Non so bene come iniziare questa recensione, perché Rabbits è una di quelle cose che mentre le leggi ti convinci che potresti anche finirci dentro. E forse un po’ è questo il segreto del suo fascino: una gigantesca caccia al tesoro cospirativa, un labirinto di indizi, citazioni, rimandi e teorie da forum notturno — roba da perdersi con piacere.
Di base, Rabbits di Terry Miles è una storia che parla di un gioco segreto che attraversa decenni, continenti e livelli di realtà. C’è chi dice sia un ARG (Alternate Reality Game), chi un culto, chi una trappola. Per i protagonisti è un’ossessione. Per il lettore pure.
Un retrogaming mentale
La cosa più godibile per me — e credo anche per molti lettori — è come Rabbits si nutra di cultura pop geek fino a scoppiare. Qui dentro c’è di tutto: cabinati polverosi in sale giochi anni ‘80, film cult da riguardare in VHS, glitch di vecchi videogiochi, poster consumati appesi dietro una porta. Non so te, ma a me ha fatto venir voglia di riaccendere il Commodore 64 — o di fare un giro su MAME cercando qualche Easter Egg impossibile.
Il libro è un gigantesco mashup, una lista di citazioni sparate a raffica: da Tron a Matrix, passando per Ready Player One (a cui Rabbits deve qualcosa, anche se qui il tono è meno pop-corn e più cospirativo). Ma c’è pure l’eco di Lost, di The OA, di Dark, di tutto quel filone in cui ogni dettaglio potrebbe contenere la chiave per spiegare il mistero… o farti sprofondare ancora più giù.
Una scrittura che funziona… quasi fino in fondo
Personalmente, mi ha preso tantissimo. Forse perché è scritto come se fosse una conversazione tra nerd di mezzanotte davanti a una bacheca piena di appunti, linee rosse e ritagli di giornale. Funziona bene: ritmo serrato, personaggi bizzarri, teorie folli.
Se devo trovargli un difetto (e qui il mio io pignolo si sfrega le mani) è proprio nel finale: un po’ troppo asciutto, tirato via quasi, come se Miles a un certo punto avesse spento la PlayStation e fosse andato a dormire. Avrei voluto più spiegazioni, più nodi sciolti, più payoff per tutto quel benedetto casino di coincidenze e indizi disseminati per pagine e pagine.
E forse è pure il bello di Rabbits: il mistero non si risolve, si moltiplica. Ma un pizzico di chiarezza in più non mi avrebbe fatto schifo.
Indizi, glitch e la voglia di giocare
Il vero colpo di genio è la struttura a “indizi incrociati”: leggi, metti insieme pezzi, vai a googlare nomi, codici, date. Sembra di tornare a quando si infilavano monetine nei cabinati sperando di trovare qualche bug che ti regalasse una vita extra. In giro ho letto recensioni che lo definiscono “un ARG da salotto” o “una droga per complottisti”. Non hanno tutti i torti.
Anche perché, come nei migliori ARG veri (ti ricordi Cicada 3301? O Polybius?), Rabbits ti mette in testa il tarlo che ci sia davvero qualcosa, là fuori, che puoi cercare pure tu. E quando finisci, la voglia di leggere forum e teorie dei fan è pari solo alla voglia di urlare: “Sì, ma spiegatemelo bene, maledizione!”
In sintesi? Vale la corsa
Se ti piacciono i misteri aperti, i videogiochi vintage, i film dove la realtà si sfalda e i protagonisti paranoici che vedono pattern ovunque, Rabbits è da leggere. Poi magari sbufferai all’ultima pagina perché volevi più risposte — ma scommetto che passerai la notte a cercare connessioni online.
E questo, in fondo, è il miglior complimento per un libro del genere.