domenica 28 settembre 2025

Una Battaglia Dopo L'Altra (2025)

 
Regia: Paul Thomas Anderson
Anno: 2025
Titolo originale: One Battle After Another
Voto e recensione: 6/10
Pagina di IMDB (8.5)
Pagina di I Check Movies 
  

Ancora "al cinema" e questa volta ho scelto io, quindi ho visto Una Battaglia Dopo l’Altra con aspettative alte, altissime. Paul Thomas Anderson non è certo uno che lascia indifferenti, e il cast messo insieme qui faceva pensare a un colpo grosso: DiCaprio, Sean Penn, e un contorno di attori tutti perfettamente capaci di reggere la scena. E infatti, sul piano tecnico e attoriale, niente da dire: fotografia elegante, montaggio preciso, musiche ben calibrate, interpretazioni solide. Tutto quello che ci si aspetta da un’opera di questo livello, insomma, c’è. DiCaprio, in particolare, convince nella parte di un uomo a pezzi, divorato dai fantasmi del passato e dalle sue fragilità, lontano dall’eroe classico ma per questo più umano. Anche Penn dà corpo a un antagonista disturbante (forse il mio preferito qui), che riesce a non scivolare nella caricatura pur sfiorandola spesso.

Eppure, a fronte di tutta questa qualità, io sono uscito dalla sala con una sensazione di delusione. Non tanto per quello che ho visto, ma per quello che non ho trovato. Anderson mi ha abituato a un cinema capace di scendere a fondo nell’animo umano, di scavare, di far emergere contraddizioni e ombre con una delicatezza quasi chirurgica. Qui, invece, ho avuto la netta impressione che abbia scelto la strada delle mezze misure: un po’ commedia, un po’ dramma politico, un po’ thriller d’azione, senza però mai decidere fino in fondo cosa volesse davvero raccontare. Forse il soggetto, tratto dal romanzo Vineland (che non ho letto) ha questa precisa struttura,

Il risultato è un film che ti lascia sospeso, quasi disorientato. Ci sono momenti intensi, scene d’azione ben costruite, tensioni che funzionano, ma poi tutto viene alleggerito da inserti che sfiorano la commedia grottesca, come se Anderson avesse paura di premere troppo sul pedale del dramma. È vero, per alcuni questo bilanciamento è un pregio: alleggerisce la visione, spezza la tensione, impedisce che il film diventi un macigno. Io però ho avuto la sensazione opposta: ogni volta che il racconto sembrava sul punto di farsi davvero potente, arrivava una nota ironica o grottesca a depotenziare l’emozione.

La durata non aiuta: due ore e mezza che scorrono, sì, ma non sempre con la stessa intensità. L’alternanza fra azione serrata e pause più intime non trova un equilibrio, e in certi momenti il film sembra girare su sé stesso, senza decidere se vuole emozionarti, farti riflettere o semplicemente intrattenerti. Forse Anderson voleva tenere tutto insieme, ma a me è parso più un mosaico incompleto che un disegno coerente.

Eppure, sarebbe ingeneroso liquidarlo come un’occasione persa. Perché le cose che funzionano ci sono, eccome. I temi affrontati sono attuali e urgenti: il suprematismo bianco, la polarizzazione, l’America spaccata che non è solo un Paese ma un simbolo più ampio. Il rapporto padre-figlia dà al film un cuore emotivo che in più momenti emerge con forza, e alcune sequenze d’azione hanno davvero quella potenza viscerale che ti inchioda alla poltrona. La regia resta quella di Anderson, e quando decide di affondare il colpo lo fa con stile, con immagini che restano negli occhi.

Forse, più che un brutto film, Una Battaglia Dopo l’Altra è un film che non ha deciso cosa vuole essere. E questa indecisione si sente. Io avrei voluto trovarci più coraggio, più coerenza, meno paura di sporcarsi con il dramma vero e più fiducia nella capacità dello spettatore di reggere il peso. Così com’è, resta un’opera imponente, ben fatta, spesso affascinante, ma a tratti frustrante, come se avesse tutte le carte per diventare memoravile e invece si accontentasse di restare a metà strada.

In definitiva, credo che chi cerchi azione e tensione troverà molto da apprezzare. Chi cerca introspezione, profondità psicologica, quella lente che Anderson sa usare meglio di chiunque altro, forse resterà spiazzato come me. E non è detto che questo sia un male: un film che divide, che fa discutere, che lascia irrisolti può avere più forza di uno che mette tutti d’accordo. Ma, se devo dirla tutta, io avrei preferito che Anderson scegliesse di condurci fino in fondo, invece di lasciarci a metà del guado.


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