovedì 16 ottobre 2025

Madeira #6: Levada do Rei e Vereda dos Balcoes

 








Giornata piena e splendida, una di quelle che ti rimangono addosso per la calma iniziale e il ritmo naturale che si crea strada facendo. Parto di buon’ora per il PR18 – Levada do Rei, quando ancora Madeira dorme e l’isola respira piano. Non trovo nessuno lungo il sentiero, e questa solitudine, complice il sole già alto ma ancora morbido, rende tutto ancora più magico. Dopo le piogge di ieri, la vegetazione è esplosa in ogni direzione: un tripudio di verde acceso, umido e brillante. L’acqua scorre ovunque, i tronchi sono coperti di muschio, e l’aria profuma di bosco bagnato. La levada corre stretta tra pareti rocciose e vegetazione rigogliosa, attraversando ponticelli e brevi tratti scavati nella roccia, con scorci che sembrano dipinti.

La Levada do Rei è una delle più famose dell’isola, e non è difficile capire perché: segue un percorso storico costruito per portare acqua dalle zone più piovose del nord verso i campi coltivati della costa. Camminarci accanto dà quasi la sensazione di attraversare un giardino botanico a cielo aperto, ma naturale e selvaggio. È un itinerario abbastanza semplice, ma il paesaggio è talmente bello che ci si dimentica di tutto il resto.

Al ritorno incontro finalmente qualche escursionista, segno che la giornata è iniziata davvero per tutti, ma ormai la mia “fetta di paradiso solitario” me la sono già goduta.

Finito questo trekking, riprendo l’auto e costeggio ancora la costa, fermandomi qua e là a guardare l’oceano da qualche miradouro improvvisato. Madeira ha quella capacità rara di sorprenderti anche quando non stai facendo nulla di particolare: basta guidare e alzare gli occhi per restare a bocca aperta.

Il secondo trekking della giornata è il PR11 – Vereda dos Balcões, un sentiero breve e molto semplice, ma panoramicamente spettacolare. Parcheggio più lontano per allungarlo un po’, perché dopo il PR18 ho ancora gambe e voglia di camminare. La foresta laurissilva, Patrimonio dell’Umanità, avvolge tutto: è un bosco antico, umido, che regala quella sensazione di essere in un luogo protetto e quasi sospeso nel tempo. Il belvedere finale apre su una vista che lascia senza fiato: una finestra naturale sulle montagne centrali dell’isola, con i picchi di Arieiro e Ruivo spesso incappucciati dalle nuvole.

Essendo facile e breve, qui la folla è inevitabile: turisti di ogni tipo, da chi sembra appena sceso da un sentiero di montagna a chi passeggia in infradito o con ballerine luccicanti. L’effetto è surreale e divertente, e contribuisce a dare a questo luogo un’aria un po’ da passeggiata domenicale più che da trekking. Per inciso: ad alcuni li butterei di sotto, ma senza rancore. 

Per tornare alla macchina mi concedo anche una piccola avventura extra: il mio primo autostop madeirense. Vengo caricato da un signore gentile che mi riporta al parcheggio con un sorriso e qualche chiacchiera spezzata tra portoghese, inglese e gesti.

Al rientro a Funchal, ad accogliermi c’è una fitta nebbia persistente che sembra quasi voler spegnere i colori della giornata, ma ormai ho addosso la luce del mattino e le montagne, quindi va bene così. Un’altra giornata esemplare: silenziosa quando serviva, viva quando serviva, intensa sempre.

mercoledì 15 ottobre 2025

Madeira #5: Levadas da 25 Fontes, Pico Ruivo e Santana

 

Oggi è stata la classica giornata da mettere in copertina di un diario di viaggio… ma sotto la categoria “bagnati come pulcini”. La pioggia, quella vera, è arrivata puntuale e decisa, avvolgendo Madeira in una nebbia fitta che dava al paesaggio un’aria quasi nordica. Eppure, proprio queste giornate sono quelle che sanno regalare sensazioni particolari: più silenziose, più autentiche, più “isola”.

Il primo trekking del giorno è stato alla Levada das 25 Fontes, uno dei percorsi più famosi e frequentati di Madeira. Ed è facile capire perché. Anche sotto la pioggia — anzi, forse soprattutto sotto la pioggia — la vegetazione esplode di vita. La foresta laurisilva, Patrimonio UNESCO, diventa un tunnel verdeggiante e saturo d’acqua, con muschi che brillano, felci che sembrano respirare e l’acqua che scorre ovunque.

