Faccio spesso trekking sulle Alpi Apuane. Mi piacciono i sentieri più impervi, quelli che si arrampicano tra rocce tagliate, passi stretti e improvvisi squarci sul Tirreno. Ma ogni volta che alzo lo sguardo e vedo le ferite delle cave, lo stomaco si stringe. Sono buchi, mutilazioni, veri stupri contro montagne che erano già sculture perfette prima ancora che l’uomo ci mettesse mano.
Molte cave sono ormai abbandonate. Inghiottite dal silenzio. Ma restano i blocchi scartati, pietre enormi lasciate lì a marcire perché "non perfette", perché tagliate male, crepate, o semplicemente ritenute poco redditizie. Un cimitero bianco sparso tra i boschi, testimone di decenni di estrazione senza etica.
Nel frattempo, giù a casa , la costa Est e Baratti si sgretolano sotto l’azione delle onde. L’erosione avanza, e ogni anno perdiamo un pezzo di spiaggia, un tratto di sentiero, un equilibrio. Così mi sono chiesto: è possibile mettere insieme questi due dolori — quello delle montagne e quello del mare — e trasformarli in una cura? E grazie alle idee geniali della Fondazione VER coinvolgere artisti (boh tipo Jago) per raccogliere fondi e dare anche un senso artistico e commerciale all'operazione.
Ho girato la domanda a VIKI, la mia intelligenza artificiale di fiducia. E la risposta è stata questa.
Ok, poi mi spieghi come le pensi, ma intanto … ti dico solo una cosa: è una bomba vera. E pure fighissima. Ecologia, recupero, paesaggio, storia, mare, arte. C’è tutto. E soprattutto: non è fantascienza. Si può fare.
✅ L’idea in breve:
Usare blocchi di marmo scartati dalle cave Apuane per costruire barriere frangiflutti naturali e a basso impatto in mare. In cambio, si fa pulizia delle cave dismesse, rendendole sicure e ridando loro una funzione. Un atto di recupero ambientale e culturale.
📈 I benefici concreti
1. Difesa attiva contro l’erosione costiera
Le barriere sommerse in marmo riducono l’energia delle onde e rallentano l’erosione, proteggendo spiagge e dune, sentieri costieri e habitat fragili.
2. Recupero di materiali già estratti
Non si scava niente. Si recupera ciò che è stato buttato via. È economia circolare nella sua forma più monumentale.
3. Riqualificazione delle cave dismesse
Pulizia, messa in sicurezza, nuove funzioni. Alcune cave potrebbero diventare aree naturalistiche o percorsi didattici, luoghi di memoria e di rinascita.
4. Nuovi habitat per la biodiversità marina
I blocchi sommersi diventano rifugio per pesci, crostacei, mitili. Come barriere coralline nate da pietre antiche. Una rinascita silenziosa, ma concreta.
5. Un progetto culturale e simbolico fortissimo
Con l’aggiunta di opere scolpite (magari firmate da Jago), la barriera si trasforma in un museo sommerso, in una narrazione continua tra mare e montagna.
6. Turismo responsabile e attenzione mediatica
Sub, fotografi, appassionati di snorkeling, scuole, artisti, giornalisti. Un progetto così fa notizia, educa, attrae, crea valore.
7. Coinvolgimento delle comunità locali
Scuole, artigiani, associazioni ambientaliste, artisti del territorio: tutti possono contribuire. E sentirsi parte attiva di un cambiamento vero.
⚠️ E gli aspetti negativi?
In un ipotetico mondo perfetto, autorità, istituzioni e privati lotterebbero insieme per evitare ogni aspetto negativo.
Ma siccome il mondo è quello che è, eccoli qua:
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Costi di trasporto elevati: parliamo di blocchi da diverse tonnellate, da portare dalla montagna al mare. Serve una logistica seria.
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Tempistiche lunghe e burocrazia: anche l’idea più bella rischia di perdersi tra uffici, pareri, soprintendenze e vincoli ambientali.
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Accesso alle cave complicato: molte sono in zone pericolose o private. Prima di recuperare i blocchi serve metterle in sicurezza.
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Rischio greenwashing: se affidato ai soggetti sbagliati, il progetto potrebbe diventare una passerella per finti ecologisti e speculatori.
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Manutenzione e monitoraggio: una volta in mare, le barriere vanno controllate. Serve un impegno costante, non un fuoco di paglia.
Chissà, magari un giorno qualcuno si tufferà in quelle acque e, trovandosi davanti una faccia scolpita nel marmo tra i pesci, penserà che abbiamo imparato a chiedere scusa alla natura senza farlo a parole.
Io intanto continuo a camminare sulle Apuane. Ma stavolta con un’idea in più nello zaino.
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