
Ci sono film che promettono atmosfere cupe e misteri avvolti nella nebbia londinese, e The Limehouse Golem – Mistero sul Tamigi (2016) rientra perfettamente in questa categoria. Ambientato nella Londra vittoriana, tra teatri di varietà e vicoli brumosi, si presenta come un thriller gotico pronto a catturarti con delitti efferati e una caccia al colpevole che richiama le atmosfere di Jack lo Squartatore.
La trama segue l’ispettore Kildare (Bill Nighy), incaricato di risolvere una serie di omicidi brutali che sembrano opera di una mente geniale quanto malata. In parallelo, si intreccia la storia di Lizzie Cree (Olivia Cooke), attrice di umili origini accusata dell’omicidio del marito. Le due linee narrative finiscono inevitabilmente per convergere, tra colpi di scena e confessioni.
Il film funziona come un buon thriller d’epoca, con un ritmo che tiene alta l’attenzione fino alla fine e qualche trovata scenica intrigante. La ricostruzione storica è curata, l’atmosfera è quella giusta, e le interpretazioni solide, soprattutto quelle di Nighy e Cooke.
Eppure, devo ammettere che non mi ha colpito più di tanto. Forse perché, nonostante l’impianto elegante e la buona mano registica, manca quel quid che lo renda davvero memorabile. L’indagine scorre bene, i twist ci sono, ma alla fine resta più la sensazione di aver visto un esercizio di stile che un racconto capace di lasciare il segno.
Insomma: gradevole, ben fatto, con un finale che chiude degnamente il cerchio. Ma per me non è entrato nella lista dei thriller imperdibili. Un film da serata tranquilla, senza aspettative troppo alte.
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