Il sentiero è un continuo saliscendi dolce, ma l’umidità e il fango lo trasformano in un’avventura da fare con passo attento. Arrivare al bacino finale, quello che dà nome al percorso, è come entrare in una piccola cattedrale naturale: l’acqua scende in decine di rivoli sottili dalle pareti rocciose, come fili argentati sospesi nel vuoto. A questo punto ero talmente zuppo che passare direttamente sotto la cascata non avrebbe fatto differenza, anzi: forse mi sarei bagnato di meno. Poco distante, la deviazione per la Cascata do Risco regala un altro spettacolo, con un salto d’acqua più potente che si staglia nel grigio della giornata. Lì la pioggia e la cascata sembravano fondersi, diventando un’unica colonna d’acqua che cadeva con forza e grazia allo stesso tempo.

Dopo questo bagno completo e involontario, ho deciso di fare quello che molti considererebbero un controsenso: montare in macchina e girare tutta l’isola. Ma è stata una scelta azzeccata. La strada costiera e quella che attraversa l’interno regalano una Madeira diversa, più selvaggia e meno turistica. Ho costeggiato la zona dell’isolotto di Janela, con la sua costa frastagliata e le onde che si infrangono impetuose, e attraversato valli profondissime e montagne che si tuffano dritte nell’oceano, uno spettacolo che la pioggia rende ancora più drammatico. Gli altopiani mi accolgono con un paesaggio quasi scozzese: nebbia bassa, vento, prati ondulati e mucche che camminano pacifiche sulla strada, completamente indifferenti al traffico e alla pioggia. Un colpo d’occhio surreale e bellissimo.

Quando arrivo ad Achada do Teixeira, la base per il trekking PR 1.2 verso il Pico Ruivo, la pioggia finalmente smette. Il cielo resta grigio e mutevole, ma non si può avere tutto. Questo tratto è completamente diverso dalle levadas: una salita graduale che porta al punto più alto dell’isola, attraverso creste e versanti battuti dal vento. Le nuvole oggi giocano a rincorrersi, coprendo e scoprendo a tratti i panorami. Quando si aprono, il colpo d’occhio è spettacolare: si vedono le montagne sfilare a perdita d’occhio e, più in basso, l’oceano che sembra respirare insieme all’isola. Quando invece si richiudono, il sentiero diventa intimo, quasi sospeso. È come camminare dentro una bolla.

La stanchezza, dopo due trekking e un giro intero dell’isola, potrebbe farsi sentire. Invece no. Sulla via del ritorno decido di fermarmi ancora, a Santana, il paese famoso per le sue casette tradizionali con il tetto di paglia. Sembrano uscite da una fiaba: piccole, triangolari, dai colori vivaci, con porte rosse e cornici bianche. Un tempo erano abitazioni contadine, costruite così per resistere al clima umido e al vento dell’isola. Oggi molte sono state restaurate e conservate, diventando uno dei simboli più riconoscibili di Madeira. Passeggiare tra queste case è un salto indietro nel tempo, un contrasto dolce con la modernità dei centri costieri.

Rientro a Funchal con i vestiti ancora umidi ma con la testa piena di immagini. La pioggia, le cascate, la costa frastagliata, le nuvole sul Ruivo, le case di Santana. Oggi Madeira mi ha mostrato la sua versione più ruvida e affascinante, quella che non ha bisogno di giornate perfette per essere memorabile.

Album fotografico Madeira #5: Levadas da 25 Fontes, Pico Ruivo e Santana

martedì 14 ottobre 2025

Madeira #4: Pico do Arieiro e Levada do Caldeirao Verde

 

Oggi è stata una giornata da manuale del camminatore felice: sveglia prima dell’alba, trekking oktee le nuvole (1800 metri) , panorami che tolgono il fiato… e, come se non bastasse, un secondo sentiero immerso nella foresta più verde che si possa immaginare. Due facce opposte della stessa isola, percorse a poche ore di distanza.

La sveglia suona quando è ancora notte fonda. L’aria è fresca, silenziosa, e la mia torcia diventa la sola compagna nel parcheggio già pieno per un terzo del Pico do Arieiro. Fatto indiscutibile che l'isola è vissuta da persone con la mia stessa passione. È uno dei momenti più belli della giornata: camminare al buio, con il cielo che pian piano schiarisce, sapendo che là davanti sta per arrivare lo spettacolo.
La salita iniziale è breve, e in pochi minuti arrivo al Miradouro Ninho da Manta, uno dei balconi più spettacolari dell’isola. Alle mie spalle, le luci della costa dormono ancora. Davanti a me, l’oceano di nuvole che toccano quello vero, tipico di Madeira inizia a tingersi d’oro. L’alba di oggi è semplicemente perfetta: limpida, con il sole che sorge lentamente dietro le creste appuntite, colorando tutto di arancio e rosa. È uno di quei momenti che ripagano qualsiasi levataccia.

