Se siete appassionati di horror, avrete sicuramente sentito parlare di Autopsy (The Autopsy of Jane Doe) come di un piccolo miracolo del genere, circondato da un’acclamazione che crea aspettative altissime. Faccio spesso affidamento per consigli a youtuber o gruppi facebook sugli argomenti che mi interessao. Forse è proprio questo il problema principale, perché Autopsy non è un brutto film, tutt'altro, ma finisce per scontrarsi con l'hype eccessivo che lo precede. Dal punto di vista tecnico, infatti, ci troviamo di fronte a un prodotto confezionato con una cura quasi maniacale, dove il regista André Øvredal dimostra di saper gestire perfettamente i ritmi, costruendo la narrazione senza fretta e supportato dalle ottime interpretazioni di Brian Cox ed Emile Hirsch.
Un grande plauso va sicuramente alla fotografia ben fatta, nitida e fredda, e agli effetti prostetici di altissimo livello che rendono le sequenze dell’esame medico incredibilmente verosimili. Le immagini sono forti, su questo non si discute: la crudezza della carne e l'atto chirurgico sono mostrati senza filtri e con grande maestria. Tuttavia, onestamente mi aspettavo di più. Nonostante la qualità visiva indiscutibile, quella a cui assistiamo è, alla fine dei conti, “solo” un’autopsia.
Il film si basa su un macabro molto statico che colpisce lo stomaco per il realismo clinico, ma fallisce nel penetrare davvero sotto la pelle dello spettatore. Non c'è alcuna violenza, non c'è ansia o terrore vero. Manca quella sensazione di pericolo imminente o di adrenalina che ti fa stringere i braccioli della sedia; l'inquietudine rimane superficiale, quasi asettica come l'ambientazione stessa. In conclusione, siamo di fronte a un horror elegante e visivamente appagante, ma se cercate il capolavoro terrificante di cui tutti parlano, potreste rimanere delusi da un’esperienza che, pur essendo cruda, non fa davvero paura.
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