mercoledì 4 giugno 2025

Evanescence - Fallen



 Autore: Evanescence
Anno: 2003
Tracce: 11
Formato: CD 
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Non è stato il mio primo incontro con il rock femminile, né il mio primo tuffo nelle acque del gothic mainstream. Ma Fallen degli Evanescence, ascoltato quando la scena metal/alternativa era un cocktail di nu-metal e derive post-grunge, è riuscito a distinguersi con un'eleganza tutta sua. Una specie di tragedia adolescenziale in abito da sera, con Amy Lee che declama il suo dolore in una cattedrale piena di eco digitale.

Di solito non mi faccio prendere troppo dal clamore mediatico, ma con Bring Me to Life, semplicemente non si poteva sfuggire. Era ovunque: radio, TV, soundtrack (ricordi Daredevil?). E a modo suo, funzionava: la combinazione tra la voce classica di Amy e il rap-rock alla Linkin Park sembrava strana, ma si incastrava. E poi il piano. Sempre quel piano, che rendeva tutto più drammatico, come se anche un “ciao” sussurrato potesse spezzarti l’anima.

Ma Fallen è molto più di una hit radiofonica. È pieno di brani che si appiccicano addosso: Going Under e Everybody’s Fool colpiscono con riff pesanti ma melodici, mentre My Immortal è quella ballata che puoi fingere di non amare… fino a quando non ti ritrovi a canticchiarla senza volerlo. Amy Lee qui fa tutto: canta, suona, dirige l’atmosfera. E va detto: la produzione, per quanto lucidissima, riesce a mantenere un'aura dark senza scivolare nel kitsch.

Certo, col senno di poi alcuni testi suonano fin troppo adolescenziali, e l’estetica gotica è quella che oggi definiremmo “mall goth” — ma sai cosa? Va bene così. Era il suo tempo, e lo ha rappresentato alla perfezione. E poi, se hai vent’anni e un cuore in frantumi, questo disco è la colonna sonora perfetta.

Io l’ho ascoltato parecchio più tardi rispetto al suo boom, con quell’approccio curioso di chi va a recuperare un classico pop-metal solo per capire “di cosa si trattasse davvero”. E l’ho capito. Non era solo marketing, c’era una voce sincera in mezzo a tanta scenografia. E oggi, mentre molti album dello stesso periodo sono invecchiati male, Fallen regge. Non dico che sia il capolavoro assoluto del genere, ma è sicuramente una delle sue pietre miliari più accessibili.


Tracklist (edizione standard CD):

  1. Going Under
  2. Bring Me to Life
  3. Everybody’s Fool
  4. My Immortal
  5. Haunted
  6. Tourniquet
  7. Imaginary
  8. Taking Over Me
  9. Hello
  10. My Last Breath
  11. Whisper

The Night Of - Cos'è Successo Quella Notte?

 
Anno: 2016
Titolo originale: The Night Of
Numero episodi: 8
Stagione: 1

Mi sono approcciato a The Night Of con una certa curiosità ma senza aspettative esagerate anche se ci sono capitato dopo aver visto un reel entusiasta di uno sconosciuto. Lo ammetto: pensavo fosse l’ennesima miniserie HBO ben confezionata, con il classico impianto crime in stile americano – avvocati brillanti, indagini zoppicanti, e qualche colpo di scena prevedibile. E invece, sorpresa: questa serie mi ha fregato. In senso buono.

Al centro c’è il giovane Nasir "Naz" Khan, interpretato con notevole intensità da Riz Ahmed, un ragazzo pakistano-americano che si ritrova invischiato in un omicidio che sembra uscito da un incubo. La serie ci porta in un’odissea giudiziaria e umana in cui la presunzione d’innocenza viene accartocciata e buttata nel cestino, in nome di una verità da costruire a tavolino. Ma il vero colpo da maestro? John Turturro.