Il PR1 è attualmente interrotto nella sua interezza, quindi percorro il tratto aperto, un anello di circa 5 km A/R, passando per:

  • 📍 Miradouro Pedra Rija
  • 📍 Ninho da Manta
  • 📍 e un tratto panoramico verso le creste centrali dell’isola.

Il sentiero, pur breve, è semplicemente mozzafiato: tratti scavati nella roccia, gradoni a strapiombo e panorami che sembrano sospesi tra cielo e mare. È un’escursione perfetta per la mattina presto: cammini leggero, con poca gente e con la luce migliore della giornata.

Finito il trekking e rientrato alla macchina, è appena iniziata la mattina. Ho ancora tutta la giornata davanti e le gambe vogliono un’altra avventura. Così, senza troppe esitazioni, punto verso nord: PR9 – Levada do Caldeirão Verde.
Cambio totale di scenario: dall’alta montagna battuta dal vento al cuore umido e verdissimo della foresta laurisilva.

Il sentiero parte dal Parque das Queimadas, con la sua tipica casa in legno e tetto di paglia che sembra uscita da una fiaba. Da qui inizia un percorso ad anello di circa 13 km A/R, quasi completamente pianeggiante, che segue una delle levadas più affascinanti dell’isola.

La levada — antichi canali scavati per portare l’acqua dalle montagne ai campi — serpeggia tra pareti di roccia coperte di muschio, felci, liane e piante endemiche. Ogni metro è un’esplosione di verde, un tuffo dentro una foresta primordiale. Si attraversano quattro tunnel, stretti, bui e suggestivi: serve una torcia (quella dell’alba torna utile!), e ogni passaggio aggiunge un pizzico d’avventura al cammino.

Lungo il percorso ci sono punti scenografici come:

  • 📍 Cascada Fonte do Louro, piccola ma incastonata tra pareti verticali,
  • 📍 Puente sobre barranco, un ponte sospeso che regala una vista spettacolare sulla gola,
  • 📍 e infine Caldeirão Verde, la grande cascata finale: un getto d’acqua che cade da oltre 100 metri in un anfiteatro di roccia e vegetazione. Il suono dell’acqua, il fresco e la luce filtrata tra le foglie creano un’atmosfera quasi mistica.

👉 Info pratiche: il sentiero è lungo ma facile, senza dislivello significativo. Serve solo una buona torcia per i tunnel, scarpe con suola che tenga bene e abbigliamento leggero ma con qualcosa per coprirsi: in questa zona il microclima è umido e fresco anche nelle giornate di sole. Ho conosciuto anche due ragazzi italiani con cui ho condiviso tutto il viaggio di ritorno e con cui ci siamo scambiati dritte per le prossime escursioni. 

Rientro a Queimadas per niente stanco e felice: in un solo giorno ho camminato tra il cielo e la foresta, visto un’alba indimenticabile e ascoltato l’acqua scorrere lungo la levada più spettacolare di Madeira.
È proprio questo il bello di quest’isola: ogni sentiero racconta una storia diversa, e basta spostarsi di pochi chilometri per passare da panorami alpini a giungle subtropicali. Oggi è stata una lezione di geografia… fatta con gli scarponi ai piedi.

Album fotografico Madeira #4: Pico do Arieiro e Levada do Caldeirao Verde 


lunedì 13 ottobre 2025

Madeira #3: Ponta de São Lourenco

 

La giornata è iniziata con una piccola sorpresa automobilistica. Alla sede del noleggio mi aspettavo la classica utilitaria scelta per praticità e per le dimensioni “a misura di strada di montagna”. Invece mi consegnano una T-Roc, allo stesso prezzo. Per carità, un bell’upgrade, comoda e moderna… ma io, lo ammetto, con un’auto più piccola mi sento più agile, specialmente in certi tornanti portoghesi che sembrano progettati da un artista cubista. Fortuna vuole che a Madeira — almeno finora — le strade siano tenute in modo impeccabile: asfaltate bene, con segnaletica chiara e senza quella sensazione di abbandono che spesso si trova in zone remote. Così parto comunque contento, col mare a farmi compagnia e il cielo limpido che promette una gran giornata.

La destinazione è la Vereda da Ponta de São Lourenço, all’estremità orientale dell’isola. È uno dei luoghi più iconici di Madeira, e con il meteo perfetto e zero vento — evento non così frequente da queste parti — vale la pena anticiparlo ruse agli altri trekking e approfittarne subito. Parto poco prima delle 9:00 arrivato in meno di trenta minuti dall'aeroporto al parcheggio di Baía d’Abra, punto di partenza del sentiero.

