giovedì 20 novembre 2025

Iron Maiden - The Number Of The Beast

 
Artista: Iron Maiden
Anno: 1982 
Tracce: 8
Versione: CD
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Ci sono album che segnano una band, e poi ci sono quelli che cambiano proprio il destino di un genere. The Number of the Beast appartiene alla seconda categoria. È il 1982, gli Iron Maiden sono reduci dai primi due dischi, ancora sporchi e affamati, e decidono di fare il salto nel buio: dentro Bruce Dickinson, fuori Paul Di’Anno, e via verso un territorio dove il metal non è più solo velocità e rabbia, ma anche teatralità, melodia, identità.

Quello che colpisce di The Number of the Beast non è tanto la “tecnica” – quella arriverà più avanti, nei dischi in cui suoneranno come se avessero sei mani a testa – quanto l’impatto. È un album che ti arriva addosso compatto, senza fronzoli, come una dichiarazione di esistenza: siamo gli Iron Maiden, e da oggi si fa sul serio.

Bruce Dickinson è la chiave di volta. Non è solo una voce: è un personaggio. Ti apre scenari, ti alza la tensione, ti rende epici anche i passaggi che, con un altro cantante, sarebbero rimasti semplici riff da pub londinese. Con lui il gruppo passa dall’essere una promessa ad avere un vero frontman, uno capace di piantarsi al centro del palco e trasformare ogni pezzo in un rituale.

A livello musicale è un disco che bilancia alla perfezione la spinta della NWOBHM con una cura melodica che, fino a quel momento, gli Iron Maiden non avevano mai sfiorato. È heavy, sì, ma è anche molto più “pensato”: i ritornelli funzionano, le linee di basso di Steve Harris sono già una firma riconoscibile, la batteria di Clive Burr tiene tutto insieme con una naturalezza che oggi fa quasi tenerezza da quanto era avanti per i suoi tempi.

E poi c’è la copertina, un simbolo che ormai va oltre l’album stesso. Eddie, il diavolo, il burattinaio dei burattinaio… un gioco di specchi che ha fatto arrabbiare preti, associazioni, genitori impressionabili e mezzo mondo. Ovvio che i Maiden ci sguazzassero: poche cose alzano le vendite come un bell’allarmismo moralista. Ma, al di là delle polemiche, quella copertina è un manifesto. Dice: non abbiamo paura di niente, nemmeno del vostro sdegno.

Il bello è che l’album regge ancora oggi. Non è nostalgia, non è “suonava bene negli anni ’80”: è che i pezzi hanno qualcosa di universale. Hallowed Be Thy Name è ancora uno degli apici del metal narrativo. Run to the Hills è un cavallo di battaglia che non invecchia mai. La title track è un rito collettivo ogni volta che parte.

C’è una frase che mi torna sempre in mente quando rimetto su questo album: a volte un disco arriva nel momento perfetto, nel posto giusto, con le persone giuste. The Number of the Beast è proprio questo: il punto esatto in cui gli Iron Maiden smettono di essere una “band emergente” e diventano un’icona.

E noi, oggi, possiamo riascoltarlo senza tutta la zavorra delle polemiche, delle accuse di satanismo, dei moralismi d’epoca… e goderci semplicemente un album che ha scritto un pezzo di storia. Con foga, con immaginario, con un’estetica che non chiedeva scusa a nessuno.

Se la storia del metal fosse un libro, The Number of the Beast sarebbe un capitolo intero. Uno di quelli che rileggi volentieri. Sempre ad occhi aperti, sempre con lo stesso brivido.



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