giovedì 6 novembre 2025

Deep Purple - The Book Of Taliesyn

 
Autore: Deep Purple 
Anno: 1968
Tracce: 7 (12 nella versione del 2000)
Formato: CD
Acquista su Amazon 

Riprendere in mano The Book of Taliesyn è come aprire un antico volume in una biblioteca del rock, uno di quei testi che, seppur non ancora perfetti, già contengono in filigrana tutto ciò che verrà. Non è ancora il ruggito hard e barocco dei Deep Purple che tutti associano a In Rock o Machine Head, ma ne è il seme. Nel riascoltarlo oggi, a distanza di decenni e in vista di un concerto che li vedrà ancora sul palco a Pisa (impensabile se uno si ferma un attimo a riflettere su quanto sia lungo il loro percorso), si resta colpiti da quanto questo disco del 1968 fosse già avanti rispetto al contesto musicale di allora.

A partire da Listen, Learn, Read On, il tono è dichiarato: un intreccio tra rock psichedelico e mitologia celtica, che in fondo rispecchia il titolo stesso del disco. Lord e Blackmore giocano con le sonorità in un equilibrio instabile ma affascinante, con l’organo Hammond a disegnare arabeschi gotici e la chitarra che inizia a mordere più del solito. Subito dopo arriva Wring That Neck, un pezzo strumentale che è quasi un manifesto del loro potenziale tecnico. È una jam organizzata, un campo di battaglia dove si alternano assoli e dinamiche, e che diventerà un cavallo di battaglia nei live successivi.

Con Kentucky Woman, la cover di Neil Diamond, i Purple mostrano ancora la loro anima più pop, eredità della prima formazione con Rod Evans e Nick Simper. È un brano ben fatto, piacevole, ma che oggi suona come il ricordo di una fase ancora in cerca di una propria direzione. Diverso è il discorso per Exposition / We Can Work It Out, dove la band prende i Beatles e li trasforma in un esercizio di stile rock-sinfonico, con cambi di tempo, strumentazioni pompose e un tocco di eccesso tipico di chi vuole mostrare di poter osare tutto.

Il cuore del disco, almeno per me, resta Shield e Anthem: la prima, una costruzione più matura e introspettiva, quasi una gemma nascosta; la seconda, un piccolo esperimento orchestrale che anticipa le ambizioni sinfoniche di Concerto for Group and Orchestra. C’è una malinconia di fondo, un desiderio di elevazione che convive con il gusto per l’esplorazione sonora.

Nella mia edizione CD, la parte finale è un piccolo tesoro per chi ama scavare: River Deep, Mountain High è una reinterpretazione ambiziosa e un po’ scomposta, ma con momenti intensi; mentre tracce come Oh No No No o It’s All Over restituiscono quel fascino delle session in studio, dove la band provava ancora a definire il proprio linguaggio. Le versioni alternative e le outtake, come la seconda Wring That Neck e Playground, mostrano un gruppo già energico, che non si accontentava mai della prima idea.

Riascoltato oggi, The Book of Taliesyn è un disco di transizione, ma non nel senso negativo del termine. È la cronaca di un gruppo che stava ancora imparando a essere se stesso, che sperimentava con tutto ciò che aveva a disposizione: psichedelia, pop, blues, barocco, classica. Un libro che va letto e riletto, perché tra le sue pagine si intuisce la trasformazione imminente, quella che li porterà a diventare leggenda.

E così, mentre mi preparo a rivederli dal vivo a Pisa, questo album mi appare come la prima pagina del loro mito. Forse ancora acerba, ma già vibrante di quella forza che — mezzo secolo dopo — non si è ancora spenta.


Nessun commento:

Posta un commento