Il percorso è uno dei più belli e panoramici di tutta Madeira sebbene probabilmente sia il più differente dagli altri: circa 8 chilometri tra andata e ritorno, con un dislivello leggero ma intermittente. A ogni curva si apre un nuovo scorcio: scogliere a picco sull’Atlantico, faraglioni appuntiti come lame e lingue di roccia che si insinuano nel mare turchese. Qui la vegetazione è completamente diversa dal resto dell’isola: niente foresta laurisilva, ma un paesaggio quasi lunare, arido e ventoso (di solito), con colori caldi che vanno dal rame al giallo. Oggi, con il sole alto e l’aria ferma, sembra di camminare dentro una cartolina.

Lungo la via mi fermo a più riprese a guardare il mare, e soprattutto a scattare foto — è impossibile non farlo. Quasi prima di intraprendere la salita finale, l'unica effettivamente più complicata per il terreno friabile e la pendenza più firte, lungo il sentiero c’è un piccolo punto ristoro perfetto per una sosta:  si arriva alla Casa do Sardinha.
Lo ho trovato aperto, ma non è detto che lo sia sempre infatti, precauzioni fondamentali per questo trekking: scarpe con buona aderenza, pile leggero e k-way nello zaino (il meteo qui può cambiare in fretta), acqua a volontà e qualcosa da sgranocchiare. Ombra praticamente inesistente, quindi cappellino e occhiali da sole. Seguitemi per altri scontati consigli. 

Una volta arrivato in fondo, mi godo il panorama su Ilhéu do Farol, l’isolotto con il faro, e sulla distesa blu dell’Atlantico. È uno di quei posti in cui il silenzio è interrotto solo dal vento (quassù c'è) e dal rumore del mare — una sensazione di confine geografico e insieme di libertà totale.

Sulla via del ritorno faccio una piccola deviazione per fermarmi a un miradouro panoramico, consigliato da molti viaggiatori. È uno di quei punti che regalano la vista su tutta la penisola e fanno capire davvero quanto Madeira sia un’isola di contrasti: qui, davanti a me, brullo e roccioso; alle mie spalle, verde e rigoglioso.

Rientrando a Funchal con la T-Roc (che nel frattempo ho iniziato quasi ad apprezzare), ho quella piacevole stanchezza da camminata ben fatta. Ponta de São Lourenço è perfetta per un primo approccio all’isola: facile, spettacolare e capace di far capire in poche ore perché Madeira è considerata un paradiso per i camminatori.

Non domo passo parte dell'assolato pomeriggio ancora tra le viuzze di Funchal che mi prende sempre di più. Non può mancare una visita venerativa al Museo di Cristiano Ronaldo, personaggio sportivo più unico che raro, che nasce e cresce proprio sull'isola. Ho tempo anche per salire sulla torre della Cattedrale da cui si vede una bella porzione della città. Veramente tutto stupendo. 

Album fotografico Madeira #3: Ponta de São Lourenco 

Album fotografico Madeira #3: ancora Funchal 


domenica 12 ottobre 2025

Madeira #2: a giro per Funchal

 

Oggi la giornata è iniziata con un risveglio “umano”, niente levatacce da escursionista d’alta quota. A Madeira, a metà ottobre, l’alba arriva dopo le otto: un lusso per chi ama viaggiare ma non vuole sembrare un reduce da una maratona all’alba. Una colazione tranquilla (2,05€) e poi via, a godermi Funchal con la calma di chi sa che ha davanti una giornata bella piena.

Il centro storico di Funchal si presta perfettamente a una passeggiata lenta. È raccolto, vivo e sorprendentemente elegante. Mi perdo tra le viuzze acciottolate, i palazzi con le maioliche e i caffè che profumano di caffè tostato e pastel de nata. Uno dei punti forti è la celebre Rua de Santa Maria, la via delle porte dipinte: un intero dedalo di ingressi trasformati in tele da artisti locali e internazionali. Ogni porta racconta una storia diversa, spesso surreale, ironica o poetica. È un museo a cielo aperto e camminarci in mezzo dà l’impressione di sfogliare un libro illustrato.

A metà mattina, cambio scenario: mi aspetta l’oceano. Ho prenotato un’escursione in catamarano per l’avvistamento dei cetacei, una delle attività più iconiche dell’isola. Le acque che circondano Madeira fanno parte del Santuario dei Mammiferi Marini della Macaronesia, un’area protetta che tutela balene, delfini e altre specie marine. Non è raro incontrare gruppi di stenelle che saltano accanto alla prua, oppure intravedere una pinna di balenottera o di capodoglio in lontananza. Oggi la sorte è stata dalla mia: un branco (una masnada?) di delfini curiosi si sono avvicinati, regalando quel misto di stupore e leggerezza che solo l’oceano riesce a dare. Il vento sul viso, il sole alto e la scia bianca lasciata dal catamarano hanno completato la scena. Poco troio?

