After the Hunt è uno di quei film che, se lo guardi stanco, rischi di affondare come in una palude di seta: tutto lento, tutto rarefatto, tutto così controllato che ti viene voglia di scuoterlo per vedere se accelera. Guadagnino qui non corre, non strizza l’occhio allo spettatore, non semplifica. Si prende il suo tempo — anzi, se lo prende con un certo sadismo — e ti invita a seguirlo in un territorio dove conta più ciò che viene detto che ciò che accade.
Il cuore del film sono i dialoghi: colti, densi, quasi letterari. Niente frasi da meme, niente battutine a effetto. Qui si parla davvero, si ragiona, si affonda nei concetti come si affonderebbe in un whisky torbato. È cinema che vuole farti sentire il peso delle parole, la responsabilità dei significati, la complessità delle relazioni che non si risolvono con uno sguardo e un taglio rapido di montaggio. È affascinante, ma anche sfidante: seguirli non è banale e ogni tanto ti ritrovi a pensare “ok, ho perso un pezzo per strada”. Però è un film che non ti tratta da scemo, e questo è già un mezzo lusso.
Guadagnino sembra quasi voler fare un passo di lato rispetto a certi suoi lavori più sensoriali e immediati. Qui punta tutto su tensioni sottili: i silenzi che tagliano, gli sguardi che non spiegano nulla, i personaggi che si muovono con la stessa lentezza con cui maturano i pensieri. A livello narrativo può sembrare un film statico, ma sotto questa calma glaciale ribolle tutto: ambizioni, colpe, desideri repressi, quella nebbia morale che il regista ama raccontare da anni.
Il problema — se vogliamo chiamarlo così — è che questa raffinatezza ha un prezzo. La lentezza è davvero disarmante. Non è contemplazione, è proprio rallentamento strutturale. Guadagnino ti chiede di restare lì, di ascoltare, di pensare, di respirare alla velocità che decide lui. E o ci stai, o ti irriti. Semplice. Forse addirittura i dialoghi sono anche volutamente sovrastati da musica o rumori di sottofondo, per dare un senso discorsivo che va anche a perdersi nella quotidianità della situazione.
Eppure After the Hunt ha un fascino strano, magnetico. È uno di quei film che ti resta attaccato non per ciò che accade, ma per ciò che suggerisce. Un’opera che non ti accompagna: ti sfida. E nella sua ostinazione a non essere dozzinale, a non banalizzare il pensiero, trova la sua identità più forte.
Non è il Guadagnino più immediato, né quello più emozionale. Ma è sicuramente quello più intellettuale, più cerebrale, più “da prendere con calma o lasciar perdere”. E se riesci a superare la barriera della sua lentezza, dietro c’è un film che parla con una voce profonda, severa e ricca. Un film che non ti intrattiene: ti interroga. E, volendo, ti scava pure un po’ dentro. Provocatorio ed estremamente attuale. Almeno per quanto riguarda una fetta importante di certa borghesia.
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