Sì, lui. L’avvocato John Stone, scalcagnato, allergico al mondo (letteralmente: soffre di eczema ai piedi), che si trascina tra le aule di tribunale e i marciapiedi di New York come un Don Chisciotte del codice penale. È l’anima della serie. Il suo personaggio, scritto e recitato con una malinconia e un’ironia quasi dolorosa, riesce a rubare la scena in ogni inquadratura, anche quando parla con un gatto. Anzi, soprattutto quando parla con un gatto.

La narrazione è lenta ma non noiosa, chirurgica nel costruire tensione e disagio. Ogni episodio scava più a fondo nel sistema giudiziario, nella psiche dei protagonisti e nella zona grigia della verità. The Night Of non ti dà risposte facili. Ti fa dubitare, ti fa arrabbiare, ti fa guardare il mondo con quel sospetto che solo una buona serie può insinuarti addosso.

Ci sono momenti in cui sembra quasi voler diventare una riflessione sociopolitica (razza, classe, giustizia), ma riesce a non diventare mai didascalica. Resta prima di tutto un noir urbano: sporco, opprimente, quasi claustrofobico. Anche quando sei fuori dal carcere, l’aria non è mai davvero pulita.

Conclusione? The Night Of è una miniserie che ti prende alla gola senza bisogno di urlare. Il ritmo è più da romanzo che da serie binge-friendly, ma proprio per questo resta impressa. Un piccolo gioiello nel mare magnum delle crime-series, in cui ogni dettaglio (persino una camicia sbagliata) può farti crollare.



lunedì 2 giugno 2025

San Leo, Pennabilli e ancora San Marino

 


 


Oggi la sveglia è stata più umana. Il programma era meno fisico ma decisamente più denso di storia, magia e poesia. Prima tappa: San Leo, che già dal nome sa di cavallo bianco e cronache medievali. Un borgo incastonato su un enorme sperone di roccia calcarea, che domina la Valmarecchia come un’aquila in posa. Arrivarci è un po’ come fare ingresso in un dipinto del Romanticismo: strade strette, silenzio irreale, e la fortezza lassù, che ti guarda da secoli come se stesse valutando se lasciarti entrare.

Ed è proprio quella fortezza, oggi museo, a custodire una delle storie più affascinanti e inquietanti d’Italia: la prigionia e la morte del Conte di Cagliostro. Alchimista, truffatore, guaritore, iniziato e massone – ma aveva anche dei difetti – fu imprigionato qui nel 1791 per volere dell’Inquisizione. Morì quattro anni dopo, consumato dall’isolamento e, forse, dai suoi stessi segreti. La sua cella, il famoso “pozzetto”, è ancora lì: claustrofobica, gelida, muta. Ma non priva di una certa inquietudine vibrante. E tu, mentre sbirci dentro, ti chiedi se stia ancora recitando l’ultima formula.

Lasciata San Leo con le ossa ancora tiepide di sole, mi sono diretto a Pennabilli, piccolo gioiello appenninico e terra adottiva di Tonino Guerra. Il poeta, sceneggiatore e artista ha disseminato il borgo di installazioni, frasi, spazi sospesi e un vero e proprio museo a cielo aperto  che si esplora come una caccia al tesoro dell’anima.

Tra l’orto dei frutti dimenticati, la meridiana dell’incontro, l’angelo coi baffi e i luoghi dell’anima, Pennabilli ti obbliga a rallentare. A guardare le cose con occhi diversi. A fermarti davanti a una pietra su cui è scritto “Gianni, l'ottimismo è il profumo della vita”. E capire che non serve molto altro. In realtà non c'è quella frase da nessuna parte, ma sarebbe stato ganzo visto che è stata ideata da lui. 

Il caldo bestiale di questi giorni non ha fatto sconti, ma oggi almeno c’era vento. E per chi cammina (o si perde tra i pensieri), fa tutta la differenza del mondo. Tra le tante piccole cose fatte a Pennabilli, ho anche suonato la campana tibetana gigante, detta Campana Chasa . Un gesto simbolico che secondo alcuni porta bene, secondo altri fa semplicemente vibrare qualcosa dentro. In ogni caso, l’ho fatto. E ho espresso che nella mia prossima avventura io possa incontrare uno stegosauro. Non so dove, né come, ma non ha importanza.