Rientrato in porto, ho cambiato completamente prospettiva: dal mare al cielo. Mi sono diretto verso la stazione della Teleférico do Funchal, che in circa quindici minuti sale dolcemente fino a Monte, offrendo una vista spettacolare sui tetti rossi della città e sull’oceano. Da lassù inizia la seconda parte della giornata: la visita ai giardini tropicale e botanico, due luoghi che da soli valgono un pomeriggio intero.

Il Giardino Tropicale Monte Palace è un universo parallelo: laghetti, cascate, statue orientali e una vegetazione così lussureggiante da sembrare quasi artificiale — ma è tutta natura. Qui convivono piante provenienti da Africa, Asia e America del Sud, insieme a una collezione di azulejos e sculture che raccontano la storia coloniale portoghese. Camminare tra le sue terrazze è un viaggio dentro il verde, con scorci panoramici che si aprono all’improvviso sull’oceano sottostante.

Per scendere, prendo la seconda funivia, quella che collega Monte al Jardim Botânico, sospesa su un pendio ricoperto di terrazze e vigneti. Il giardino botanico è più “scientifico”, meno scenografico ma altrettanto affascinante: qui si trova una delle più importanti collezioni di piante endemiche di Madeira, insieme a cactus, palme e specie rare provenienti da tutto il mondo. I vialetti geometrici e le aiuole disegnano un mosaico di forme e colori, con la città e il mare a fare da sfondo.

Quando rientro a Funchal è ormai pomeriggio inoltrato ma il tramonto è tardivo. È stata una giornata intensa, ma non frenetica: mare, montagna, arte, natura. Il bello di Madeira è proprio questo: nel giro di poche ore puoi passare da una passeggiata tra porte dipinte a un incontro con i delfini, per finire sospeso sopra una distesa di verde tropicale. Un’isola che sembra fatta apposta per chi ama vivere le giornate fino in fondo, ma senza mai correre.

Album fotografico Madeira: Funchal 


Madeira #1: arrivo a Funchal

 

Arrivare a Madeira di notte ha qualcosa di surreale. Soprattutto quando la giornata è iniziata con cinque ore di macchina per raggiungere Malpensa, scelta non a caso: ho preferito un volo diretto, senza scali o corse tra gate, per atterrare nel cuore dell’Atlantico in un colpo solo. Quando l’aereo tocca terra con un po' del solito ritardo in stile Ryanair e l’orologio segna le undici passate, la in stanchezza è inevitabile, ma appena metti piede fuori e senti l’aria mite, ti investe quella scarica di energia che solo un’isola riesce a regalarti.

Madeira non è una meta qualunque: è un frammento di Portogallo sospeso nell’oceano, un piccolo arcipelago di origine vulcanica dove il verde delle montagne si tuffa direttamente nel blu profondo. Per farsi un’idea delle dimensioni: è più di tre volte l’Isola d’Elba, abbastanza grande da offrire panorami sempre diversi ma abbastanza raccolta da poterla attraversare in un paio d’ore di auto.

È anche la terra natia di Cristiano Ronaldo, dettaglio che qui non passa inosservato — basta dare un’occhiata al nome dell’aeroporto per rendersene conto. Ma oltre al campione di calcio, quest’isola è soprattutto un paradiso per chi ama camminare: sentieri, levadas e crinali che sembrano disegnati apposta per chi ha voglia di faticare un po’ per conquistarsi viste mozzafiato.

Non ho intenzione di svelare troppo del mio itinerario: sarà un viaggio dove i trekking faranno da filo conduttore, ma lascerò spazio anche all’improvvisazione, alle deviazioni e a quelle scoperte che non si pianificano, ma si incontrano per caso.

Per ora so solo questo: domani mi sveglierò a Funchal, con un’isola tutta da esplorare e il mare come compagno fisso. E se l’arrivo notturno è già così suggestivo, non oso immaginare cosa mi aspetta con la luce del giorno.


sabato 11 ottobre 2025

Dal Tramonto All'Alba 2 - Texas, Sangue E Denaro (1999)

 
Regia: Scott Spiegel
Anno: 1999
Titolo originale: From Dusk Till Dawn: Texas, Blood Money
Voto e recensione: 4/10
Pagina di IMDB (4.2)
Pagina di I Check Movies
Acquista su Amazon 
 
Film:
 Dal tramonto all’alba 2 – Texas Blood Money è un film figlio dichiarato del suo predecessore, ma ne prende una deviazione netta e senza troppe cerimonie. Qui l’atmosfera pulp e quasi teatrale del primo capitolo lascia spazio a un horror più lineare e decisamente più splatter, dove i vampiri non sono un colpo di scena a metà, ma la base stessa su cui si costruisce l’intera storia. È un film molto diverso: meno Tarantino, più sangue. Meno dialoghi taglienti e ironia da manuale, più azione e caos. E questa differenza si sente fin dalle prime scene.

