Con i Led Zeppelin sono arrivato tardi. Non per scelta, ma perché prima mi sono fatto trascinare dal vortice degli anni Ottanta, poi Novanta, poi Duemila. Quando sei adolescente e inizi a collezionare dischi, segui l’onda del momento. Solo più tardi capisci che alcune onde le devi cercare a ritroso. Così è arrivato anche lui: Led Zeppelin IV. In CD e successivamente pure in vinile , ovviamente. Copertina troppo iconica.
Ufficialmente senza titolo, ma universalmente noto come il quarto album, questo è il disco che ha inchiodato i Zeppelin nell’Olimpo del rock. Un album che non ha bisogno di troppe spiegazioni: basta far partire Black Dog e capisci tutto. La voce di Plant che ti strattona, il riff storto, l’andamento sincopato. Poi Rock and Roll, un’esplosione che ancora oggi mette in ombra tanti gruppi “moderni”.
E poi c’è Stairway to Heaven. Che dire, se non che è diventata un cliché solo perché è perfetta. Intro acustico, crescendo elettrico, assolo immortale. Un pezzo che non ha bisogno di difese: si difende da solo.
Ma c’è molto altro: The Battle of Evermore con i suoi richiami celtici, Misty Mountain Hop che ti fa muovere la testa, Four Sticks con le sue ritmiche incrociate. E When the Levee Breaks, che chiude tutto con un groove che sembra uscire da una caverna di cemento armato. La batteria di Bonham è qualcosa di sovrumano.
La copertina, volutamente priva di nome della band o titolo, è una dichiarazione d’intenti: lasciate perdere le etichette. Questo è solo un disco, ma dentro c’è tutto.
Non è stato il mio primo Zeppelin, ma oggi lo considero uno di quegli album che fanno da pilastro. Ogni volta che lo metto sul piatto, suona come se fosse la prima.
Tracklist ufficiale:
- Black Dog
- Rock and Roll
- The Battle of Evermore
- Stairway to Heaven
- Misty Mountain Hop
- Four Sticks
- Going to California
- When the Levee Breaks
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