Il pomeriggio è stato lungo e polveroso, ma la serata l’ho dedicata di nuovo a San Marino, approfittando delle ore più fresche e del fascino notturno che il borgo regala con generosità. Un ritorno, sì, ma con uno sguardo diverso. Come spesso accade: quando torni in un posto dopo averlo vissuto davvero, non lo guardi più con gli stessi occhi.

E anche oggi, tra storia, vento e poesia, ho fatto il pieno di stimoli. E un po’ di magia.


domenica 1 giugno 2025

Grande Anello di San Marino

 

Penultimo giorno del weekend e, come da programma, si parte all’alba (quasi) per il trekking più completo che sono riuscito a scovare su Wikiloc. Venti chilometri, oltre mille metri di dislivello positivo, e un circuito che incrocia diversi tratti del Cammino del Titano (o Cammino di San Marino, a seconda delle fonti), in particolare i sentieri 1 e 2, con deviazioni benedette anche da qualche cartello della Via di San Francesco.

Partenza da Acquaviva, zona tranquilla e ancora addormentata. Pronti-via e mi trovo subito davanti al Sacello del Santo Marino, una piccola cappella incastonata nella roccia che segna, secondo tradizione, il luogo in cui tutto è cominciato. C’è anche la targa a ricordare quella famosa data – 301 d.C., sì, mitica quanto simbolica – in cui San Marino fondò la comunità che avrebbe poi dato origine alla Repubblica più longeva del mondo. Un inizio suggestivo, intimo, quasi spirituale. Ma poi la salita chiama, e tocca rispondere.

Lungo il percorso, complice la voglia di esplorare, apporto qualche modifica alla traccia originale e scelgo di passare per due vecchie gallerie pedonali, che un tempo erano parte del tracciato ferroviario Rimini–San Marino, attivo fino al 1944. Dopo i bombardamenti della guerra, la linea non è mai stata riaperta, ma le gallerie sono state recuperate e oggi si attraversano a piedi con un certo gusto retrò.

Arrivo sorprendentemente presto in centro, quando San Marino è ancora semi deserta, i bar ancora chiusi, i vicoli avvolti da un silenzio irreale. Alle 8:15 sono già davanti alla Prima Torre, e mi viene quasi da ridere: mi aspettavo di metterci molto di più. Così rallento. Faccio colazione con vista, mi godo l’attesa dell’apertura e decido di cominciare dalla Seconda Torre (Cesta), che domina ancora più in alto, dove il vento non scherza mai.

Con il biglietto cumulativo visito più spot, mi concedo un po’ di sana contemplazione turistica e poi – zaino in spalla – riprendo l’anello, che fino a quel momento avevo sottovalutato.

Da lì in poi il percorso si fa tosto e variegato: salite, discese, tratti attrezzati con corde e cavi, niente di difficile con il terreno asciutto, ma chiaro che con la pioggia servirebbero eccome. Passo per il Sentiero della Rupe, spettacolare e a tratti a strapiombo, poi la grotta-santuario della Tanaccia, luogo di culto scavato nella pietra, che ha quel misto di mistero e misticismo che ti spinge a rallentare.

Attraverso due fossi da guadare – il Mazzucchetto e il Montecchio – l’acqua è poca, ma comunque dà gusto. Seguo il Sentiero dei Mulini Canepa, tra vecchi ruderi e fresche radure, e chiudo il cerchio attraversando alcuni campi assolati, dove ogni passo sembra prosciugarti la schiena.

Arrivo a fine anello sudato, cotto, ma soddisfatto. Un trekking completo, più duro del previsto per 40 gradi percepiti , ma con paesaggi sorprendenti, una varietà di ambienti continua e un senso di libertà assoluta. San Marino non è solo torri, targhe e souvenir: è anche boschi, creste, storia viva che si intreccia con i sentieri.

Ed è proprio questa miscela – tra leggenda, roccia e gambe che faticano – che rende tutto memorabile.


Album fotografico Grande Anello di San Marino