Siamo sempre nello stesso universo narrativo, ma il tono è cambiato. Non c’è più quella sensazione di essere catapultati dentro due film cuciti insieme, come accadeva nel primo. Qui si entra subito nella dimensione vampiresca e non se ne esce più. È un film che non gioca sull’effetto sorpresa, ma sull’esagerazione. È più crudo, più fisico, più cattivo, e a tratti anche più grezzo. Non ha la stessa eleganza narrativa di Rodriguez e Tarantino, ma sceglie di compensare con la quantità di sangue, morsi e corpi che volano in aria.

Il regista, Scott Spiegel, viene dal mondo dei B-movie e ha lavorato con Sam Raimi, e questa cosa si nota tantissimo: l’impronta è quella dello splatter anni ’80, con inquadrature assurde, ritmo serrato e quella voglia di trasformare ogni scena in un’esplosione di budella e denti affilati. Lo humor nero è ancora presente, ma meno fine. Dove il primo film giocava con l’intelligenza dello spettatore, il secondo si diverte a prenderlo a secchiate di sangue. E per chi ama questo tipo di cinema, è quasi una carezza affettuosa.

La trama è semplice, molto più essenziale del primo. Un gruppo di criminali si ritrova invischiato in una storia vampiresca al confine tra Stati Uniti e Messico. Non c’è la costruzione dei personaggi che avevamo con i fratelli Gecko, niente dialoghi memorabili, niente cambi di tono improvvisi. Qui si corre dritti verso l’azione, senza troppe esitazioni. In un certo senso è un film più “onesto”: ti promette vampiri e splatter e ti dà esattamente quello, senza fronzoli né ambizioni particolari.

Ovviamente il paragone con il primo capitolo è inevitabile e anche un po’ ingiusto. Dal tramonto all’alba 2 non ha la pretesa di essere un cult. Non cerca di stupire, non inventa nulla di nuovo. Ma allo stesso tempo non finge di essere altro. È una carneficina divertita e consapevole di esserlo. Un film per chi ama gli horror da videoteca, quelli da guardare a notte fonda con la luce spenta e una birra in mano. Non a caso è un prodotto pensato direttamente per il mercato home video: budget più basso, libertà maggiore e quella sfacciataggine tipica dei sequel che non devono dimostrare nulla a nessuno.

Riguardandolo oggi, la differenza con il primo è netta e quasi brutale: meno stile, più sangue. Meno cinema “grande”, più intrattenimento di genere. Ma non per questo è da buttare, anzi. Ha il pregio di non scimmiottare l’originale, di prendere la strada più semplice e diretta: dare ai fan dell’horror quello che vogliono. E lo fa con un’energia rozza ma efficace. Non è un film che ti resta addosso come il primo, ma ti diverte nel momento in cui lo guardi. Ed è probabilmente esattamente quello che voleva essere.

Edizione: DVD
Semplice versione con traccia audio italiana in multicanale e nessun extra, 

venerdì 10 ottobre 2025

Corto Maltese - Vudù Per Il Presidente

 


Con Vudù per il presidente, Hugo Pratt ci riporta in quell’angolo del mondo dove politica e superstizione si guardano negli occhi e si confondono. E con loro, torna anche Soledad, una figura che Corto (e i lettori) hanno già imparato ad apprezzare: affascinante, intelligente, con quella sfumatura di mistero che le donne di Pratt sanno portare con eleganza naturale.

Qui la magia aleggia come una brezza calda e inquieta. È lì, ma non si capisce mai davvero se sia reale o solo un’arma sottile per spaventare, manipolare, sopravvivere. Ed è esattamente in questa zona ambigua che Corto si muove a suo agio: osserva, ascolta, non prende mai tutto per buono, ma non esclude mai nulla.

Il tono del racconto è sospeso tra intrigo politico, giochi di potere e suggestioni mistiche. Pratt gioca come sempre sul filo sottile tra realtà e leggenda, lasciando al lettore la libertà (e il piacere) di decidere cosa credere. Soledad e Corto si ritrovano, e tra loro non serve spiegare troppo: basta uno sguardo, qualche parola non detta, e la complicità è lì, viva come sempre.

