L’idea parte da un pretesto semplice ma potentissimo: una rimpatriata tra ex compagni di liceo, quidici (circa) anni dopo la maturità. Ognuno arriva con il proprio bagaglio di vite vissute, fallimenti, successi presunti e nevrosi reali. C’è chi vuole dimostrare di essere diventato qualcuno, chi non è mai cresciuto davvero, chi cerca vendetta o amore, chi semplicemente spera di non passare inosservato. Tutto si consuma in una sola notte, in una villa ai Castelli Romani, mentre piove fuori e i rancori si sciolgono (o si incendiano) tra un brindisi e l’altro.
Nel cast, una vera sfilata di nomi che hanno fatto la commedia italiana: Christian De Sica, Massimo Ghini, Eleonora Giorgi, Nancy Brilli, Angelo Bernabucci, Piero Natoli e ovviamente Verdone stesso, qui nel ruolo del professore Mario (detto er patata), goffo, insicuro, ma anche teneramente inadeguato. Ognuno porta sullo schermo un personaggio che sembra uscito da una foto ingiallita di classe, ma con le rughe del tempo e la disillusione della vita. L’alchimia tra loro è perfetta: le gag funzionano, ma sotto c’è sempre qualcosa di amaro, un retrogusto malinconico che si insinua piano piano fino a diventare quasi commozione, ma anche cattiveria. Il vestito è quello della commedia, ma l'abito non fa il monaco.
Verdone in questo film lascia da parte la comicità pura e il bozzetto romano per concentrarsi su un racconto più corale e malinconico, in equilibrio perfetto tra risata e riflessione. Vi è la malinconia di chi si accorge di non essere diventato la persona che sognava di essere. Il regista, che qui mostra una maturità narrativa notevole, riesce a dare ritmo anche se non con una piena credibilità a una storia che, pur girando tutta attorno a un’unica location, non annoia mai: i dialoghi sono taglienti, realistici, a tratti crudeli, e la macchina da presa cattura con attenzione le piccole ipocrisie e le fragilità dei personaggi.
“Compagni di scuola” è uno di quei film che invecchiano bene, forse perché parla proprio del tempo che passa e della vita che non va mai come ce l’eravamo immaginata. È una commedia dolceamara che racconta senza moralismi né pietà quel misto di nostalgia e fallimento che accompagna l’età adulta. Ci si ride, ma quando scorrono i titoli di coda resta addosso un piccolo nodo alla gola, come dopo una serata tra amici in cui hai riso fino alle lacrime ma sai che non sarà più come prima.
Un Verdone in stato di grazia, capace di mescolare malinconia e ironia come pochi altri registi italiani. E un film che, pur avendo più di trent’anni, continua a parlare a chiunque abbia mai pensato, almeno una volta: “Com’eravamo?”.
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