sabato 1 novembre 2025

Palazzo Blu, Pisa - Belle Epoque

 


Oggi giornata da “classico Jack in trasferta culturale”. Quando a Pisa spunta una mostra degna di nota (o anche no) , io prendo il treno e vado. Oggi nella bruma, insieme a tanti cosplayer che andavano al Lucca Comics. Non importa se il tema mi appassiona o meno: l’arte è arte, e ogni tanto fa bene lasciarsi sorprendere anche da ciò che non rientra nelle proprie ossessioni personali. Questa volta toccava a La Belle Époque a Palazzo Blu — quella stagione elegante, scintillante e un po’ vanesia che, tra il 1870 e il 1914, fece di Parigi il centro del mondo e del buonumore borghese.

Appena entrato, la prima impressione è stata quella di un viaggio in un universo sospeso tra ottimismo e autocelebrazione. L'esposizione racconta bene lo spirito del tempo: un’Europa in fermento dopo il 1870, che scopre la scienza, la moda, la pubblicità, i teatri e perfino l’idea del benessere diffuso. Insomma, il trionfo della borghesia che sognava il progresso infinito e la felicità universale — prima che la Storia decidesse di svegliarla con uno schiaffone nel 1914.

L’allestimento è curato nei minimi dettagli, come sempre a Palazzo Blu: luci morbide, ambienti che alternano scene quotidiane e ritratti, un percorso che scorre tra pittura, affiches, eleganza e voglia di vivere. Nonostante non sia tra le mie correnti preferite (confesso che preferisco epoche più cupe e tormentate), ho apprezzato la leggerezza e l’equilibrio con cui la mostra racconta quegli anni. C’è un’aria di vitalità contagiosa, quasi una promessa di felicità che, se non altro, fa piacere respirare per quasi un paio d’ore.

Il testo di apertura la definisce “un’era felice, caratterizzata da un’estesa libertà di pensiero e da prodigiose scoperte scientifiche”, con Parigi che si prepara a diventare “la capitale del XIX secolo”. E in effetti tutto sembra ruotare attorno a questa voglia di rinascita, di modernità, di glamour. Boldini e De Nittis — due italiani trapiantati nella Ville Lumière — diventano i protagonisti di questa scena, interpretando la “joie de vivre” francese con pennellate veloci, eleganti, quasi teatrali. Le loro tele raccontano un mondo in movimento, in cui tutto sembra nuovo, profumato, luccicante.

Girando tra le sale, ho provato quella sensazione curiosa che a volte mi dà l’arte: essere attratto da qualcosa che so non mi appartiene del tutto. I salotti mondani, i cappelli a tesa larga, i boulevard pieni di carrozze non sono certo il mio habitat naturale — eppure mi sono ritrovato a sorridere davanti a certe scene di vita borghese, forse perché in fondo raccontano un’umanità che si illude di essere eterna, e che proprio per questo diventa affascinante.

C’è anche una parte più riflessiva, quasi malinconica, sotto quella superficie dorata. La Belle Époque era sì un’epoca di sogni e progresso, ma anche di disuguaglianze e illusioni fragili. Forse è proprio per questo che, oggi, guardarla da lontano fa un certo effetto: è un po’ come vedere un vecchio film a colori pastello sapendo già che finirà in bianco e nero.

Uscendo, mi sono fermato qualche minuto davanti all’Arno. Pisa sonnecchiava tranquilla sotto un sole spento di novembre, ma gentile. Ho pensato che in fondo la joie de vivre di quei pittori non era poi così diversa dal piacere semplice di una gita in treno, una passeggiata tra le sale di Palazzo Blu e un caffè preso senza fretta. Forse la felicità borghese, in piccolo, è anche questa: il lusso di dedicare tempo alla bellezza, anche quando non ci appartiene del tutto.


Album fotografico Palazzo Blu - Belle Epoque