Vudù per il presidente è un episodio che mescola fascino, potere e superstizione, e lo fa con la leggerezza tipica di Pratt: mai didascalico, sempre evocativo. Corto si conferma ancora una volta spettatore ironico di un mondo in cui la verità è sempre più strana della leggenda.


Anche queste tavole sono presenti in Corto Maltese - L'integrale 


giovedì 9 ottobre 2025

Corto Maltese - La Conga Delle Banane

 


Con La conga delle banane, Corto Maltese torna a muoversi in quella zona di confine tra avventura e intrigo politico che Hugo Pratt sapeva tratteggiare con una leggerezza invidiabile. Niente super tecnologie, niente inseguimenti spettacolari: qui lo spionaggio ha il sapore dei tempi andati, fatto di sguardi obliqui, mezze parole e personaggi che dicono la verità solo quando non serve a niente.

L’atmosfera è tropicale ma tesa, quasi sospesa, come se il vento caldo portasse con sé più segreti che profumi. Corto si muove tra doppi giochi e vecchie conoscenze, osservando il tutto con la sua solita ironia elegante e un filo di disincanto. Non ha bisogno di forzare la mano: capisce sempre più di quanto dica, e dice sempre meno di quanto sappia.

Quello che rende quest’avventura speciale è proprio il tono: Pratt non racconta un’epopea di eroi, ma una danza lenta tra interessi contrapposti, in cui ognuno balla al ritmo della propria convenienza. Corto, come sempre, è il testimone e il catalizzatore, mai il burattino.

La conga delle banane è così: una partita di spionaggio a ritmo di rumba, piena di doppi fondi, risate amare e quel tocco di mistero che sa di romanzo d’avventura classico. Ed è bello ritrovarlo lì, nel cuore del gioco, a fumare con calma mentre il mondo, intorno, trama.




Motorola Edge 50 Neo

 
Articolo pro memoria per il Motorola Edge 50 Neo.

 

Motorola continua a sfornare smartphone con una formula chiara: design elegante, prestazioni solide e zero fronzoli inutili. L’Edge 50 Neo con 12 GB di RAM e 512 GB di memoria interna è esattamente questo: un telefono che vuole farsi notare, ma senza urlare.

Sotto la scocca c’è il processore MediaTek Kompanio 800T, che gira a 2.0 e 2.5 GHz — una soluzione equilibrata che privilegia fluidità e reattività nelle operazioni quotidiane, dalla navigazione all’editing di foto e video. A completare il pacchetto, Android 15: l’ultima versione del sistema operativo di Google, con cinque anni di aggiornamenti garantiti. Una rarità, specie in questa fascia di prezzo, e una bella assicurazione sul lungo periodo.

Il design è un altro punto forte: sottile, leggero, con rivestimento vegano premium e bordi perfettamente uniformi. Insomma, uno di quei telefoni che si fa piacere al tatto oltre che alla vista.

Lo schermo è un pOLED da 6,36" con risoluzione Super HD (1220p). In parole povere: colori vibranti, neri profondi e luminosità perfetta per foto, video e social. È quel tipo di display che riesce a dare soddisfazione tanto in un binge-watching serale quanto nella revisione veloce di un video appena girato.

La parte fotografica è curata: sensore principale Sony LYTIA 700C abbinato a un teleobiettivo con zoom. Non si parla solo di numeri, ma di risultati reali: foto nitide anche in movimento, ritratti con ottima gestione della profondità e una resa cromatica naturale. L’idea è semplice: scatta e basta, senza dover perdere tempo tra mille modalità.

Sul fronte batteria, Motorola ha messo la ricarica TurboPower da 68 W, che in pochi minuti ti porta a un’autonomia giornaliera completa. E se preferisci la comodità, c’è anche la ricarica wireless fino a 15 W.

Infine, i 512 GB di memoria interna fanno la differenza: spazio a volontà per app, video, foto e archivi personali, senza dover cancellare nulla ogni due per tre.

👉 In sintesi:

  • 📱 Display pOLED 6,36" 1220p Super HD
  • ⚙️ CPU MediaTek Kompanio 800T – 2.0/2.5 GHz
  • 🧠 RAM 12 GB
  • 💾 Storage 512 GB
  • 📸 Fotocamera Sony LYTIA 700C + teleobiettivo con zoom
  • 🔋 Batteria con TurboPower 68 W + wireless 15 W
  • 🐧 OS Android 15, con aggiornamenti garantiti per 5 anni

Un device pensato per chi vuole stile e sostanza, con un occhio alla longevità. Motorola non reinventa la ruota, ma la fa girare dannatamente bene.

Dal Tramonto All'Alba (1996)

 
 
Regia: Robert Rodriguez
Anno: 1996
Titolo originale: From Disk Till Dawn
Voto e recensione: 6/10
Pagina di IMDB (7.2)
Pagina di I Check Movies
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Film:
Riguardare Dal tramonto all’alba da adulto è stata un’esperienza molto diversa rispetto a quando lo vidi la prima volta da universitario in quel di Via Diprè a Siena. All’epoca mi era sembrato un film strano, quasi schizofrenico, con quella svolta improvvisa a metà che mi aveva lasciato spiazzato. Oggi invece quella stessa svolta mi è parsa geniale. È proprio lì, in quella libertà sfacciata e in quel cambio di marcia senza preavviso, che si nasconde tutta la forza di questo film. È un’opera che non ha paura di osare, di mescolare i generi, di divertirsi e di far divertire. Un road movie pulp con due criminali in fuga, denso di dialoghi affilati e tensione alla Tarantino, che all’improvviso si trasforma in un delirio horror fatto di vampiri, sangue e ironia nerissima. Un pugno nello stomaco che però fa ridere, appassiona e coinvolge.

La coppia Rodriguez–Tarantino funziona qui come un’orchestra improvvisata ma perfettamente sincronizzata. La prima parte è quasi teatrale, costruita sui dialoghi e sui rapporti malati tra i personaggi: George Clooney, nei panni di Seth Gecko, è carismatico e magnetico, lontano anni luce dal bravo ragazzo di E.R. che lo aveva reso famoso. Tarantino, con quella faccia da psicopatico sorridente, è inquietante e divertente allo stesso tempo. Harvey Keitel e Juliette Lewis aggiungono uno spessore quasi malinconico, mentre Salma Hayek — con il suo celebre balletto ipnotico con il serpente — diventa uno di quei momenti di cinema che non si dimenticano facilmente. Poi, senza troppi complimenti, il film cambia pelle: dal realismo pulp al mostruoso, dal thriller alla carneficina, da Pulp Fiction a un B-movie sanguinolento. E la cosa più incredibile è che funziona.

Guardandolo oggi ho apprezzato tantissimo il ritmo e il montaggio, quella sensazione di cinema fatto con le mani, con idee, con passione e non con i soldi di uno studio gigante. Il budget era relativamente contenuto, ma non si direbbe. Gli effetti speciali sono artigianali, sporchi, concreti. Quasi niente computer, tanto trucco prostetico, lattice e sangue finto. Ed è forse per questo che il film è invecchiato bene: perché non cerca di sembrare qualcosa che non è. È onesto, diretto, ironico. Non si prende sul serio ma sa esattamente dove vuole portarti. Rodriguez lo gira nel deserto, costruisce da zero il Titty Twister, e crea un teatro perfetto per una notte di follia.

Un’altra cosa che oggi si nota molto di più è il coraggio produttivo dietro a tutto questo. Tarantino aveva scritto la sceneggiatura come un film horror di serie B commissionato da Robert Kurtzman, uno dei maestri degli effetti speciali. Ma poi arriva Rodriguez, accetta di girarlo e lo trasforma in qualcosa di molto più ambizioso: un omaggio al cinema di genere, ai western, agli horror anni Ottanta e a tutto quel mondo di film che si facevano per divertimento, senza preoccuparsi troppo dei premi o della critica. È un film che vive di libertà. E questa libertà si sente in ogni inquadratura.

Da ragazzo mi era piaciuto soprattutto per l’azione e per il colpo di scena. Da adulto mi piace per i dialoghi, per quella scrittura che non lascia mai spazio al superfluo, per la recitazione calibrata e per la sfrontatezza con cui cambia completamente registro senza chiedere permesso. È cinema pop, trash, pulp, eppure elegantissimo nella sua anarchia. È un film che oggi probabilmente non passerebbe indenne dalle mani di qualche comitato produttivo iper prudente. Ma negli anni ’90 era tutto più libero, più selvaggio, e Dal tramonto all’alba è figlio diretto di quella libertà.

Non è solo un film con i vampiri, e nemmeno solo un pulp. È una piccola dichiarazione d’amore al cinema di genere. È uno di quei film che non pretendono di essere capolavori ma che, alla fine, rimangono impressi molto più di tanti titoli più blasonati. Se da adolescente lo avevo trovato assurdo, oggi mi sembra un colpo di genio. Quando il cinema smette di prendersi troppo sul serio e osa, a volte, riesce a essere davvero indimenticabile.

Edizione: DVD
Versione che si fa ben guardare e diverse scelte per traccia italiana multicanale, sia DTS che Dolby Digital. Non contiene extra, ma ce'è una scena estesa con solo audio originale inserita direttamente nella pellicola.